Antonella Barina con il seme di Simonetta Borrelli

CAMBIAMENTI CLIMATICI 2010

L’AGAVE

L’Agave rimasto dormiente nel mio giardino per vent’anni in questa stagione di neve a primavera e vulcani che esplodono e terra che sanguina petrolio si è risvegliato.

A gennaio erano sbocciate le rose, illuse di primavera. A febbraio il Calycanthus aveva già le foglie verdi. A marzo l’Iris era sul punto di sbocciare. E tutti li ho visti rientrare in sé, delusi da rosari di giorni freddi, settimane senza sole.

Solo l’Agave, avvezzo alle follie climatiche delle isole, di tanta follia ha immagazzinato l’energia furente che si è trasformata in uno stelo alto due metri carico di fiori aperti e in boccio, che procedono da germogli verdi e duri come becchi di fenicottero.

Le foglie lunghe e pungenti, vive, simmetriche, difendono quel tesoro che sta al centro di un giardino nel quale non ho contrastato la crescita delle palme, che ora sono ovunque.

 

LA CASA DELLA PALMA

Dissero

poiché ero incontentabile

‘C’è ancora la casa della palma’

Mi ci condussero

Nei giardini vicini quell’anno il glicine

non aveva foglie solo grappoli di fiori

La palma si stagliava

unica

assoluta

in un giardino di erba verde brillante

La associai al profumo del glicine

Un anno inseguii quel miraggio – quell’isola

Me la contesi con l’assessore alla casa

che era ricco comunista e un poco stronzo

Da Nuova Delhi li chiamai

da un albergo dove i passeri avevano fatto

il nido sopra allo scaldabagno in disuso

Giuravo fedeltà e facoltà d’acquisto

Mentivo – ma ne ero innamorata

Poi mi chiamò lo zio di Sandra – era di Torino

Puntarono su di me

Mi indebitai

(la notte mi svegliavo sudata per il debito

e per la liquidazione di mio padre

che mi stavo giocando)

La palma mi ricambiò

Cominciò a figliare

(allora c’era ancora il muro

a trattenere i venti invernali e far da serra)

Piccoli semi neri si intrufolavano

nella terra scura piena di grassi vermi lunghi

Spuntavano dal chicco

la prima foglia della sua corona

e una radice forte e ugnola che si ancorava sotto

Un mare verde le figlie della palma

Quando mi sentivo sola uscivo a parlarle

Cominciai ad esportare le sue figlie

Solo due lasciandone crescere

che in breve divennero palme alte come la prima

E figliarono anche loro – il clima era cambiato

Era la fine del mondo

Superbi giardinieri visitavano il giardino

spregiandola

Dicevano che le palme sono infestanti

Capii che la natura mi faceva depositaria

di un segreto che dovevo divulgare

Siamo tutti perduti

Forse ci salveremo

come gli indigeni delle Andamane

dallo tsunami 2004 scappati in collina

abbracciati al tronco alto delle palme

Solo gli Zingari del Mare

– i Moken –

si avvidero in tempo che le foglie

erano ferme

 

COSÌ SOTTO COSÌ SOPRA

La palma è il punto più alto

per guardare le stelle

dentro di noi

 

HANNO UCCISO LE STAGIONI

Andavano nudi e senza cibo

inseguiti dai propri simili

Mi feci capanna e letto d’ombra

dea, veste e scodella

Al tempo dei grandi fiumi

mi aspersero per farmi fruttare

Non mi negai all’Annuncio

propensa a farmi latte di vita

Dicono che su di me vive una Fenice

ma hanno ucciso le stagioni

Tutto hanno ridotto in cenere

e chiedono rinascita

Fu un errore concedere loro la vita?

Me palma! Gli dei se lo chiedono

e non hanno risposta

 

CAMBIAMENTI CLIMATICI 2013

IL RESPIRO DELLE PIANTE

La notte mi svegliai

come per il profumo di erba tagliata

Stava piovendo, dopo giorni

Le piante del giardino

riconoscenti

si aprivano all’acqua

rilasciando le proprie essenze

La notte era dolce

La luna

benché coperta

potentemente presente

Il respiro delle piante

raggiungeva le mie finestre

invadendo la stanza

Seppi una volta di più

di essere tutt’uno

con quello che mi circonda

 

LE RAGIONI DELLE STELLE

A quello che voleva scolpire

la storia dell’umanità

sul muro del mio giardino

S’io rigettai la soluzione

di dar conto della storia dell’umanità

non fu per capriccio

o sordità d’animo

Fu perché credo

che questa soluzione non tenga

in alcun conto

le ragioni delle stelle

che sono distanti ma ci osservano

errare ogni giorno

contro noi stessi

Di modo che scartai

la nostra storia di formiche

in virtù di un niente

Del vuoto che avevo sopra la testa

e che non necessitava

di alcuna rappresentazione

Preferendo dunque il vuoto

a ciò che di quella storia

avrei dovuto omettere

E ogni giorno sapere

di aver omesso

(è anche il mio testamento da giornalista,

non da poeta)

 

ANTHOS

Non c’è nulla di più fragile

dell’equilibrio dei bei luoghi

(Marguerite Yourcenar)

Se fossi un fiore

me ne resterei in bocciolo

Non metterei fuori il naso

con pioggia o con bel tempo

Mi toglierei i colori

mi farei grigia grigia

– L’umanità non merita

Mi leverei petali stami e carpelli

M’ignuderei di calice e corolla

e nessun fiore fiorirebbe più

Ma m’incurioso

Mi sporgo dal bocciolo

Meritano le api e i bombi

Le formiche indaffarate

 

Ahi, che son fiore!

