Gli antichi dicono che ai mortali compete di vivere nell’amarezza. Io non so quanta di quella amarezza ho fatto mia. Di sicuro so che ho avuto fortuna perché ho conosciuto e apprezzato la compagna, l’amica, la donna e anche grazie a Lei posso dire che ho imparato a vivere.Quando è morta Mariuccia aveva 48 anni, mi sono chiesta se era opportuno lasciarmi “andare” a un ricordo e mi sono risposta che anche Mariuccia avrebbe aggiunto, come ha fatto Alessandra Bocchetti, all’“andare” il “però”.
E allora vado, voglio correre questo rischio.

A Mariuccia non è stato dato “lo speciale destino toccato a chi è nata/o tra il 1935-1955” quella che che Serena Zoli ha chiamato “la generazione fortunata”.
No, Mariuccia non ha avuto questa fortuna e come si sa la fortuna, nelle Sibille, è raffigurata come una donna, rigorosamente bendata, con una sorta di cornucopia nelle mani che distribuisce ricchezza sotto forma di monete d’oro e denaro.
Lo sguardo della donna, celato dalla benda, è rivolto verso l’alto, verso il trascendente: nella tradizione la fortuna è sempre bendata, ovvero non è abituata a guardare in faccia a chi ne trae beneficio e invero può dunque favorire chiunque senza distinzione.

Io sono tra queste fortunate. Poco più che ventenni ci siamo conosciute nella Federazione del PCI, in via dei Fiorentini a Napoli.
Il partito e la citta’, un cocktail dal sapore amaro che Mariuccia ha sorseggiato consapevolmente. E Napoli e il PCI le si sono presentati per come erano: la citta’ dai “molti tradimenti”; il partito “della dissimulazione onesta” quasi sempre poco o per niente leale. Eppure Mariuccia ha amato Napoli e il PCI, perché amava la politica.

Insisto su questo amore perché la politica per lei era come la vita stessa. Era funzionaria del partito, una “rivoluzionaria di professione” e non a caso la sezione che aprira’ a Milano porta il nome di Teresa Noce. La sua energia, la sua passione politica era contagiosa. Oggi non mi pare che circoli tanta passione politica, al contrario mi pare che circoli più una sorta di cinismo disincantato e radicalmente antipolitico, che vede con sospetto risentito tutto ciò che a che fare con la politica. Figuriamoci parlare di rispetto, di dovere, di responsabilita’.

Invece Mariuccia ricopriva e portava avanti ogni incarico che le veniva assegnato con orgoglio e serieta’, la commissione femminile, quella operaia, la formazione della scuola di partito a Castellammare, l’organizzazione, la responsabilita’ della zona di Casoria. Lei era così, si impegnava nelle cose più difficili. Era masochismo, come qualcuno sussurrava in maniera maschilista? Io ho sempre pensato che era voglia di vincere, sì, perché Mariuccia aveva voglia di vincere. Era una sfida che lanciava a se stessa perché ne valeva la pena. Era radicale il suo desiderio come il suo agire.

Più di 15 anni di “politica seconda” direbbe la Cigarini, nei quali ha affrontato congressi, battaglie politiche come si diceva, sempre rispettosa del centralismo democratico. Ha soprattutto intessuto rapporti significativi gettandosi “a testa bassa” in relazioni femminili e politiche, non sempre corrisposte. Sono molti i ricordi e troppi sono gli episodi che tornano alla mente.

Ho davanti agli occhi l’amarezza di Mariuccia, il modo nervoso di ingoiare il fumo dopo aver acceso la sigaretta. E’ fin troppo facile oggi fare l’elogio di Mariuccia comunista, femminista, eppure l’amarezza le uscì fuori durante una cena, quando disse di aver trovato, usò proprio questi termini, “un distacco saccente” e “molti pregiudizi” nei suoi confronti. Alcune pensarono ad uno sfogo per le difficolta’ politiche vissute, a un lamento per esserci stata per tanto tempo, io ho pensato a una consegna politica verso chi, come me, invece continuava a stare nel PCI. Adesso sappiamo tutte come è finita, Mariuccia lasciò il lavoro di funzionaria e ritornò a Milano per poi far ritorno a Napoli. E inizia una nuova storia.

Gli antichi dicono che ai mortali compete di vivere nell’amarezza. Io non so quanta di quella amarezza ho fatto mia. Di sicuro so che ho avuto fortuna perché ho conosciuto e apprezzato la compagna, l’amica, la donna e anche grazie a Lei posso dire che ho imparato a vivere.

Nel libro “La parola fine – diario di un suicidio” Roberta Tatafiore dice che, nel “Simposio”, Diotima è invitata “come maestra per chiarire agli uomini il mistero dell’amore … l’amore è procreazione della bellezza, secondo il corpo e secondo l’anima … e anche la morte, aggiunge, è perfezione di armonia e di bellezza sprigionata dal generare, perciò, risponde a Platone che lamentava di non capire: non stupirti se ogni creatura onora naturalmente ciò che da essa germoglia. Questa tensione e questo amore appartengono a ogni creatura perché essa mira all’immortalita’”.