Quali le scelte etiche e artistiche della sua politica musicale che crea nuove comunità culturali e creative e progetti compositivi alternativi e le ragioni della presa di distanza da mercati e case discografiche a favore della composizione indipendente?

Innanzitutto ringrazio per l’intervista propostami da PeaceLink e ANPI.

La mia musica (mi reputo solamente “una voce, uno strumento” che si sforza di “cantare per la pace”), che ha iniziato la sua metamorfosi dopo l’11 settembre del 2001 per poi trasformarsi in musica impegnata dopo il 15 febbraio 2003 – quando in Italia e nel mondo si svolse la più imponente manifestazione pacifista contro la guerra in Iraq – ha l’obiettivo di “svegliare le coscienze”, in particolare dei giovani, di chi ascolta. Non si tratta della solita musica; affronto tematiche sociali “scomode”, che interrogano le coscienze; invoco il cambiamento di rotta e domando: “Qual è la tua parte?”. Con il tempo, coerentemente con il mio ideale di pace, ho compreso che non si possono servire due padroni né stringere i cosiddetti “patti con il diavolo”.

Sono una libera pensatrice, una ribelle, non allineata a sistema e mi sono resa conto che negli ambienti artistici e musicali, che conosco da vicino, è difficile veicolare messaggi dai forti contenuti di pace.

I suoi dischi sono sempre propositivi e innovativi. Come si vive questo impegno quotidiano?

È difficilissimo. Prima di tutto bisogna essere attenti, non lasciarsi distrarre dalle tendenze passeggere; bisogna cercare di captare le voci inascoltate nel caos di questo mondo; di comprendere l’emergenza del momento, farla propria e trovare l’ispirazione per un messaggio, in musica, finalizzato a scuotere i dormienti. Argomenti ce ne sono tantissimi. Basta documentarsi, essere aggiornati e avere una visione anche globale sulle vicende che ci circondano. Da qui partire per una “missione” musicale, poiché credo che questo tipo di musica sia nel contempo “missione e azione”. Il mio obiettivo è scuotere le persone, toccarne i cuori.

Molte sue canzoni recuperano i valori e l’etica della Resistenza partigiana antifascista che il secondo dopoguerra aveva recepito a livello letterario (es. Calvino, Fenoglio, Pavese) e in tutti gli altri campi. È poi subentrato, penso, un vuoto politico e istituzionale e da questo baratro è emerso un nuovo attuale movimento culturale sulla Resistenza che è il mio bacino di riferimento. Cosa pensi in proposito?

La Resistenza partigiana antifascista, con i suoi gloriosi padri e madri che rappresentano modelli da studiare e imitare, è uno degli argomenti più affascinanti cui continuamento m’ispiro. Pensando a loro, avverto una forte emozione e una grande forza perché non mi sento sola in questo percorso, ma insieme ai tanti e alle tante che negli anni si sono mossi sugli stessi ideali di libertà e di verità e d’affermazione della pace, dando anche la vita per questo.

Quale la sua collaborazione con il padre comboniano Alex Zanotelli, impegnato nella campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN”, rete internazionale per il disarmo nucleare, e con padre Raffaele Nogaro vescovo emerito, per la campagna “Digiuno di giustizia?”

Da tempo condivido il mio percorso di pace con padre Alex e i missionari comboniani: dalla campagna “Pace da tutti i balconi” alle proteste contro la Bossi-Fini, a favore del referendum sull’acqua pubblica e del “No” al nucleare.

 “Digiuno di giustizia” è una protesta contro le politiche che stanno facendo scivolare il nostro Paese in una sorta di disumanizzazione e di pochezza di valori. Tra i molti firmatari, c’è il vescovo emerito di Caserta Raffaele Nogaro, da sempre schierato contro le mafie, il sistema di potere e l’ingiustizia. Se la politica non cambia rotta adottando linguaggi e scelte di pace, non è politica ma solo abuso di potere.

