E’ stata approvata ieri, 15 luglio, la mozione presentata da Rocco
Buttiglione, presidente dell’UDC, che impegna il governo italiano a
promuovere, con le opportune modalità di presentazione e supporto, una
risoluzione delle Nazioni Unite che condanna l’uso dell’aborto come
strumento di controllo demografico ed afferma il diritto di ogni donna
a non essere costretta o indotta ad abortire, favorendo politiche che
aiutino a rimuovere le cause economiche e sociali dell’aborto,
altrimenti nota come “moratoria internazionale dell’aborto”.
Il
documento delle Nazioni Unite {{condanna, senza espliciti riferimenti a
paesi in particolare, tutte le pratiche di aborto selettivo}}, obbligato,
imposto o indotto tuttora in vigore, ma {{nulla dice né relativamente
alle diverse forme di contraccezione possibili}} né al reale accesso ai
servizi di salute femminile da parte delle donne; non affronta neanche
il nodo della maternità e di tutti i rischi ancora connessi al parto in
ampia parte del mondo, e neppure prende seriamente in esame quella che,
nelle intenzioni, è la questione centrale, vale a dire le cause
sociali, culturali ed economiche che, attenzione, non obbligano le
donne ad abortire, ma piuttosto impediscono loro di scegliere, nel
ricco Occidente come nei paesi più poveri.
_ {{Non una parola su guerre, povertà o fame}}.

Temi
di grande rilevanza e peso, ancora tutti “giocati” sui nostri corpi, in
questa circostanza anche subdolamente: quale donna potrebbe non dirsi
almeno sensibile alla questione dell’aborto selettivo, così come viene
presentata, o non provare orrore sapendo che altre sono obbligate ad
interrompere una gravidanza altrimenti desiderata?

Non è su questo
terreno che va collocato il confronto, o lo scontro, piuttosto sono
altre le considerazioni che è ragionevole fare, soprattutto alla luce
di quanto emerso durante il [dibattito parlamentare->http://leg16.camera.it/organiparlamentarism/241/5335/ordineDelGiorno.asp?slAnnoMese=200907&slGiorno=13] che ha preceduto
l’approvazione della mozione e tenendo anche conto della settimana
particolare che stiamo vivendo, dal G8 dell’Aquila all’approvazione del
pacchetto sicurezza, passando per la cosiddetta sanatoria per le
badanti, che, qui e una volta per tutte, vorremmo almeno definire come
loro stesse chiedono, vale a dire assistenti familiari.

Non
è probabilmente casuale che la presentazione del testo di moratoria, e
relativa approvazione, sia avvenuta a pochi giorni dall’incontro tra il
presidente degli Stati Uniti Barak Obama e Benedetto XVI, terminato
appunto con l’impegno, da pare di Obama, a far diminuire gli aborti in
America.

Il colloquio tra i due è stato infatti richiamato,
ovviamente a sostegno delle proprie posizioni, nelle dichiarazioni di
voto di Buttiglione e del cofirmatario della mozione, Lucio Barani,
capogruppo del Pdl in commissione Affari Sociali della Camera ed
esponente del Nuovo Psi, nonché promotore nel comune di Aulla, in
provincia di Massa Carrara, della statua dedicata a Bettino Craxi…e
tra i redattori del testo sul testamento biologico.

Vale
la pena di entrare nello specifico e citare qualche passaggio,
ricordando che la{{ mozione è stata approvata con il voto favorevole
della teocon Paola Binetti e di altri compagni di gruppo e
l’astensione, non l’opposizione, di PD e IdV}}.
_ Da sottolineare come il
centro sinistra abbia sì presentato{{ due testi propri,}} che sono però
molto simili, a parte il richiamo alla contraccezione, a quello di
Buttiglione…

E quindi: {{Buttiglione si guarda bene dall’attaccare
la legge 194}}, anzi, la fa propria esattamente per quanto riguarda il
suo impianto politico generale, che il movimento delle donne ha sempre
criticato, vale a dire il sostegno alla maternità, e non alla scelta, e
il riconoscimento dell’obiezione di coscienza; passa poi a sostenere
che il bambino esiste e ha diritto alla vita…d’altro canto Dio affida
il bambino in modo così penetrante alla madre che è difficilissimo,
forse impossibile, difendere il bambino contro la madre…bisogna
difendere il bambino insieme alla madre, rafforzando l’alleanza tra la
madre e il bambino e qui riconosciamo la struttura portante della legge
40 sulla fecondazione assistita, che proprio quell’alleanza ha rotto
giuridicamente; infine Buttiglione si produce in una vera sciocchezza,
affermando che dove cresce l’economia, dove cresce l’educazione e
soprattutto l’educazione femminile e i tassi di scolarizzazione
femminile, i tassi di natalità decrescono, quando tutti gli indicatori
della Banca Mondiale e del Fondo Monetario sostengono esattamente il
contrario…ma, evidentemente, educazione vuol dire lavoro e
indipendenza e forse, al di là di quanti figli far fare a una donna, il
problema è proprio questo: {{autonome vuol dire incontrollabili}}.

