Chi offende il berlusconi-gate di cui continuano a essere piene le cronache? Chi viene travolto e confuso nell’infinita notte della Repubblica che stiamo vivendo? E di che natura è l’offesa? E che cosa deve essere messo al centro di un discorso pubblico di radicale critica di Berlusconi e del berlusconismo?Al centro va messo intanto con chiarezza il nesso {{sesso/soldi/potere}}, da sottolineare fino alla noia. Questo nesso non costituisce un aspetto di “eccesso” o “volgarità” del premier, da confinare, come piacerebbe a lui e a molti, tra le pieghe della sua vita privata: che per altro è un tutt’uno con quella pubblica. Ma non è neanche una questione da collocare in misura preponderante sotto giurisdizione femminile, considerandola di femminile specificità, incorniciandola e enfatizzandola, come sta avvenendo nel tam tam mediatico, sotto il titolo “offesa al corpo delle donne”.

Come se il sexgate fosse il lato antiquato da vecchio satiro del berlusconismo – la misogina spudoratezza di antiche e arcaiche stanze segrete che rifà di tanto in tanto la sua comparsa – e riguardasse soprattutto se non esclusivamente il capitolo “dignità delle donne”. Quali donne poi? Le ragazze di Arcore fanno parte o no del capitolo?

Se, come dice {{Gustavo Zagrebelski}}, le notti di Arcore mettono in scena in miniatura, come un reality della realtà, “esattamente ciò che avviene sul grande palcoscenico della politica nazionale”, la giostra sessuale intorno al sovrano, in quel nesso sesso/soldi/potere che la fonda e la performa, riguarda il Paese in ogni suo aspetto e risvolto. Riguarda donne e uomini e il cambiamento che è avvenuto nei rapporti tra i sessi e nell’intreccio di nuovi modi della soggettività femminile e maschile; e riguarda le istituzioni, le regole, il senso della convivenza civile e la natura stessa della democrazia.

Nella loro evidenza di sregolatezza da impero alla fine, le notti di Arcore e dintorni sono il simbolo di un {{guasto profondo della nazione}}, che è penetrato come un virus nella fisiologia civile del Paese, nel funzionamento delle istituzioni nella trama relazionale tra le persone. E si è annidato in profondità nei meccanismi che regolano il potere e lo scambio tra chi può dare e chi può ottenere. Scambio che ormai avviene per lo più fuori da ogni legge, limite, decenza, perché il potere è guasto fino al midollo. E ci sono dentro in numero crescente uomini e donne, direttamente per convenienza, indirettamente per cattura mediatica.

E’ questo che garantisce{{ l’esercizio di un potere privato}} che è un tutt’uno con quello pubblico e che, senza soluzione di continuità e con inaudita protervia, dalle ville private ai palazzi istituzionali, si avvale degli stessi strumenti: denaro, posti, promesse, corruzione. Mercimonio di corpi e di anime. Corpi e anime a disposizione dell’artificiale e grottesco godimento di un corpo senescente in decadenza – e, per altro, di tutto il resto che tocca gli interessi di quello stesso personaggio – e anime e corpi a disposizione del ripugnante bocca a bocca di un regime boccheggiante. Corpi nudi e anime morte, che affollano le sale del bunga bunga erotico e i ridotti dei bunga bunga istituzionali.

