GIO, presente sulla scena accademica e culturale dal 2009, ha iniziato con una NEWSLETTER quindicinale una nuova forma di dialogo con le iscritte e gli iscritti e quanti sono interessati a queste tematiche; saremo presenti nel dibattito contemporaneo, che richiede sempre una presenza vigile , a 360 gradi

 La giornata internazionale delle donne nella scienza

L’11 febbraio, l’ONU ha deciso di promuovere in tutto il mondo una iniziativa per mettere in luce le tante donne impegnate nella ricerca e, nello stesso tempo, incoraggiare le giovani donne ad intraprendere studi scientifici e dedicarsi alla ricerca. Secondo le Nazioni Unite, infatti, scienza ed eguaglianza di genere vanno necessariamente insieme, anche in vista dell’agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. Molti passi in avanti sono stati fatti fino ad oggi: sempre più donne si dedicano alla scienza ed il loro numero è in graduale aumento, ma esse continuano a costituire una frazione esigua. Elena Giannotti che da qualche anno dirige il CERN di Ginevra porta come esempio il suo Istituto in cui lavorano 17.000 ricercatori delle nazionalità più diverse, senza distinzione alcuna di razza, di etnia o di genere. Ma le donne costituiscono ancora una minoranza, il 12% contro il 4% di venti anni fa. Un aumento non certo considerevole ma che fa sperare in un maggiore interesse delle giovani donne a scoprire il loro potenziale come ricercatori scientifici ed innovatori nel campo della scienza. Anche se, come osserva Emanuelle Charpentier, direttore dell’Istituto per le infezioni biologiche del Max Planck di Berlino, per una donna esistono molte difficoltà, specie se ha una famiglia, tanto che non succede raramente che una ricercatrice sia costretta a rinunciare alla ricerca. E magari è particolarmente dotata, il che significa una grossa perdita per tutti.

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Le molestie sessuali sembra facciano parte del corso della vita della donna

Un report condotto dall’Istat su “le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro” negli anni 2015-2016 ci offre un quadro assai desolante del fenomeno, con dati che ne attestano la pervicace persistenza, nonostante sia più che mai in atto il tentativo di contrastarlo e di combatterlo. Risulterebbe, infatti, che il 43,6% delle donne tra i 14 ed i 65 anni hanno subito, nel corso della loro vita qualche forma di molestia sessuale: vittime di ricatti sessuali sul lavoro per ottenerlo o per migliorare la propria carriera. Le vittime più numerose lavoravano o cercavano lavoro nel settore delle attività professionali, scientifiche o tecniche. Quel che stupisce è il silenzio e la mancanza di una denuncia alle forze dell’ordine da parte della maggioranza delle vittime. I ricatti sessuali sul lavoro, anche se ultimamente secondo l’Istat hanno subito una leggera flessione numerica, restano comunque molto frequenti, nonostante le varie campagne e l’impegno delle associazioni femminili almeno per convincere le donne a denunciare il ricatto subito e a fare “outing”. La percezione della gravità delle molestie fisiche, infine, segna, come sembra ovvio, una differenza tra i generi: il 76,4% delle donne le considera molto o abbastanza gravi contro il 47,2% degli uomini, per molti dei quali risulta quasi una prova di machismo, quasi obbligatoria in certe situazioni. Una prova di virilità individuale e sociale. Ma è davvero così o non si tratta piuttosto, nella maggior parte dei casi, di abuso di potere?

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Dio salvi la regina

Londra è certamente una delle città al mondo più ricche di musei e gallerie d’arte, in perenne fermento, e tra le varie opzioni c’è la National Portrait Gallery, alle spalle della National Gallery di Trafalgar Square, che annovera una collezione permanente di ritratti di tutti coloro che nella storia hanno dato lustro all’Inghilterra, più mostre evento: ad esempio nel mese di febbraio le code per vedere i ritratti fatti da Cezanne sono state memorabili. Sul filone dei ritratti si sbizzarriscono anche i gestori del Book Shop della Galleria, con l’intento di vendere disegni e foto per sostenere le loro attività. Tra le tante idee, ha colpito in questi giorni un suggestivo disegno raffigurante i 42 sovrani d’Inghilterra, a partire da Guglielmo I che regnò dal 1066 al 1087 guadagnandosi il soprannome di Conquistatore, fino alla Regina Elisabetta II, che come sappiamo non intende per ora abdicare e regna dal 1952, un vero record, battendo anche la Regina Vittoria, che regnò dal 1837 al 1901. É proprio questo che colpisce in questo bellissimo disegno, cioè il fatto che le regine siano state in tutto solo sette, a partire da Jane che fu regina solo per 9 giorni, per cedere poi il trono alla legittima Mary I, figlia del celebre Enrico VIII, Elisabetta I, Mary II, Anne, Victoria e appunto Elisabetta II. Tuttavia seppure poche, hanno lasciato una traccia enorme nella storia, soprattutto Elisabetta I e Victoria, donne fortissime ed intelligenti, capaci in una società quasi totalmente a dominio maschile, di gestire un regno importante, sfaccettato, influente. Questo disegno costa solo tre sterline e mezza, ma è un vero gioiello.