Uno
sguardo alla dichiarazione di voto di[ Barani->http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=14352&stile=6&highLight=1&paroleContenute=%27MOZIONE%27], anche questa di per sé
eloquente: nell’equiparare nel corso di tutto il suo intervento aborto
e pena di morte, come già Giuliano Ferrara lo scorso anno, ripete
spesso, e giustamente…, che l’interpretazione della legge 194
ripetutamente formulata dalla Corte Costituzionale italiana è che
l’interruzione volontaria della gravidanza sia da intendersi soltanto
come risposta ad uno stato insuperabile di necessità e non come
esercizio di un diritto di scelta della donna… e che, continua, la
maternità ha un valore sociale legato alla tutela della vita umana fin
dal suo inizio, tutela di cui Stato e individui si devono preoccupare.

Riteniamo superfluo sottolineare come, in tale ottica, non sia
assolutamente considerato non solo il concetto di autodeterminazione
sul proprio corpo che le donne reputano fondamentale, essenziale e
basilare, ma come {{ormai sia luogo comune quello della pretesa
incapacità delle donne}}, che se non sono, letteralmente, assassine
quanto meno hanno bisogno di un intero corpus sociale che dica loro
cosa fare.

Questo passaggio è stato particolarmente applaudito dai deputati PdL e Lega.
Buttiglione
e Baroni affermano entrambi che una cosa è il dibattito interno sul
tema, tutt’altra la situazione dei paesi del “terzo mondo”, quelli, per
intenderci, da cui provengono le donne, e gli uomini, che per la legge
italiana da ieri, 15 luglio, sono criminali per il solo fatto di
esistere: clandestini.

Se {{per le donne europee e nord americane il
lavoro è in qualche modo una conquista}} ed è piuttosto difficile
immaginare di poter tornare indietro, come anche i due su citati devono
a malincuore ammettere, d’altra parte il ruolo che alla donna viene
richiesto di ricoprire al meglio è pur sempre quello tradizionale e il
lavoro di cura, tutto legato alla sfera riproduttiva e familiare, è
ancora, soprattutto, un “affare di donne”, soprattutto tenendo conto
del fatto che i servizi sul territorio diminuiscono o vengono
ridimensionati drasticamente.

Si può fare riferimento ai
tagli previsti dalla Gelmini per quanto riguarda il tempo pieno, ai
nuovi piani sanitari che cancellano o ridefiniscono l’assetto di interi
ospedali o ai consultori, che spesso funzionano solo grazie
all’abnegazione del personale e che spesso rappresentano, soprattutto
per le donne immigrate, una risorsa preziosa e irrinunciabile.

{{A
sostegno indispensabile di un welfare precario, oggi ci sono in Italia
660.000 assistenti familiari}} regolarmente registrati, di cui l’87%
donne, l’88% straniere e una stima di circa 500.000 che lavorano in
nero: molto più colf che badanti, puliscono, stirano, cucinano, si
occupano dei bambini e degli anziani non autosufficienti e si
percepiscono più come persone della famiglia che come lavoratrici
domestiche, spesso mettendo in gioco, al di là del loro tempo e
disponibilità anche un di più di investimento emotivo che in qualche
modo colma e ripaga del vuoto degli affetti lasciati nei paesi
d’origine.

{{E’ una
“catena della cura”}} che ci coinvolge tutte e che deve cominciare a
porre qualche problema, ad aprire qualche contraddizione: 500.000
persone, nella stragrande maggioranza donne, che sarebbero, come tutti
gli altri, perseguibili per reato di clandestinità, se non si trattasse
di utili schiave nelle nostre case, i cui corpi hanno anche un valore
ulteriore, per lo stato italiano: 500 euro pro capite, non deducibili
dalle tasse.

Il ddl anticrisi definisce i requisiti e tutte le
procedure, tra cui spicca l’acquisizione necessaria del parere della
Questura, art. 6, e la schedatura, art. 3 punto b.: utili sì, ma sotto
stretto controllo.
_ {{La cosiddetta emersione è tutta nelle mani del
datore di lavoro, italiano,}} che, almeno a quanto cominciano a
raccontare gli operatori dei centri di assistenza e degli sportelli per
gli immigrati, stanno per ora rispondendo in maniera molto semplice, e
immediata: buttandole fuori di casa, senza preavviso, dalla sera alla
mattina.