{{Donne e uomini fanno parte del gioco}}, tenuto in vita anche dall’inefficace politica di chi sta all’opposizione e si indigna mediaticamente per gli scandali ma lascia correre senza indignazione troppe cose. Il sexgate ci dice, nella sua infetta limpidezza, che uomini e donne sono sul mercato e in competizione a tutti i livelli per una fetta, fettina, fettona di potere: sia l’assegno milionario, sia la carriera televisiva, sia il seggio parlamentare, sia il posto da ministro e quello che volete voi. Un modello di vita, un’idea di società, una pratica di potere. Sottomissione e fedeltà in cambio di favori. Ma anche infedeltà, ricatti e irrisioni, perché il berlusconismo ha nutrito e si è nutrito – in una misura patologica che non conosce sosta – di quel grande spostamento di senso, che possiamo definire come un vero e proprio passaggio antropologico, dall’accettazione del “limite”, come misura del vivere, accettazione di ciò che mediamente è (o era ) percepito come terreno “permesso”, all’affanno bulimico del “tutto e subito”; dal fare cioè i conti con il limite della norma all’insofferenza, all’indifferenza, alla messa in mora e alla derisione della norma, di cui sbarazzarsi. Spostamento che segna l’iper modernità di questa epoca post democratica e che alimenta, nel nostro Paese in maniera particolarmente evidente, forme una volta impensabili di reciprocità velenosa tra chi dispensa favori e chi li riceve.

Su questo terreno ogni altra politica rispetto a quella di Berlusconi o non c’è stata o non ha visto, saputo, voluto vedere i mutamenti in corso o ha ridotto tutto a questione giudiziaria o a scandalo moralistico, intanto però concedendo spazio politico a Berlusconi, fino a morirne. Ancora in questi giorni di follia, mentre la maggioranza cerca di sopravvivere con pratiche da clan tribale, rompendo ogni parvenza di legalità istituzionale e alimentando l’indecente guerriglia tra i poteri dello Stato – magistratura e corte costituzionale in testa, nella quotidiana litania di Berlusconi dei nemici da far fuori – ancora oggi c’è chi, nel campo dell’opposizione, premurosamente offre una mano al governo per trovare la via d’uscita dall’empasse in cui è rimasto impigliato il federalismo comunale.

Siamo a questo punto: tra il sovrano e la sua corte, tra il vecchione e le susanne, c’è un’Italia cambiata in profondità, dove la dignità ha sempre meno radici a cui attingere e i giovani no future riempiono vanamente le piazze o se ne vanno altrove e i lavoratori vanno in rottamazione e la politica è solo quella delle alleanze per restare dove si è. Né più né meno. Il Berlusconi-gate parla anche di questo e dunque parliamo di questo.

Veline, escort, ragazze che sbarcano (o cercano di sbarcare) più o meno lussuosamente il lunario; che svelano gli inganni e ordiscono inganni, ammettono e ritrattano con spregiudicato senso delle convenienze personali e calcolo di quanto possa valere il rimbalzo mediatico delle proprie mosse; che sono usate ma usano il proprio e, appena possono, anche il corpo del sovrano: tutte queste storie parlano della società italiana, del suo essere ridotta a mucillaggine, delle sue derive e implosioni.

Se c’è del marcio – e marcio ce n’è a bizzeffe – c’è anche da chiedersi perché il marcio che la vicenda proietta in ogni direzione e condensa sul piano simbolico debba toccare in primis il corpo delle donne e suscitare soprattutto indignazione femminile, riproducendo lo stereotipo della donna vittima.

L’indignazione dovrebbe essere di tutti, se proprio dobbiamo indignarci. {{Non c’è forse in gioco anche una messa in scena orripilante del maschile?}} E non c’è la violazione dell’umano a tutti i livelli e in tutte le direzioni, nell’uso strumentale che viene fatto dei corpi e delle anime, nell’inverecondo assoggettamento delle persone alle bulimie e smanie di potere dell’italico rais? Ma anche in quella ossessiva rincorsa che i media fanno delle ragazze del sexgate, in quel voyeurismo nevrotico e compulsivo che ha inondato le cronache in queste settimane, c’è il riflesso di una società guasta, che arzigogola sui rami che stanno sotto i riflettori della cronaca senza interrogarsi sul buio che cela e rende impenetrabile la foresta.

Invece bisogna ricominciare da là. Ma più che indignazione forse serve di nuovo politica. Antica e nuova, come le cose che valgono davvero.

{articolo già pubblicato sul settimanale “Gli altri”, prima del 13 febbraio}