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La grande avventura di Megan Markle

Nel Regno Unito in questo momento la Brexit sembra passata in second’ordine per dare la precedenza all’evento imminente delle nozze del Principe Harry di Windsor con la “commoner” Megan Markle, che finora ha fatto l’attrice, ha sangue africano nelle vene, ha un corpo da modella, ma soprattutto ha una qualità che agli inglesi e alla Regina stessa è parsa molto convincente: porta benissimo i cappelli. Persino le deliziose toques di Kate Middleton, moglie del fratello William di Harry e in attesa del terzo figlio, sembrano sparite dalle pagine patinate delle riviste, mentre Megan appare con cloches, pamele, fedore bellissime e sorride felice. Tanto è forte il fenomeno che la rivista Tatler, edita dalla Condè Nast e rivolta ai fans della aristocrazia britannica, ha dedicato un numero ai preparativi delle nozze, in cui appaiono articoli molto suggestivi tipo che cosa bisogna dire alla Regina se la si incontra al ricevimento di nozze, tante volte si venisse annoverati nella impressionante lista, ancora in fase di definizione, degli invitati al Royal Wedding. Il consiglio che infatti si legge è che con la regina si va sul sicuro se si parla di cani e cavalli, ma non fatevi venire in mente di parlarle della Brexit, perché si sbianca in volto. Qualora foste punti dalla curiosità di farvi una cultura in merito, il mitico inserto Weddings 2018, che sulla copertina ostenta Audry Hepburn e Mel Ferrer il giorno delle loro nozze ritratti in bianco e nero, si trova allegato al numero di febbraio di Tatler: ogni stereotipo sul matrimonio con la sua importanza sociale, mondana e culturale viene analizzato sapientemente, tante volte pensaste ottimisticamente che fossero stati superati, dote compresa. Comunque l’inserto è un investimento, prima o poi lo metteranno all’asta da Christie’s.

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Forza, suffragette!

Fu un giornalista del quotidiano britannico Daily Mail, Charles Hands, ad usare per primo nel 1906 il termine suffragette. Si riferiva con esso ad un plotone di signore molto arrabbiate, pronte a lanciare sassi e caricare la polizia pur di ottenere il suffragio per le donne. Inizialmente il termine era dispregiativo, ma poi quando l’organizzazione fondata da Emmeline Pankhurst nel 1903 denominata Women’s social and Political Union (WSPU) adottò il termine come definizione d’onore per le sue militanti, la musica cambiò. Una scrittrice inglese, Diane Atkinson, ha appena scritto un bel libro intitolato Rise up, Women! edito dalla Bloomsbury, il cui titolo ricorda il famoso evento nel quale le suffragette fecero campagna spedendo sé stesse per tre pences come lettere umane al 10 di Downing Street, sede del primo ministro britannico. Il movimento, ad ennesima riprova del talento delle donne, si inventò alcuni slogan che sono diventati famosi in tutto il mondo, tipo “Fatti, non parole”. Certamente la Atkinson descrive con grande efficacia anche gli atti violenti delle celebri signore, che incendiavano cassette delle lettere, rompevano vetri, danneggiavano le opere d’arte della National Gallery e altre azioni ad effetto, pur di far capire il loro disappunto al governo liberale che le tradì rifiutandosi di approvare la prima proposta per la parità del suffragio. Dove si versa anche qualche lacrimuccia è nell’episodio riguardante Kitty Marion, un’attrice che fu arrestata per aver lanciato due sassi contro le finestre degli uffici governativi, e al magistrato che le disse con aria severa “Forse voi donne otterreste il voto se vi comportaste bene” rispose “Gli uomini non si comportano affatto bene, eppure hanno il voto”. Nel febbraio 1918 alle donne sopra i trenta anni venne concesso il voto e quindi finalmente otto milioni e mezzo di anime femminili poterono esercitare questo fondamentale diritto. A distanza di un secolo giustamente nel Regno Unito si è ricordato l’operato delle suffragette con una grande e meritata enfasi.