{{L’impianto
è chiaro: chi serve in qualche modo rimane dentro}}, dopo averlo spremuto
ancora un po’, chi è fuori è preda. Guardie e ladri…

E allora proviamo a seguire {{il percorso, verosimile, di K., marocchina}}.
_ Si
occupa di un anziano, 24 ore al giorno, ma non ha il permesso di
soggiorno. Legge i giornali, guarda la televisione, si preoccupa. Si
rivolge allo sportello migranti della città in cui vive e spiega poi ai
suoi datori di lavoro che è possibile regolarizzarla senza rischi, ma
la risposta è, testualmente: non abbiamo 500 euro da buttare!
K. è
fuori casa, una busta di plastica in mano con dentro tutti i suoi
vestiti.
_ Ma K. è fortunata, perché ha un fratello e un posto dove
andare. Il fratello, H. è sposato, un figlio in Marocco e uno in
arrivo. Anche H. è senza documenti, una mansarda presa in affitto da un
italianissimo speculatore.
_ La cognata di K. ha appena scoperto che
sta per mettere al mondo un bastardo, si chiede come farà, lei
clandestina, ad andare in ospedale a partorire o, peggio, a registrare
la nascita del bambino.
_ E’ disperata, anche perché, se per miracolo il
padrone di suo marito lo regolarizzasse, per far venire in Italia dal
Marocco il primo figlio dovrebbero ottenere una certificazione da parte
del Comune dell’idoneità abitativa dell’alloggio, ma la via crucis non
finisce qui…. li aspetta anche il superamento di una prova di
conoscenza della lingua italiana e il versamento di un contributo
economico per ogni rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno.

Ma
K. e sua cognata sono donne di spirito e non si perdono d’animo: K. le
dice che se le donne italiane andranno in pensione a 65 anni, per loro
di lavoro, in qualche modo, ce ne sarà sempre!
Coincidenze?

Tutte
le donne svolgono un doppio lavoro, uno retribuito e l’altro domestico,
l’uno funzionale all’altro, e di quest’ultimo, che non ha confini
fisici né limiti di orario, di mansioni o di età, si occupano per circa
i 2/3 senza alcun aiuto da parte del compagno o marito,
indipendentemente dal ricorso a colf o baby- sitter, dedicandovi,
nell’arco della settimana, quasi lo stesso tempo che viene impegnato
dal lavoro fuori casa.

{{E’ evidente che non è possibile parlare di parità tecnica, come ha fatto Sacconi,
tra uomini e donne}}.

Il
piano prevede che l'{{età pensionabile delle donne nel pubblico impiego
sia portata gradualmente a 65 anni.}}
_ A partire dal prossimo anno per la
pensione di vecchiaia per le donne il computo aumenterà di un anno ogni
due anni, l’anno prossimo le donne del pubblico impiego potranno andare
in pensione a 61 anni e l’equiparazione con gli uomini, l’uscita a 65
anni, si avrà nel 2018.

Quale discorso viene fatto relativamente
alle enormi differenze dal punto di vista delle retribuzioni, dei
percorsi professionali e delle tutele sociali che interessano le donne
che lavorano? Viene posta la questione, centrale, dell’inconciliabilità
tra i tempi di vita delle donne e le “esigenze” e i ritmi del mercato
del lavoro? E soprattutto, che tipo di lavoro è quello che le donne
dovrebbero svolgere fino a 65 anni?

Sono
tutti spunti che vorremmo offrire ad una riflessione più ampia, certe
che davvero di coincidenze non si tratti: l’ordine simbolico di
riferimento è molto chiaro e vale per tutte e prevede che tutte le
donne, come gli uomini, siano schiavi del lavoro salariato al servizio
del capitale almeno fino a che, fisicamente e biologicamente ancora
costituiscono, per il mercato, una risorsa e non un costo, ma le donne
italiane lavoreranno fuori e dentro casa, almeno fino a che il primo
figlio non le costringa, entro i due anni di vita del bambino o
bambina, ad abbandonare il lavoro (20% del totale, dati Istat), mentre
le donne immigrate, costantemente ricattabili e invisibili, andranno a
svolgere tutti quei compiti che il welfare non sarà più in grado di
assicurare.

{{Le prime angeli del focolare}}, seppur a intermittenza, fuori
e dentro dal mercato del lavoro, le seconde serve e basta…ma tutte,
tutte sotto sorveglianza., in casa, al lavoro, in strada.

{{Le
ronde non rispondono ad alcun bisogno di sicurezza}}, tanto meno delle
donne, rappresentano solo l’aspetto più rozzo dell’esercizio di un
controllo che ha bisogno di andare a cercare il mostro sempre altrove,
salvo poi meravigliarsi, puntualmente, della sua normalità.

Il
potere ha sempre lo stesso volto, e più nomi: patriarcato, capitalismo,
razzismo…non può più esservi analisi che non li colleghi e non li
legga insieme, riconoscendo la specificità di questa alleanza e dei
suoi primi bersagli, le donne. Donne che si muovono nel mondo più facilmente e
frequentemente di
quanto sia mai accaduto in precedenza, come sottolinea Barbara
Ehrenreich, autrice di un importante studio sui fenomeni di migrazione
femminile dal Sud al Nord del mondo, e che se per ora sembrano
partecipare ad una sorta di catena globale dello sfruttamento, possono
proprio in essa trovare le risorse per sottrarvisi ed opporsi, insieme.

Le compagne del Csoa Askatasuna
Collettivo femminista rossefuocoTorino luglio 2009