Ma che fiore sono?

– Attento a cogliermi

Cresco tra i rovi

I cardi mi difendono

Sono il caustico succo rosso

dell’Actea Spicata

Sono l’Unedo Arbutus (vive nella macchia)

La Belladonna che t’avvelena e cura

L’Echinopsis

dal fulmineo fiore

 

CAMBIAMENTI CLIMATICI 2014

L’ INTELLIGENZA DELL’ORTO

L’anno che fu libero dai lavori del muro

l’angolo di terra destinato ad orto

donò un mare di butti di piantaggine

Si aprivano in foglie lanceolate

color verde scuro brillante

Gli ortolani insulsi la spregiarono

Contro ogni parere rispettai quelle tenerezze

come fossero le ciglia di mia figlia

Un’erborista disse che si poteva mangiare

Mi sentivo amata dall’orto

che aveva selezionato per me

quella imbarazzante monocultura

Mi improvvisai gourmet

Creai piatti raffinati da gustare sola

Li fotografavo col bicchiere di rosso

attraversato dal sole di giugno

e posate antiche sopravvissute ai ladri

Il beneficio che ne ebbi – era anche diuretica

oltrepassò la funzione di nutrimento e cura

Compresi l’intelligenza dei sistemi complessi

Avendo tanto difeso quello del giardino

godetti di appartenervi come ogni altra pianta

Questo giardino studia le compatibilità

cercando di indovinare le pazzie del clima

Di non dar gemme precoci – non sempre ci riesce

Innesta foglie nuove e qualche ramo

Vorrei dedicargli una canzone

comincio col nominare

la sua intelligenza d’orto

 

IL CALICANTHUS

Nonostante tutto

anche quest’anno è sbocciato il Calyncathus

con soli tre giorni di anticipo rispetto alle sue abitudini

Nonostante la grandine che gli ha strappato le foglie

nonostante il caldo anomalo e le piogge continue

nonostante gli sprazzi di gelo umido

Nonostante gli amici che se ne sono andati

nonostante il dolore di chi rimane

nonostante i ricordi

Nonostante gli insetti

nonostante la cattiveria degli umani

nonostante l’incertezza del nostro domani

Nonostante le foglie morte

le macchie sulla pelle

la bassa pressione

Il Calycanthus anche quest’anno è sbocciato

e continuerà a fiorire imperterrito

fino a Capodanno

Ogni bene,

Antonella

Venezia, San Stae, 21 dicembre 2014

 

CAMBIAMENTI CLIMATICI 2015

GIOCANDOSI LA PELLE

Quest’anno la piantaggine non si è vista

In compenso sono stata sopraffatta

dall’ entusiasmo della celidonia

Occupa tutta la zona a ridosso del muro

la più soleggiata grata anche all’ ortica

Una persistente tenace fioritura gialla

Ha foglie alate che crescono svelte

Piccoli fiori gialli fragili al tocco

Si espande con baccelli di piccoli semi

Dicono che le rondini con la celidonia

curano gli occhi dei piccoli nati ciechi

Il sangue rosso arancio e denso

cura le verruche – bisogna capirla

Le piacciono gli opposti

–              è caustica

–              mi somiglia

Con lei ho quindi pensato di curare

le pieghe fungine della pelle

sanate alla prima applicazione

Sto perfezionando il trito di foglie e fiori

Li colgo dove ingombrano il passo

Ho osato un bagno di foglie e radici

a tempo breve e pronto risciacquo

Mi insegna che tutto ha un senso

Bisogna capire e saper rischiare

avendo cura e giocandosi la pelle

 

L’ALBERO DELLA MORTE

Il Tasso e il Melograno

Piantammo un Tasso – la Taxus Baccata

nel giardino della scuola

ad onore degli alberi

e delle nuove generazioni

L’avevamo scambiato per un pino

Era da anni nel giardino di mia madre

In effetti ero stupita della sua crescita

così lenta che gli aveva permesso di vivere

in un piccolo vaso tanto a lungo

Aveva sotto delle braccia arcuate

Non vedevo l’ora di liberarlo

Chi avrebbe dovuto dirci che era un Tasso

non parlò che all’ ultimo momento

Ce lo disse quella mattina

– Pareva divertito

La terra era dura

piena di detriti

La buca fu lunga da scavare

Bambini e bambine erano felici

Il Tasso pure

Mica se l’aspettava lui

– l’Albero della Morte

che ha fronde e bacche velenose –

una simile festosa accoglienza

Lo lasciammo recintato

come nei lavori pubblici importanti

Ma prendemmo atto che lì

non poteva rimanere

perché i piccoli umani sono curiosi

e i semi del Tasso pericolosi

Passarono settimane

Nessuno metteva a disposizione

una barca per portarlo

nell’ Isola della Morte

– non tutti sono disposti

a condividere i sogni degli altri

Mia madre languiva

nel lager di un ospedale

Era destinata

ma a passi lenti

come la crescita del Tasso

Perché teneva un Tasso nel suo giardino?