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Due donne inaugurano la conferenza della NATO (e l’Europa è orgogliosa)

L’appuntamento NATO di Monaco è tradizionalmente frequentato da militari, lobbisti e strateghi della sicurezza, insomma un ambiente “tipicamente molto maschile” come ha sintetizzato il fondatore, Wolfgang Ischinger. Per la prima volta l’inaugurazione è stata affidata a due donne, Ursula von der Leyen e Florence Parly, responsabili della Difesa di Germania e Francia. E si è trasformata in un momento di autentico orgoglio europeo, sottolinea. Von der Leyen è stata netta: «Vogliamo restare transatlantici ma diventare più europei». Anche sulla necessità che l’Europa trovi «la volontà di intervenire militarmente, se le circostanze lo richiedessero». La sua omologa Parly è sembrata farle eco quando ha parlato di una “autonomia strategica” che deve consentire all’Ue di potersi difendere a prescindere, «nel caso di un attacco» E von der Leyen ha attaccato esplicitamente gli Usa sull’Onu: «Ha bisogno di riforme, non di tagli» difendendo la difesa comune europea PESCO che non piace agli USA di Trump che chiedono un aumento degli stanziamenti al 2% (Tonia Mastrobuoni).

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Donne che si ribellano alle tradizioni sulle MGF

“Era una tradizione della mia famiglia”. La realtà cruda di come si diventa tagliatrice raccontata da un’ex “aguzzina” tanzaniana. Rahel Mbalai ha praticato per tanti anni la mutilazione genitale femminile (Mgf) su donne e bambine del suo Paese, finché ha detto basta. Ha compreso, grazie alla Ong Action Aid in Tanzania, quanto cruento e folle fosse quello che stava facendo e da allora si batte per aprire gli occhi alle altre “tagliatrici”. Viaggia in tutta l’Europa per incontrare le comunità migranti originarie dei Paesi a tradizione mutilatoria. Donne come lei stanno cambiando lentamente le cose. E lei lo sa e non rinuncia alla sua lotta. Il suo attivismo contro la centenaria pratica della mutilazione femminile l’ha privata del rispetto della sua comunità. Poco importa, più significativo che in un villaggio nel nordest dell’Uganda (Katabok) le adolescenti della tribù Pokot si siano ribellate alle mutilazioni genitali, pratica vietata ma ancora diffusa nel Paese, essendo considerata condizione obbligatoria per trovare marito, in certe comunità. Se non si è state “operate”, non si esiste e si viene emarginate dall’intero villaggio. Benché la pratica sia fuorilegge nella maggior parte dei Paesi, continua laddove comandano povertà, analfabetismo e condizioni sanitarie precarie. E ignoranza. Si stima che a oggi siano state mutilate almeno 200 milioni tra ragazze e bambine. Ogni anno almeno tre milioni sono a rischio (Raffaella Scuderi).

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Pedagogia al femminile: la scuola senza voti

Qualche giorno prima di consegnare le pagelle, le maestre hanno scritto una lettera “collettiva” (almeno quindici mani) e l’hanno letta ad alta voce, in tutte le classi. Parole semplici, leggere. Come quelle che hanno imparato a pesare in tanti anni di mestiere per parlare con i più piccoli, anche quando si deve comunicare qualcosa di molto serio. Volevano che quelle parole arrivassero dritte a loro, i bambini/e di sette anni. Che sorridessero con soddisfazione di fronte a tutti quegli otto. Ma il messaggio aveva anche il compito di arrivare più lontano. Fino a casa, fino ai grandi. Così inizia l’articolo di Tiziana De Giorgio raccontando come le maestre della Casa del sole, una scuola elementare milanese di frontiera che da sempre si è fatta portavoce di profonde battaglie sociali e culturali, hanno spiegato la loro decisione di dare 8 a tutte le bambine e i bambini, affiancando ai numeri schede di valutazione nelle quali gli alunni/e hanno compreso le difficoltà o meno del loro percorso e i genitori hanno trovato una lunga descrizione del modo di stare in classe dei loro figli/e, di come affrontano le diverse materie Se la scuola è come salire in cima a una montagna le pagelle sono l’occasione per capire se la strada che stanno percorrendo è quella giusta. Spiegazioni, però, fatte di parole. Non di numeri. L’otto indica un buon pezzo di strada compiuto. Non importa dove ognuno/a sia arrivato. L’importante è che tutti/e siano in marcia verso la cima.

