L’orizzonte dei valori entro i quali è stato elaborato il discorso risorgimentale, ci ha spiegato lo storico Alberto Mario Banti, ha molto insistito sulla incorporazione della sofferenza e sul richiamo ai termini chiave della tradizione cristiana. In nome di questi valori sono state frequenti, nel discorso nazional – patriottico, le letture martirologiche e cristologiche delle azioni dei militanti. In quest’ottica, ad esempio, si inserisce un ritratto di Garibaldi del 1850, conservato presso il Museo Centrale del Risorgimento, nel quale l’eroe viene rappresentato con le sembianze di un Cristo benedicente: un Cristo patriottico, ci spiega Banti, bello e sofferente, che incarna il nazionalismo risorgimentale e i valori cristiani, un “santo nazionale”, un martire, che ha combattuto eroicamente per la difesa della Repubblica Romana del 1849, e che assurge al mito anche per aver perduto in questa impresa sua moglie Anita, l’emblema dell’amore romantico, che ha contribuito non poco a rafforzare la forza comunicativa della figura di Garibaldi.

Eppure di Anita, così funzionale al discorso patriottico sulla sacralità della nazione, sappiamo pochissimo. Il libro di Silvia Cavicchioli, ricercatrice presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino, ripercorre proprio il mito e la storia di questa donna, sottraendola all’agiografia che da sempre ha caratterizzato la sua immagine e consegnandola all’analisi storica. Difficile avere tracce documentali di una donna povera, poco istruita, morta a soli ventotto anni. Quello che sappiamo di Ana Maria Ribeiro da Silva, nata in Brasile forse nel 1821, viene ricostruito in questo bel libro nel tentativo di ridefinire il profilo di una figura evanescente, troppo frettolosamente ingabbiata nell’epopea garibaldina e passata alla storia “di riflesso”, in una posizione inevitabilmente marginale. Cavicchioli insiste invece sulla necessità di analizzare il ruolo «fondamentale, essenziale, irrinunciabile» che questa donna ha avuto nella vita di Garibaldi, incontrato ad appena diciotto anni.

Accanto alla biografia di Anita, alla ricostruzione degli ultimi mesi della sua vita trascorsi in Europa, dove morirà in una fattoria nei pressi della laguna di Comacchio, per la prima volta in maniera analitica vengono ripercorsi i molteplici itinerari della conservazione della sua memoria e del suo ruolo autonomo – oltre la narrazione che la cristallizza nell’immagine dolente in punto di morte – nella simbologia patriottica nel periodo che va dall’unificazione italiana al fascismo, fino ai nostri giorni.

Silvia Cavicchioli, Anita. Storia e mito di Anita Garibaldi, Torino 2017, pp.292.