bambini. schiavi
bambini schiavi

La schiavitù esiste e per lungo tempo, a partire dalle dichiarazioni dei diritti, è stata considerata un fenomeno limitato e in via di estinzione, per via dell’evoluzione delle economie occidentali.

Nel mondo, in una sostanziale armonia nelle relazioni tra stati, indifferenti alla qualità del sistema di produzione delle merci, i paesi nei quali i proprietari dei mezzi di produzione e delle materie prime sono anche proprietari di persone, spesso private dell’identità, sono almeno dieci.

SCHIAVI 1Le donne in questi paesi sono anche schiave sessuali, là dove la vendita di donne e bambini a scopo di sfruttamento sessuale non sia la principale forma di schiavitù, come in Nigeria Togo e Benin.

Il femminismo, nel nostro paese tanto variegato, ha comunque a più riprese e voci diffuso la propria denuncia sui gesti complici, impliciti negli stili di consumo e nelle modalità di accoglienza e convivenza verso chi viene in cerca di lavoro e di pace.

Quello che invece non viene detto, o troppo poco viene detto, è che nel mondo globale nulla resta nel singolo confine geografico e politico.

Non si tratta di lanciare altre accuse a governi sanguinari e dispotici, si tratta di comprendere fino in fondo che centocinquant’anni sono state cambiate molte leggi, nel mondo, ma non c’è stato lo sforzo di trasferirle dalla carta alla vita. Interi settori dell’economia mondiale restano saldamente ancorati a una produzione nella quale la retribuzione del lavoro deve rappresentare la parte più irrilevante, le economie familiari di moltissimi paesi, e anche in Italia, ancora considerano il vitto e l’alloggio un sufficiente compenso al lavoro domestico di cura.

Neanche la rivelazione dalle condizioni vergognose imposte alle lavoratrici straniere nel Ragusano, vera e propria riduzione in schiavitù sessuale e lavorativa, ci ha indotte a considerare la dimensione reale dell’occupazione femminile: quella delle scelte politiche che hanno permesso e determinato quello che è stato chiamato scandalo. Ci abbiamo tutte pensato, certamente, ma l’impressione è che non abbiamo considerato che quella condizione è il punto di arrivo di un’economia che per divenire più efficiente e concorrenziale mira a modernizzare l’antica schiavitù mantenendone l’essenza delle origini. In generale siamo di fronte a lavoro, se non clandestino e “nero” come quello di Ragusa, venduto dalle agenzie ed ancora lavoro che spesso mette a rischio la vita. Ora i “lavoratori usa e getta” sono qui. Si tratta di una condizione che sempre di più impedisce lo sviluppo della civiltà delle relazioni umane, e che lo impedisce per tutte e tutti.

SCHIAVECome “è naturale” l’utile socialmente più significativo procurato dai paesi che fanno da serbatoio alla produzione di schiavi, è dato dalla tratta di donne e bambini e forse è ormai inutile ricordare che l’ottanta per cento delle prostituite in strada sono per lo più straniere e provenienti da tratta, mentre è impossibile quantificare il mercato illegale delle adozioni e della prostituzione infantile.

L’illusione che di questo si possa ragionare solo in relazione all’immigrazione, appartiene a quel meccanismo di interiorizzazione dell’oppressione che tutte dovremmo ben conoscere.

Occuparsi delle schiave e degli schiavi è occuparci di noi stesse e dei nostri figli, se ne abbiamo, in modo insospettabilmente diretto. La loro e la nostra libertà sono l’una il paradigma dell’altra

Il sale, il pescato, gli indumenti e gli oggetti, sono solo una parte delle merci prodotte attraverso il lavoro coatto, c’è infatti anche una schiavitù nella schiavitù che è quella delle donne nelle famiglie dei diseredati, ridotte a merce e costrette a “donare l’utero” per sfamare la famiglia, a donare il figlio ai figli del benessere.

Tutto questo non può essere consumato all’ombra delle convenienze di stato, ma neanche all’ombra del principio che tutto è meglio del morire di fame. In realtà fiumi di denaro provenienti dalla grande finanza, e perfino dalla comunità Europea, finanziano Paesi i cui despoti, con quel denaro, costruiscono la loro “credibilità politica” verso gli interlocutori istituzionali internazionali.  Tanto denaro evidentemente serve a generare a perpetuare la fame delle donne, che, se fuggono, fuggono dalla schiavitù e dal ricatto delle privazioni: riprodurre quel ricatto della fame e quella schiavitù, nei paesi della salvezza, non è meglio di nulla: è nient’altro che lo stesso imbroglio che hanno cercato di lasciarsi alle spalle.

Gli appelli delle donne Eritree, Somale, Mauritane e di tante altre sono chiari e rappresentano un contributo prezioso per la libertà di tutte e sono il terreno sul quale misurare la soggettività femminile nella politica.

Alcuni esempi, tra tanti, non abbastanza ricordati

Nel 1888 Isabella del Brasile promulgò “la lei aurea”, che sanciva la fine della schiavitù. Nel 2002, Ignacio “Lula” assumendo la Presidenza in Brasile dichiarò che il debito pubblico non era un’emergenza di fronte alle diseguaglianze presenti determinate dallo schiavismo.

Nel 1865 il Congresso USA approva il tredicesimo emendamento della Costituzione, per l’abolizione della schiavitù e l’emancipazione degli schiavi. Nel 1955 Rosa Parks viene arrestata a Montgomery per essersi volutamente seduta “nel posto dei bianchi”, in autobus. Nel 1994 gli USA sottoscrivono il NAFTA, un trattato che permette lo sfruttamento (e poi la sparizione e l’uccisione di centinaia di donne) della manodopera femminile in Messico, su committenza delle commerciali americane e internazionali.

Nel 1950 in Italia, grazie anche alla mobilitazione delle donne, la riforma agraria abolisce il latifondo, dove al sud intere generazioni hanno vissuto la schiavitù. Nel 2003 viene denunciata nel Siracusano la condizione dei braccianti agricoli, privi di riparo, di acqua e luce, mentre donne e bambini vengono alloggiati nelle serre in piena estate.

Nel 1981 in Mauritania viene approvata la legge contro la schiavitù. Gli ”Haratin” nel 2015 sono ancora schiavi e privi di identità anagrafica, le bambine Haratin sono a disposizione dei loro “padroni”. Gli attivisti antischiavisti, tra cui Mariem Cheikh, sono sistematicamente incarcerati.

In Eritrea dopo la guerra di liberazione, sotto l’egida delle Nazioni unite si forma nel 1993 il Governo del fronte popolare di liberazione del dittatore Afewerki. Nel 2015 le condizioni generali di oppressione schiavistica sanguinaria, le violenze sessuate costringono alla fuga migliaia di donne e uomini, ogni mese.   (Napoli 10 maggio 2016)

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