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Il Diversity Management nel 14% nelle aziende

L’interessante rubrica Alley Oop del Sole 24 ore, riporta la notizia che solo il 40% delle aziende ritiene che la diversity sia importante per il successo del proprio business e che solo un 14% sta prendendo provvedimenti concreti, ma i criteri di indagine non sono completi. I dati risultano dal report realizzato da Grant Thornton “Diversity snapshot: ethnicity, age and gender”, uno studio che mette a fuoco il grado di diversity di circa 2.500 aziende (tra cui 50 italiane) distribuite in 35 Paesi nel mondo secondo tre criteri: la diversity riferita all’età, quella relativa alla composizione etnica dei team e quella legata al genere. Lo studio di Grant Thornton ha messo in luce come i team a livello senior management accolgano la diversità etnica solo in 6 Paesi sui 35 investigati. Non va molto meglio nemmeno per la diversità di genere visto che ai livelli apicali alle donne è riservato solo il 25% dei posti di comando. Migliore la situazione per quanto riguarda le differenze di età anche se è raro trovare figure senior che abbiano intorno ai 35 anni. Il report rivela che l’Africa e il Nord America sono i Paesi nei quali la diversity viene tenuta in maggior considerazione, mentre l’Europa è l’area in cui tutte e tre le categorie di diversità raggiungono i livelli più bassi. Tutto ciò è molto interessante, senonché, nello studio, la differenza di genere è analizzata come un criterio a parte, come se la differenza di genere, e le discriminazioni che in questo caso riguardano la presenza femminile, non riguardassero le donne anche riguardo ai criteri età e provenienza. Quante sono le donne del gruppo “giovani”? Quante nel gruppo “diversità etnica”? In sintesi non viene analizzata la trasversalità della presenza/assenza femminile nelle posizioni decisionali o di responsabilità.

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Gli ori delle donne

In un bell’articolo di Repubblica gli ori hanno nomi di donna: Sofia, Michela, Arianna. Tre su tre, firmati da donne. Si parte dai Giochi di PYEONGCHANG per ricordare le altre donne d’oro da Grazia Deledda prima donna a ricevere un Nobel per la letteratura nel 1926, a Ondina, che si chiamava Trebisonda, che vinse gli 80 ostacoli a Berlino nel 1936. Ondina aveva vent’anni, era di Bologna, è stata il primo oro olimpico femminile. «Faceva freddo, avevo due maglie addosso, andai alla buchetta e il massaggiatore per farmi coraggio mi diede una zolletta di zucchero imbevuta di cognac. Hitler mi parlò, ma io non capivo il tedesco. Ricordo le feste al mio arrivo in stazione, il prefetto fece trasferire il suo segretario perché il mazzo di fiori che mi consegnarono era piuttosto moscio». Ondina, precocissima, avrebbe vinto anche prima, ma nel ’32 a Los Angeles sarebbe stata la sola donna della comitiva. E non stava bene fare una trasferta in mare «con tanti uomini». C’era anche il veto del Vaticano. Così restò a casa: i maschi potevano, le femmine no: «Creavano problemi». Tante altre sono le donne d’oro elencate nell’articolo di Repubblica, e grande è l’interesse dei media per le campionesse italiane in questi giorni, ma durerà? Vedremo.

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L’uguaglianza salariale è una sfida per il Governo, anche in Spagna

Moníca Oltra, deputata spagnola, vicepresidente di “Uguaglianza e Politiche inclusive” per la Comunità valenciana, ha recentemente valorizzato il ruolo delle donne, vittime di discriminazione nel mondo del lavoro, modello non solo per il nostro tempo ma per il futuro, in occasione dell’assegnazione dei premi EVAP (Asociación de Empresarias y Profesionales Valencia). I premi EVAP sono un riconoscimento per le lavoratrici, che emergono per professionalità e onestà, nei differenti ambiti del mondo economico valenziano. Non solo, sono l’essenza dello spirito femminile, donne che aiutano e valorizzano altre donne, che scommettono per offrire delle opportunità per costruire un futuro più giusto e più equo per l’universo femminile. Oltra, ha invitato le partecipanti, soprattutto le imprenditrici, ad una “complicità” per rompere le discriminazioni nelle contrattazioni, per difendere il principio dell’uguale salario per lo stesso lavoro, e per portare la parità dentro le pareti domestiche. Le donne guadagnano in media un 25% in meno rispetto agli uomini, il divario salariale è cresciuto dal 2016 e si alza con l’avanzare dell’età, le donne inoltre sono le più colpite dalla precarizzazione. Mónica Oltra ha continuato “quando un’impresa può contare sul 30% di dirigenti donne, i benefici per l’azienda salgono del 15%” e bisogna sapere che le imprese più “feminizadas” hanno maggior responsabilità sociale, oltre ad essere le più competitive”. (Notizia inviataci da Anna Contessini)

