Scritto a Mosca, tra luglio e settembre del 1920, “La principessa guerriera” di Marina Cvetaeva è stato pubblicato in Italia per la prima volta nell’ottobre 2020 da Sandro Teti Editore. Un’edizione molto bella, affidata alla cura e alla traduzione di Marilena Rea, che offre anche un approfondimento “per una lettura metrica del poema.” Completano il libro una postfazione di Monica Guerritore e le immagini della prima edizione dell’opera, del 1922.

Il testo russo a fronte, e un apparato di note importante, ne fanno un libro destinato a chi ama e studia la poesia, a chi ama e studia la poesia simbolista russa del secolo scorso, infine, a chi ama e studia Marina Cvetaeva che, per la sua biografia e per la sua scrittura, è sicuramente una protagonista del Novecento. Ma l’interesse alla lettura di questa “fiaba” può essere anche più vasto, soprattutto se ci si pone nella prospettiva di usare la fiaba come un “reagente” chimico che faccia emergere un nodo tematico quanto mai attuale oggi: che cosa sono il maschile e il femminile? È possibile la loro combinazione o siamo di fronte al destino ineluttabile della loro neutralizzazione e della neutralizzazione della differenza sessuale nella moltiplicazione dei generi?

Il mito dell’Androgino è molto presente ne “La principessa guerriera” e il personaggio che meglio lo incarna è quello dello Zarevič: giovane, lunare, è felice quando sta sulla sua “barchetta” e quando suona, e la sua musica attrae Zar-fanciulla che, invece, ha forti caratteristiche maschili. Anche in “Eliogabalo” di Lina Mangiacapre (Nemesi) – opera teatrale scritta con Adele Cambria e andata in scena nel 1982 – il mito dell’Androgino e la Musica sono connessi. Nella scheda di presentazione di “Eliogabalo” si dice: “il desiderio di perdersi come distinti e ricongiungersi genera l’Androgino e il bisogno di Musica, una Musica infinita a cui ritornare prima della separazione e della caduta dell’umano.”

Di Marina Cvetaeva, dicevamo che fu una protagonista del suo tempo, ma una protagonista scomoda, sicuramente problematica, tanto che la filosofa Laura Boella la colloca tra “Le imperdonabili” (Laura Boella, Le imperdonabili. Milena Jesenská, Etty Hillesum, Marina Cvetaeva, Ingeborg Bachmann, Cristina Campo, Mimesis 2013). Ciò che rende “imperdonabili” queste scrittrici è una posizione “eccentrica” rispetto al proprio tempo, una “consapevole inattualità”, un rifiuto dello “spirito del tempo”. Marina Cvetaeva ebbe la vita spezzata dalla rivoluzione bolscevica, diventò un’esule per seguire il marito e durante l’esilio non fu in buoni rapporti con i letterati esiliati come lei; tornò infine a Mosca, ma qui era invisa agli stalinisti. Il suicidio, avvenuto nel 1941, chiude una vita sconquassata dalla storia e dalle personali sue passioni, oltre che dalla miseria e da forti dolori. Il rifiuto dello spirito del tempo, in Cvetaeva, non è solo dato biografico: in “Il poeta e il tempo” Cvetaeva dice che un artista deve creare il proprio tempo, non rifletterlo. E questa è sicuramente una condanna all’inattualità.

“La principessa guerriera” si svolge in un tempo astorico e ciclico, tipico della tradizione folclorica, non solo russa.

In tre Notti, alle quali seguono tre Incontri, e, prima della Fine, una Notte ultima, si muovono quattro personaggi principali: lo Zar, che passa il suo tempo in una cantina, a ubriacarsi e a tessere le lodi del vino; la Zarina, una donna più giovane che lo Zar ha sposato in seconde nozze, Matrigna dello Zarevič, il principe, del quale è innamorata, e che vuole a tutti i costi; infine, Zar-fanciulla, la principessa guerriera, androgino e amazzone, con una folta chioma riccia di un rosso infuocato, che vive, di là dal mare, in un rosso palazzo, e che guida un Vascello di Fuoco. La principessa guerriera, presente in altre fiabe tradizionali russe, qui ha forti connotazioni maschili, ed esprime, nella storia, la forte critica che Cvetaeva fa dei ruoli tradizionali femminili. (**)

Qui, anzi, assistiamo ad un completo rovesciamento della situazione tipica della fiaba, quella in cui l’eroe, maschio, parte in cerca della sposa. Qui, è la Vergine guerriera che solca i mari per conquistare il suo giovane sposo (***), lo Zarevič, un fanciullo inerte, malinconico, dedito solo alla musica. Lui è la Luna, (*) e Zar-fanciulla è il Sole, ancora un rovesciamento. La figura che più si avvicina al femminile è Matrigna, la Zarina, ma è una donna con “i tratti delle più crudeli donne bibliche”, fa notare una nota.

Come nella vita di Marina Cvetaeva, anche ne “La principessa guerriera” i personaggi inseguono l’amore e la passione, ma non raggiungono mai la propria meta. Quello tra Zar-fanciulla e Zarevič, tra il Sole e la Luna, è un incontro mai realizzato, come, nella biografia di Cvetaeva, l’incontro mai realizzato, anzi, “l’eterno mancarsi” con Boris Pasternak e Rainer Maria Rilke. L’opera si conclude con la morte di tutti i protagonisti, non come nelle fiabe dove muoiono solo i cattivi. Nella Fine, la storia irrompe nella fiaba che fino a quel momento ha mantenuto il suo carattere atemporale: il popolo in rivolta, esasperato da fame e soprusi, decreta la condanna a morte dello Zar. È il popolo della Rivoluzione Russa, quella che ha sconvolto la vita di Marina Cvetaeva.

*

All’amore non avvezzo,

odioso a me stesso.

Forse la luna, piangendo, come lacrima mi ha perso

**

Dopo una notte sul cavallo a fare guerre

(imperla la fronte il sudore-rugiada),

accanto alla finestra, a ridosso del mare,

Zar-fanciulla linda la sua sciabola.

Ai suoi piedi, accovacciata, la balia

le tira a lucido gli stivali.

«Oh tu, mio Zar, Zar-fanciulla,

Zar-Incendio, Zar-Tempesta!

Con te le parole non valgono nulla,

pace non dai a questa vecchia.

non mi sembri nutrita dal mio latte,

ma dal sangue di leonessa selvaggia!

Se la ride Zar-fanciulla:

«Senza famiglia si sta troppo bene!

Il Fuoco è mio padre, l’Acqua – mia madre,

il Vento è mio fratello, sorella – la Bufera.

Di altri parenti posso fare a meno!»

***

«Che fiamma è quella che solca le steppe del mare?».

– È la ragazza che va incontro alla sua felicità.