Autoritratto di Michela Pachner

Nel 2019, grazie al contributo della Regione Piemonte, è stato riordinato il fondo archivistico personale dell’artista Michela Pachner (1926-2015) custodito presso l’Archivio delle Donne in Piemonte.

Allieva negli anni Quaranta di Evangelina Alciati e successivamente di Felice Casorati, Michela Pachner dai primi Sessanta si apre alla commistione di linguaggi espressivi, dando forma a performances, installazioni ambientali, sculture, collage, workshop di arteterapia, secondo il principio per cui arte e vita sono un unico processo senza soluzione di continuità.

Il fondo è costituito da un nucleo di materiale documentario estremamente eterogeneo tra cui venti raccolte di memorie -definite dall’artista “diari”- da lei organizzate per processi narrativi autobiografici, legati alla sfera della produzione creativa e delle relazioni familiari.

Pubblichiamo un estratto della nota biografica dell’artista a cura dell’archivista Federica Tammarazio, riordinatrice del fondo.

Nota biografica di Michela Pachner (Fiorella Maria, Ma Anand)
a cura di Federica Tammarazio
Nata il 18 giugno 1926, primogenita di tre sorelle, in una famiglia di estrazione borghese di origini ungheresi (il padre era medico chirurgo, poi ortopedico a Genova, la madre Attilia coltivava le arti e in particolare la pittura), iniziò in giovanissima età a dipingere, iscrivendosi al Liceo artistico di Genova, città in cui la famiglia si era trasferita nel 1940. Con lo scoppio della guerra i Pachner sfollarono a Monteu Roero e qui la giovane Fiorella frequentò la pittrice Evangelina Alciati, che divenne la sua prima maestra e nella quale rivedrà, per tutta la vita, un riferimento imprescindibile. Subito dopo la seconda Guerra Mondiale si iscrisse all'Accademia Ligustica di Genova, dove conobbe e frequentò Eugenio Carmi, Emilio Scanavino e il professore di storia dell'arte Giannetto Fieschi.Nel 1947 iniziò a frequentare i corsi presso la scuola di Composizione pittorica di Felice Casorati, nei celebri spazi di via Mazzini a Torino. Questa esperienza non lascerà una traccia forte nella crescita espressiva dell'artista, che nei primi anni Sessanta prenderà tutt'altra direzione.Michela Pachner espose per la prima volta alla mostra del concorso Arti figurative(Genova, Palazzo Bianco, 12-20 dicembre 1949), insieme al fidanzato Giovanni Pron,che avrebbe sposato l'anno successivo. Dai due nascerà il figlio Luca.Negli anni Cinquanta firmò cataloghi e mostre utilizzando il doppio cognome “PronPachner”.Dopo una fase di ricerca e studio, negli anni Sessanta si avvicinò alla scultura, realizzando la serie degli Acciai, che ottennero un certo successo nell’ambiente sperimentale torinese, estremamente internazionale e dal quale sarebbe nato il gruppo dell’Arte Povera, proprio intorno alla galleria Christian Stein, in cui fino ai primi anni Settanta Michela Pachner espose in occasione di varie collettive.Trasversalmente, per un lungo periodo della propria esistenza, realizzò i pannelli fieristici per la ditta Cromoflex, produttrice di lamé, materiale estremamente utilizzato anche nella creazione della serie dei plexigass. Nel corso di tutta la suaesistenza rimase una forte amicizia con il proprietario, marito della nipote.Alla metà degli anni Settanta l’artista maturò la separazione dal sistema dell’arte torinese, nel quale Michela Pachner non sentiva la libertà necessaria alle proprie scelte espressive. Da questo momento si aprì una nuova fase, in cui alla sperimentazione artistica si unirono le ricerche in vari ambiti, in particolare legatialla sfera del comportamento.Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, dopo un percorso breve e travagliato come arteterapeuta a Collegno, Michela Pachner si avvicinò alla filosofiadi Osho Rajneesh, frequentando con assiduità la comunità indiana e internazionale che si era creata intorno alla sua figura: fino agli anni Duemila si ripeteranno i viaggia Poona e Goa e negli Stati Uniti.Ne 1986 nacque la nipote Martina, che divenne destinataria di una grande quantità di missive e testi in forma diaristica, veri e propri flussi di coscienza in cui l’artistaraccontava se stessa, le proprie azioni e scelte alla nipote.Tra gli anni Ottanta e Novanta presero forma anche le esperienze del Laboratorio dellanorma, la sua casa-studio sulla collina di Torino, in cui non esisteva distinzione tra lo spazio del quotidiano e quello della creazione.