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Se «gli altri» diventano le «non persone» di Arendt

«Se negli “altri” non si vede umanità è la fine dell’empatia, che genera odio». Laura Boella, studiosa e docente di etica all’Università Statale di Milano ricorda che oggi per i migranti si usa l’espressione «displaced persons», come per gli ebrei, mentre si percepisce in Italia l’ombra di un razzismo avanzante, le persone diventano numeri, categorie, ‘clandestini’, ‘vù cumprà’. È un disimpegno dal livello elementare di incontro con l’altro. Livello elementare, ma è almeno l’inizio di un possibile cammino. Questo processo di ‘anonimizzazione’ dell’altro è un’ombra che si proietta anche sul nostro presente’, a cui si deve rispondere con l’empatia, prosegue Boella (che ha appena pubblicato un libro ‘Empatia’, Raffaello Cortina editore) in cui definisce appunto l’empatia come «l’ingresso nel nostro orizzonte vitale, emotivo e cognitivo di ciò che è vissuto dall’altro». Un aprirsi concreto alla presenza dell’altro nella vita quotidiana. Perché fenomeni come quello di Macerata non nascono da pura follia, ma dal fatto che quegli ‘altri’ non vengono riconosciuti come esseri umani.

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Possono esistere maschi anti-patriarcali?

E ancora noi maschi possiamo essere femministi? Così si interroga il giornalista Raúl Zibechi: la prima domanda possiamo discuterla, la seconda dovremmo scartarla, perché, afferma, possiamo solo simpatizzare con il femminismo. Ma rimane sempre una situazione di asimmetria rappresentata dal privilegio maschile, simile a quella di cui godono i maschi bianchi (o le donne bianche) nelle comunità indigene o nei quilombos/palenques neri. Come disfarsi dei vantaggi dell’essere maschio di fronte alle donne? Solo se si attraversa una crisi profonda, sostiene Maria Galindo femminista lesbica, senza crisi non ci sono cambiamenti, che possano connetterci con il dolore delle donne, con la permanente e brutale (o sottile) umiliazione di ogni giorno, di ogni minuto. Perché de-costruire il ruolo del maschio oppressore non è una questione teorico-accademica; non è sufficiente andare alle manifestazioni dell’8 marzo o assumersi una parte dei compiti domestici. É difficile uscire dal ruolo di oppressori, ma si possono creare modi di vivere e di sentire, senza sapere dove collocarsi, in quale ruolo mettersi, come muoversi. Se nei cortei delle donne gli uomini si posizionano in coda, oppure di fianco sul marciapiede, il giornalista, sulla base della sua esperienza nel mondo indigeno e nero, propone di camminare in punta di piedi, senza far rumore, sempre ai lati, mai al centro. Lavorare sull’ego in ogni secondo, in ogni movimento, con tutti i pori e tutti i desideri. Quasi un farsi più piccoli per uscire dal ruolo ereditato, qualcosa come camminare con gli occhi bendati, sapendo che ci saranno scivoloni, cadute, ferite… e che, probabilmente, prima o poi apparirà una mano che ci sostiene. “Che altro possiamo chiedere, noi che opprimiamo, alla vita?”

