La manifestazione di sostegno ai lavoratori irregolari a Brescia, il sit-in dell’Arcigay a Mantova: coloro che la (in) cultura politica e giuridica dominante rende estranei e clandestini, coloro che per secoli sono stati condannati e perseguitati e ancora non hanno diritti certi, prendono la parola, si dichiarano, occupano la piazza per lottare contro le discriminazioni e rivendicare i diritti negati.Sabato 6 novembre ho avuto un momento di grande incertezza: andare a Brescia alla {{manifestazione in sostegno dei lavoratori irregolari }} che protestano dall’alto di una gru o partecipare al {{sit-in mantovano di Arcigay}} contro le affermazioni omofobe e al protervo e corrotto machismo del Presidente del Consiglio?

Ho optato per la seconda opportunità: “Articolo3″ aderiva all’iniziativa e, inoltre, ciò che accade nel territorio in cui vivo mi mette più direttamente di fronte alla mie responsabilità. Ma la ragione del desiderio di essere presente alle due manifestazioni contemporanee era la stessa. Coloro che {{la (in) cultura politica e giuridica dominante rende estranei e clandestini}}, coloro che per secoli sono stati condannati e perseguitati e ancora non hanno diritti certi, prendono la parola, si dichiarano, occupano la piazza per lottare contro le discriminazioni e rivendicare i diritti negati.

A Brescia manifestano i “clandestini”, una contraddizione in termini: la seconda parola nega la prima; se i clandestini manifestano, escono dalla clandestinità,{{ si affermano come individui che non accettano più la condizione di non-persona }} alla quale sono condannati dalle leggi recenti sull’immigrazione; dall’invenzione del reato di clandestinità previsto dal pacchetto-sicurezza voluto dall’attuale governo, e inasprito ulteriormente in questi giorni; da un decreto di regolarizzazione di colf e badanti che è stato pagato cifre altissime dalle dirette interessate e ha innescato un vero e proprio mercato nero dei permessi di soggiorno (pagati fino a 8mila euro), oltre ad aver escluso dalla sanatoria del settembre 2009 coloro che non rientravano in questa categoria, costringendo alla clandestinità anche chi in Italia viveva e lavorava regolarmente da anni, ma si trovava senza lavoro a causa della crisi. E{{ la clandestinità genera crimine, non solo tra gli esclusi da ogni diritto, ma anche, e più schifosamente, tra coloro che su questi drammi speculano}}.

Proprio sabato la “Gazzetta di Mantova” titola in prima pagina: {Immigrati, avvocato nei guai}. L’occhiello spiega: {Il sospetto della procura: pratiche di soggiorno in cambio di denaro.} L’articolo dà conto di un’indagine avviata già all’inizio di quest’anno dalla Procura di Mantova per stroncare una grossa organizzazione mantovana specializzata nella tratta degli schiavi: un giro di duemila clandestini che hanno reso, pagando migliaia di euro a testa, circa 20 milioni di euro a una rete di una quarantina di persone, in gran parte imprenditori e professionisti locali. Qualcosa di analogo a settembre era stato portato alla luce dall’inchiesta “Landness” delle Fiamme gialle di Verona: 11 arrestati e 19 iscritti nel registro degli indagati per lo smercio di 500 falsi permessi di soggiorno, venduti ad altrettanti migranti a 9 mila euro l’uno. Tra gli arrestati due dirigenti dell’Ugl – Coltivatori di Verona, uno dei quali storico esponente leghista. I clandestini sulla gru di Brescia e sulla Torre della ex Carlo Erba di Milano sono stati vittime devastate da raggiri simili, vittime di un’idea di ‘imprenditorialità criminale’ che non conosce confini e che nel nostro Paese prospera fra mafiose connivenze e silenzi complici.

C’è {{un’intollerabile e delinquenziale ipocrisia}} in chi criminalizza i fenomeni migratori per poi sfruttarli. Ma è profondamente {{ambiguo, e sostanzialmente ipocrita}}, anche il discorso di chi, come{{ Luca De Marchi}}, afferma: “Che nel proprio letto ognuno faccia ciò che più gli aggrada mi sta bene […] ma da qui a mettere l’omosessualità al pari dell’eterosessualità ce ne passa” (lettera al direttore della “Gazzetta di Mantova”, domenica 7 novembre). E’ ancora accettabile che chi vive amore e desiderio per una persona del proprio stesso sesso debba recludere ciò che prova nel segreto delle lenzuola e non possa apertamente rivendicarlo e fondare su di esso una relazione anche legalmente riconosciuta? Perché non dovrebbero stare sullo stesso piano tutte le scelte che implicano amore e rispetto reciproci tra le persone. Ma se i criteri per definire la moralità fossero{{ il rispetto responsabile verso la dignità e la libertà di ogni individuo}} dovremmo riflettere attentamente su ognuno dei “valori cardine” indicati dal consigliere leghista nella sua lettera: “la sacralità della famiglia e della vita, la condanna senza se e senza ma per l’uso della droga, l’orgoglio per la nostra cultura, per la nostra religione, per i nostri valori, la meritocrazia”. L’orgoglio per ciò che è “nostro” spesso conduce al disprezzo o alla negazione di ciò che è altro da noi, tema molto spesso affrontato da “Articolo3″. Il corpo dell’altro, la sua vita, la sua storia diventano elementi irrilevanti: ciò è accaduto per secoli contro le donne, contro i soggetti più fragili, contro gli ‘stranieri’, i non appartenenti alla comunità. Trasformarli in merce, in gadget, in bersagli di violenza, in occasioni di guadagno è una pratica tanto becera quanto ancor oggi diffusa. Anche tra chi parla di “valori cardine”.