Domenica, a Bologna, nel quadro di un incontro per costruire un percorso unitario di partecipazione alla conferenza sulla salute delle donne prevista per marzo (conferenza che essendo ministeriale probabilmente non si farà o si farà in modo molto diverso) abbiamo avuto un breve, ma intenso dibattito che ha anticipato sia pure di poco quello che si stava aprendo sui giornali. Una terapista della riabilitazione (o così ho capito) è intervenuta, rispondendo ad una ginecologa che aveva sottolineato l’aspetto drammatico di una IVG anche per il medico, affermando che di un feto vitale, che viene rianimato dopo un’interruzione di gravidanza, finisce per farsi carico soltanto la madre, a cui viene chiesto un “sacrificio disumano”. Abbiamo perso un po’ di tempo a capire che si stava parlando dell’aborto terapeutico, previsto dalla L.194, ma ben distinto dall’IVG entro i 90 giorni.
Questa discussione è servita a capire qualcosa di più del dibattito degli ultimi giorni, a me, che non sono né ginecologa né terapista.

{{L’aborto terapeutico è una IVG particolare}}. Non solo perché può essere praticato a uno stato più avanzato di gravidanza, ma perché in questo caso non è alla donna che spetta la parola definitiva, ma al medico.
{{Quindi a proposito di aborto terapeutico non è corretto fare riferimento all’autodeterminazione}}, che non è contemplata dalla legge 194 in questo caso.

{{L’aborto terapeutico}} è ammesso ({{riprendiamo testualmente dall’art.6):}}

“{{a)}} quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;

{{b)}} quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

Il primo caso è espressamente in contraddizione con la morale cattolica (diversa è la posizione della maggior parte dei protestanti) per cui fra la madre e il feto, bisogna scegliere quest’ultimo. Venne quindi codificata una morale che potremmo definire “laica”: fra una vivente, la madre, e il feto si sceglie di salvare la prima.

Ma è proprio in questo caso che{{ la legge 194 introduce un elemento problematico (ultima frase dell’art..7):}}
“Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto.”

Questo vuol dire prima di tutto che {{nel caso di cui alla lettera b)}} quando, cronologicamente o in base a esami clinici, si ritiene possibile una vita autonoma del feto, non si può fare l’aborto terapeutico. Nel {{caso di cui alla lettera a)}} invece, l’intervento può essere effettuato comunque (è in gioco la vita della madre) ma il medico che lo esegue deve fare il possibile per salvaguardare la vita del feto.

I progressi scientifici avrebbero spostato indietro il termine dopo il quale ci sono possibilità di vita autonoma, soprattutto per il miglioramento delle tecniche di rianimazione. Ma {{questo ci porta a sovrapporre al discorso sulla nascita il discorso analogo sul fine vita}}. Esistono cioè, in entrambi i casi, tecniche di rianimazione che mantengono alcune, ma non tutte le funzioni vitali. Nel moribondo il coma, la vita dipendente da una o più spine, è l’esito più probabile. Nel neonato prematuro l’esito probabile è invece un handicap più o meno grave, fisico o psichico.

Di questo avevo sentito parlare già diversi anni fa: a un congresso di neonatologi veniva detto che alla riduzione dei tassi di mortalità perinatale, dovuti al progresso della medicina, sembrava accompagnarsi un aumento dei casi di handicap psichico.
Sono questi gli esseri a cui si garantisce una vita quale che sia, chiedendo contemporaneamente alle loro madri, e quasi soltanto a loro, il “sacrificio disumano” di cui parlava la terapista a Bologna.
Credo che in questa offensiva che vede medici, papa e vescovi uniti nel difendere la vita contro i/leviventi, ci sia anche un vizio linguistico:{{ un uso eccessivo di sostantivi astratti (la vita) e una scarsa attenzione ai concreti esseri viventi, donne, uomini, bambini e bambine.}}