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“Io Sono”

“Io Sono”. Non un numero in una statistica, ma un volto e una storia personale. É l’identità di ciascuno dei rifugiati ritratti da Luisa Menazzi Moretti – fra i vincitori del Premio “One Eyeland Photography Award 2017” proprio per questo progetto – realizzato in Basilicata dalla Fondazione Città della Pace per i Bambini, fondata dal Nobel per la pace Betty Williams, dalla Cooperativa Sociale Il Sicomoro e da Arci Basilicata. Le storie di tanti migranti saranno presentati nelle scuole italiane, dalle elementari ai licei, anche con un video di 8 minuti e un catalogo, insieme ad una guida didattica per aiutare gli insegnanti ad affrontare i temi legati alle migrazioni. Nel catalogo si apre con la prefazione di Domenico Quirico, il giornalista de La Stampa, esperto della questione migrazioni, che ha subito anche un rapimento e ha vissuto l’esperienza di attraversare il Mediterraneo su un barcone. La mostra fotografica sarà itinerante (dall’1 marzo al 5 aprile a Matera, per poi passare a Potenza, Lecce e Napoli). Vari i soggetti, tutti espressioni di vicende drammatiche prima dell’arrivo in Italia: “Mio zio mi ha promessa in sposa ad un suo amico… vecchio, avevo 14 anni. Sono scappata, sono finita in Libia, è l’inferno. Mi piacerebbe lavorare in un ristorante. Io sono Adama”, racconta una diciottenne del Senegal, che posa con una pentola in mano.

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Riflessioni sulla moda…

 

Moda etica e ecosostenibile

Dopo il debutto di Elisabetta II a una delle sfilate della Settimana della Moda, Buckingham Palace ospita una mostra dedicata alla “moda etica”: The Commonwealth Fashion Exchange, una delle iniziative collaterali dell’edizione 2018 della London Fashion Week. Glamour e coscienza ambientale, eleganza creativa e attenzione al verbo della sostenibilità: un progetto che allinea una selezione di abiti accomunati dal rispetto dei principi ecosostenibili e d’una certa idea di moralità firmati da designer provenienti dai 53 Paesi del Commonwealth. Un contribuito italiano all’evento, la presenza di Bonaveri – azienda di Renazzo di Cento (Ferrara), leader mondiale nei manichini d’alta gamma – che ha sostenuto il progetto con i propri manichini biodegradabili: protagonisti anch’essi di uno scenario animato da 30 creazioni improntate ai dettami dell’economia (e della moda) sostenibile. In un caleidoscopio di suggestioni si promuovono le relazioni tra stilisti e artigiani, incoraggiando lo scambio di idee, lo sviluppo di competenze e favorendo nuove opportunità su scala globale. L’auspicio è che durino più dello spazio d’una gran soirée.

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Moda e “filosofia”

“Siamo tutti cyborg, identità ibride che superano la dicotomia di natura e cultura, maschile e femminile, normalità e diversità. Una divisione artificiale, che il potere usa come strumento di controllo”. Queste le tesi del ‘Manifesto cyborg’ della filosofa femminista Donna Haraway, molte volte studiate e criticate nelle aule universitarie; stupisce ritrovarle nelle parole di Alessandro Michele, stilista che ha disegnato la collezione per Gucci, ambientando la sfilata in una sala operatoria. Qui, tra tavoli asettici e luci livide, una modella apre lo show tenendo in mano la copia esatta della sua testa, che poi torna in scena anche in versione maschile, un manufatto molto verosimile – realizzato in sei mesi di lavoro dallo studio Makinarium. La moda si avvicina alla filosofia? Secondo Alessandro Michele sembra di sì, perché egli parla anche di post-umanesimo, di contaminazione tra i generi, i codici e le epoche, e conclude “siamo i dottor Frankenstein delle nostre vite”.

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Moda è inclusione

A sua volta Giorgio Armani, quasi scomodando a sua insaputa Hegel (la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero) afferma “Ho sempre pensato al mio lavoro come a una risposta al tempo presente”, e caratterizza la sua collezione come moda in cui l’inclusione si oppone all’esclusione, collezione senza confini, ricca, che attinge a molte culture (anche da Missoni si parla di multiculturalismo). Non solo ma si deve superare l’emancipazionismo (le famose giacche Armani), perché non c’è più bisogno di vestirsi da uomo per entrare in un consiglio d’amministrazione. Invito quindi a avere grazia e gentilezza ed essere comunque forte. “È questa una neo femminilità”.