La campagna internazionale “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN” per l’abolizione degli ordigni nucleari è stata insignita a Oslo del Premio Nobel per la Pace 2017, per il disarmo nucleare universale.

Tra le associazioni italiane in ICAN, ci sono PeaceLink e i Disarmisti Esigenti e a mia volta ti ringrazio di averci concesso questa intervista che riteniamo utile alla diffusione di ideali di pace e non violenza.

Ogni giorno concludo le mie riflessioni e i miei interventi con la frase: “La pace è l’unico rimedio alla follia dell’odio che genera guerra”.

La guerra si combatte con le armi. L’origine di tutti i mali sono questi ordigni di morte. Quando le persone, di fronte alle crudeli immagini dei tanti conflitti in corso, inorridiscono e si chiedono il perché non venga fermata la guerra, rispondo che essa è un’invenzione delle lobby armate. Sulla produzione di armi investono i loro soldi. Basta impedire la produzione delle armi e le guerre cesseranno immediatamente. Ci riusciremo? Non basta indignarsi e provare orrore. Bisogna agire, scendere in campo e metterci la faccia. Una valida azione è proprio la campagna in oggetto cui anche la mia provincia, di cui sono portavoce, aderisce: “Il cambiamento è possibile, basta crederci, ma bisogna lavorare intensamente e sensibilizzare le coscienze partendo da quei luoghi dove si fa informazione, istruzione, cultura e politica, per raggiungere quest’obiettivo. Insieme possiamo farcela a dare un calcio e cambiare le sorti di questo mondo”. È un grande segnale l’ottenimento del Nobel per la Pace che impegna ciascuno nelle proprie scelte di pace.

L’istituzione scuola dovrebbe avere una missione formativa, ma soprattutto informativa, sui processi di coscientizzazione e conoscenza del presente, dei conflitti contemporanei, delle cosiddette “guerre umanitarie” sdoganate per “missioni di pace”, in contrasto con l’articolo 11 della Costituzione. Quali strumenti suggerisci di dare ai giovani per comprendere il presente, tramite scelte scolastiche orientate a comprendere la Storia, come strumento di lettura dell’attualità, oltre le prevaricazioni neofasciste dei revisionismi e dei negazionismi?

L’istituzione scuola è fondamentale per la formazione del discente. Per questo reputo che bisognerebbe reintrodurre lo studio dell’educazione civica, abolita dalle riforme. A mio avviso, il Ministero dell’Istruzione dovrebbe attivarsi in tal senso. La scuola è il primo organo istituzionale cui è affidato il compito di istruire e indicare le linee guida alle nuove generazioni. L’istituzione scolastica non deve limitarsi alla semplice lezione dell’apprendere a leggere e a scrivere, ma insistere nell’opera formativa ed educativa di presa di coscienza, sviluppo della coscienza critica e delle responsabilità.

Latouche con il pensiero della “decrescita felice” apre orizzonti a un sistema basato sull’ecosostenibilità, sull’utilizzo delle energie alternative, contro le lobby del nucleare, dell’acciaio e delle armi, aprendo a prospettive di “conversione ecologica”, per citare Alex Langer. Quale il suo contributo a questo pensiero?

La “decrescita felice”, anticipata dal grande Alexander Langer, profeta incompreso e riproposta da autorevoli voci ambientaliste, economiste, filosofiche ed ecclesiastiche (fra cui Al Gore, Premio Nobel per la Pace 2007), e Papa Francesco, si fonda su un modello ecosostenibile con uso di energie alternative non inquinanti e non aggressive per il pianeta. Credo sia la soluzione per uscire dalla crisi globale in atto. La difesa del diritto alla vita è da anteporre a ogni programma politico e da sostituire al dio profitto. Contribuisco con il mio brano, Salviamo la Terra (ascoltabile su YouTube). Aiutare la nostra Madre Terra a recuperare il suo equilibrio e il suo ecosistema significa lavorare per la pace che non potrà esserci altrimenti.