Un’altra riflessione sul dibattito del 10 ottobre 2009, alla Casa internazionale delle donne a Roma, sul tema “Sesso, politica e potere”.
“Siamo qui per dire che ci siamo!”. “Ma dov’eravamo quando…?” “Il silenzio delle donne non è muto!”; “abbiamo parlato e ci hanno silenziate!”, “Adesso basta!”, “ci confondono con le…”, “ma non abbiamo paura delle contaminazioni…”

Sembriamo tante, perché lo spazio è quello che è, e meno male che c’è. Siamo tante. {{Scopro che ci conosciamo, non tutte, ma molte, siamo sempre le stesse? Questo è il mio dubbio}}. Poi gli interventi, la novità sono gli amici di maschile plurale, e non è poco. {{La novità è esserci.}} La novità è sapere di avere un desiderio comune seppure riversato in quella sala sotto molteplici sfaccettature e, direi, per fortuna, le voci si susseguono e ognuna mette in luce la sua particolare visione, la sua analisi. Solo alla fine, quando ormai non rimane più tempo per parlarne, una giovane donna getta la sua critica radicale:{{ “Non partiamo più dagli anni settanta!}} “ Quasi un’accusa di protagonismo chiuso in se stesso, rivolta alle femministe di quegli anni.

Doveva gettare prima quel suo sasso bollente, ormai ricorrente negli incontri tra più generazioni di femministe; lo afferma la giovane voce accusatoria: “dovevo dirlo prima”, si! Doveva dirlo prima quando avrebbe potuto essere un elemento di confronto e riflessione e, mi auguro di crescita.

Ma niente avviene invano, sono certa che su questo rifletteremo, non sulla data da cui partire, non si può certo omettere una storia, una storia se la si ha la si deve riconoscere ed onorare, ma {{su come comunicare tra le generazioni di donne in maniera efficace e soddisfacente}}. Questo è il tema: {{come parliamo, cosa ci raccontiamo, perché appare così pesante una eredità di scoperte, cammino, ricerca e lotte?}} Forse è la forma in cui siamo costrette a ritrovarci, mai in cerchio, le sedie messe in fila una dietro l’altra ci fanno “pubblico”. Lo so può sembrare una sciocchezza questa nota ma occorre rifletterci: molte si sentono pubblico? Qui entra in gioco anche la capacità che i media femminili hanno di far ascoltare più voci, di dar loro spazio e opportunità, quello spazio che spesso, questo ce lo possiamo dire, viene occupato dalle voci ritenute, e giustamente, qualificate e qualificanti.

Occorre {{ampliare il dialogo}}, renderlo possibile, portarlo nelle periferie, ai margini, laddove non arrivano nemmeno le briciole. Ne ho esperienza diretta, nel mio lavoro con piccole comunità cittadine mi accorgo di un grande vuoto, di un grande silenzio (che non è proprio quello spirituale, così arricchente) .

{{ Quando}} chiederemo di riscrivere i libri di storia per le scuole? {{Quando}} entreremo in esse anche se non ci vogliono?{{ Quando}} ci riprenderemo gli spazi reali, sapendo che i bellissimi libri prodotti dal pensiero femminile non riescono ad arrivare alle giovani ed ai giovani che stanno crescendo e che coltivano una memoria legata solo alla violenza ed alle guerre?

Uscendo dalla sala della Casa Internazionale delle Donne, mi sono resa conto che non ci siamo date un altro appuntamento. Forse non è necessario, mi dico. E adesso? {{Adesso scriveremo, leggeremo, lasceremo che le parole dette sedimentino, diventino fermento per…}} mi sembra che il tempo sia breve, non possiamo continuare ad elaborare, per parte mia ho deciso cosa farò ma credo che tutte abbiamo il compito di rinominare la Politica, di richiamarla alla sua vera essenza, consentendo l’operazione alchemica che tramuterà i nostri desideri e le nostre parole in azioni. Costruire continuando a pensare, con attenzione a tutte le voci in campo.