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Moda come atto politico

Infine Miuccia Prada parla dell’abito come atto politico con una collezione notturna, dedicata alla libertà e alla vulnerabilità delle donne, e come si è visto, non è la sola, anzi, Milano, sembra schierarsi politicamente contro estremismi, nazionalismi e altre derive che stanno nuovamente attraversando la contemporaneità. Le giacche che presentano volumi over, sono imbottite come corazze per difendere le donne che devono essere libere di uscire. Moda, dunque, che affronta problemi politici e sociali? Miuccia Prada sfila non a caso negli spazi della sua Fondazione, dedicata all’arte, – in questi giorni ospita la mostra sull’arte nel ventennio fascista curata da Germano Celant, – e sostiene che se da una parte la moda è considerata un mondo superficiale, dall’altro oggi le viene chiesto di andare oltre il suo ruolo tradizionale, che è quello di far vestiti: “ma abbiamo tutti – sottolinea Miuccia – orizzonti più vasti. Vestirsi per la notte è un atto politico, – conclude Prada – significa poter avere la libertà”. Forse nel silenzio degli intellettuali può verificarsi questa “invasione della moda nella cultura”, aggiungiamo che prezzi più abbordabili sarebbero altresì un atto politico.

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L’Italia e i robot

“L’Italia è un terreno molto fertile, è il paese dell’automazione, dei robot. Non a caso abbiamo Comau che è la boutique dei robot. Inoltre, abbiamo competenze specifiche in ambito accademico, dal Politecnico di Milano e di Torino alla Scuola Sant’Anna di Pisa, fino all’Università di Modena e Reggio Emilia”, sostiene Lucia Chierchia, managing partner di Gellify, la piattaforma di innovazione che nasce per mettere in contatto le aziende consolidate alla ricerca di nuove opportunità di business con le startup digitali B2B. Chierchia, con una laurea in Ingegneria Meccanica al Politecnico, ritiene che l’Italia può fare la differenza rispetto ad altri paesi nel campo dell’innovazione. Con l’arrivo di Lucia Chierchia l’azienda Gellify – nata ad aprile del 2017 ha creato la business unit dedicata all’Industry 4.0, che ha l’obiettivo di implementare soluzioni avanzate per l’automazione industriale all’interno delle imprese manifatturiere italiane. Questo è stato un passo importante per favorire “l’accesso ad investimenti, competenze e network, fattori chiave che abilitano la crescita delle startup”. Ad oggi, in meno di un anno, “abbiamo gellificato nove startup”.

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I prossimi appuntamenti di GIO

 

14 e 15 giugno 2018: 1°Conferenza Internazionale Wheats & Women e prima edizione del Premio “Carlotta Award”, CNR. Premio per una donna ricercatrice presso Istituzioni pubbliche o private, o PhD student, assistente, post-doc, borsista, assegnista di ricerca, in ricordo del 150° anniversario della nascita di Carlotta, contessa Parisani, moglie e braccio destro del Prof. Nazzareno Strampelli che, con il suo impegno e le sue capacità, ha partecipato attivamente alla creazione di nuove varietà di grano duro altamente produttive. Il premio verrà consegnato in occasione della 1° Conferenza Internazionale Wheats & Women organizzata dall’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL e dall’ENEA. Si vuole ricordare questa donna speciale e dare un riconoscimento professionale, attraverso un’azione positiva, alle ricercatrici che lavorano sul miglioramento genetico del grano duro e degli altri cereali. Sarà premiato il miglior curriculum scientifico e lavoro tecnico. Il concorso Carlotta Award 2018 è riservato esclusivamente a donne, senza limiti di età. Durante la Conferenza saranno presentate le ultime novità in termini di ricerca, approcci e tecnologie e per evidenziare quali e quanti problemi ancora dovrebbero essere risolti per ottenere un’ottimale e stabile produttività del grano. Vari gli sponsor nazionali e internazionali (la Regione Lazio, il MiBACT-Archivio di Stato di Rieti, Istituto Catalano di ricerche agroalimentari, John Innes Centre-International Centre in Plant Science (Norwich, UK) e l’EUCARPIA-International Organization for Plant Breeding and Genetic Research) e anche GIO.

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EVENTI

6 marzo 2018 Università di Roma Tor Vergata: Auditorio Ennio Morricone, Via Columbia, 2 – ore 14,30. Prendendo spunto dalle tensioni e divisioni crescenti negli Stati Uniti e dalla ventata di orgoglio emersa tra le donne americane che hanno rialzato la testa chiedendo parità e difesa dei loro diritti, considerati a rischio, l’evento Aspettando l’8 Marzo… vuole descrivere, mediante una serie mirata di interventi, l’effetto di questo fermento anche nel nostro paese, dove le donne, vittime di omicidi, discriminazioni, stereotipi e pregiudizi, potrebbero contare di più se fossero consapevoli del ruolo subalterno a cui sono spesso costrette. Il perno su cui gira l’incontro è il libro scritto dalla giornalista Rai, Tiziana Ferrario, Orgoglio e pregiudizi, e le relatrici previste coprono vari settori della società di oggi, dalla politica allo sport, dall’università al mondo letterario e all’economia. L’appuntamento è organizzato dal Comitato Unico di Garanzia di Ateneo, presieduto dalla co-fondatrice del GIO, Elisabetta Strickland.

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8-18 marzo 2018: Sala Uno Teatro, piazza san Giovanni in Laterano 10, Roma. Se la terra trema, testo e regia di Maria Inversi, Attrice, danzatrice: Mariné Galstyan. La scena si mostra tra detriti e silenzio, ma qual è la distruzione che ha preceduto ciò che visualizziamo tra luci e ombre? Protagonista una donna cieca che parla, oltre l’italiano, alcune lingue europee, quelle che hanno definito geografie, accadimenti e assetto geografico, di tanto in tanto parole della lingua madre, così come alcuni passaggi canori di consolazione. Il personaggio è, dunque, espressione della storia umana, sociale e universale che oggi ci interroga in modo incalzante. L’autrice vuole anche ricordarci che durante le guerre, tutte le guerre, le donne hanno avuto ruolo tutt’altro che secondario, pur se diverso da quello degli uomini, così come ogni ricostruzione urbana dovuta a disastri di cui, purtroppo, la memoria tende a dimenticare e cancellare. Lei, forse, è l’unica superstite di un terremoto, di una città abbattuta, di un aereo caduto, forse si è persa allontanandosi dal gruppo fuggitivo…ogni supposizione sarà valida. Un video a dirci che le città si sgretolano, mentre lei si narra tra speranza e tenerezza tra danza e canto. L’identità femminile si ricostruisce con tutta la forza di cui, la storia delle donne ci narra. Il pubblico assiste alla gioia perché, come scrive la filosofa Maria Zambrano: la vita vuole vivere. E l’autrice aggiunge: «nonostante il dolore».

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Roma 8-11 Marzo 2018: Feminism Fiera dell’Editoria delle Donne. Per la prima volta alla Casa Internazionale delle Donne, luogo storico nel cuore di Trastevere, si tiene la fiera dell’editoria delle donne, un festoso evento con ingresso gratuito che inizia proprio l’8 marzo. Promozione ideazione e organizzazione: Archivia, Leggendaria, Casa Internazionale delle donne e Sessismoerazzismo. Case editrici, scrittrici, dibattiti, presentazioni si alterneranno per quattro giorni con molte partecipazioni. Sostenitori: Odei (Osservatorio degli Editori Indipendenti) e Iacobellieditore. Organizzazione dell’evento in collaborazione con CO2 Crisis Opportunity Onlus. Per info: mariapalazzesi.archivia@gmail.com

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Dal 24 febbraio al 14 aprile 2018: Mostra Donne artiste al BACS di Leffe (BG). Artists Sociologists, associazione culturale che ha come scopo il dialogo fra artisti e sociologi organizza l’esposizione dedicata al libro di sociologia delle arti di Milena Gammaitoni Storie di vita di artiste europee. 15 opere di artiste/i andranno a formare una mostra che il 14 aprile avrà al cuore del suo finissage l’esposizione e l’interazione dei testi frutto del dialogo fra arte e sociologia. Questo dialogo lo stiamo cercando con te che stai leggendo e sei nell’ambito sociologico, vuoi sperimentare un modo nuovo di scrittura sul sociale, che prendendo spunto dalle opere di arte contemporanea presenti nella nostra mostra (che potrai vedere sulla pagina facebook “dialogo fra artisti e sociologi” o scrivendo ad artists.sociologists@gmail.com), elabori un breve testo di un minimo di una cartella e massimo quattro. Il testo dovrà parlare di argomenti inerenti la donna nella storia della cultura riferendosi a testi letti, ma anche ad altre forme culturali siano in grado di riferirsi a una, due, massimo tre delle opere di “Donne artiste”. Aspettiamo di sapere se sei interessato a questa scrittura sperimentale che vedrà il tuo testo all’interno della mostra di arte contemporanea “Donne artiste”. Se vuoi essere dei nostri scrivi entro il 31 marzo 2018 in risposta a questa open call a: artists.sociologists@gmail.com e collegati alla pagina Facebook: https://www.facebook.com/artists.sociologists/ ti manderemo approfondimenti sulle opere e aspetteremo il tuo testo (di minimo una cartella e massimo 4) entro il 7 aprile 2018.