Questo tempo è servito ad informarmi

Cresce sugli oscuri Nebrodi

È un albero del suo paese

Sono le sue radici

Ho deciso di portare a scuola

un Melograno del suo stesso giardino

– l’Albero della Vita dai semi rosso sangue

La chioma ballonzola fuori dal carrello

Ha le foglie verdi chiare

sprizza salute da tutti i pori

Ci sarà un inverno

che farà frutti miracolosi

che danno forza e salute

Il Tasso verrà a casa mia

– pesano Lui, la Terra, il Vaso

ma ho deciso

Mi aiuterà a chiudere il poema

cui sto lavorando

Mi insegnerà qualcosa di più sulla Morte

Cosa chiederle quando si presenta

per esempio

 

VENITE STAGIONI

Venite, venite, stagioni rubate, a rischiarare l’autunno

E tu autunno rimedia il maltempo d’estate col tuo sole

che chi ruba il giorno agli altri ha da star ben attento

perché qui è questione di fatti e non di bugie o parole

 

È tempo di rimettere sul piatto comune il sottratto

Restituite il maltolto, stagioni ingrate del malaffare

ladre di sorrisi di istanti d’amore di sonni tranquilli

che per vedere un raggio di sole si doveva emigrare

 

State in un cantone ora, voi, che viaggiate in carrozza

State in punizione, voi, estati misere e inverni ingrati

quando con il vento assassino spazzate le case

e fate inquisizione al libero pensar dei condannati

 

I vostri servi che son grandine cruda sui raccolti

lasciano appena di che vivere o neanche quello

Raschiano avidi il fondo della botte di un vino

che è l’unico conforto di chi non ha un ombrello

 

Fate penitenza quaresime coi vostri ingordi preti

Pasque dove per nessuno c’è mai resurrezione

Carnevali celebrati nei palazzi chiusi alla gente

dove di uova pregiate facevate indigestione

 

Uomini e donne che han vissuto solo per rubare

si accompagnano alle stagioni amare dell’ozono

che pure questo quelle mani sozze hanno rubato

pur di restare come papi obesi al proprio trono

 

Torna, fiero temporale che pulisci fogne e strade

dalla pece del vomito di chi troppo ha mangiato

Sotto la tua pioggia forte ancor voglio bagnarmi

senza veder il cielo da scie chimiche segnato

 

Tornate stagioni a dar orientamento a rondini

che si son spaesate per la bufera di diossina

di un tempo impazzito come la corte di assassini

Di chi affoga il giusto per mettersi in vetrina

 

Il fuoco che mi sento dentro corrisponde al sole

Nella terra il germoglio chiede acqua e vento

Il petto vuole aria fresca fuori dalla cella buia

Venite, stagioni, riportate al giusto ciclo il tempo

 

C’è un prima, c’è un dopo

Le età della consapevolezza si succedono

mentre infiliamo la testa nella sabbia

 

E però già i fumetti

i Pulitzer

i film

ci avevano preparato

 

Che tutto è fiction

 

La gente capisce quel che più la consola

Poi finge di aver sempre saputo

 

Troppo grave aver su di sé il sospetto

di esser complici

 

CAMBIAMENTI CLIMATICI 2016

FINE PRIMAVERA

In fiore la Salvia

Rifiorito il bulbo roseo piantato l’anno scorso

Celidonia in terza fioritura

La miracolosa celidonia

Sui rami il gatto che finge di essere un’oliva

Ancora verdi i fiori dell’Ortensia

Chiusi i boccioli dei gigli arancio

Generosa e solare la Calendula

Bello il Geranio sopravvissuto ai disastri

Fantastica in ombra la fioritura del Capelvenere

Sconosciuto un bocciolo verde e punzuto

fiorito zitto zitto in giorni brevi a sole violento

Malconci i fiori del pomodoro

Sfibrato il finocchietto

Indietro le fragole

Molto verde d’ortica ma non punge

Acquose le mente e il limoncello

Poco odoroso il Gelsomino

Titubanti i tuberi di patata

Imperturbabile la Rosa del Deserto

E l’agave? L’agave tra gli alberi

lancia in alto il suo braccio di futuri fiori

 

CALDO MONSONICO 

Fioriti i gigli arancio attorno al segnavento

Esplosi in giallo i bulbi dell’anno scorso

Sempre entusiaste Celidonia e Calendula

Si era ripreso il finocchietto ma oggi ripiove

L’Agave è fiorita, ma a fiori più piccoli

Il Gelsomino ha approfittato

di qualche soleggiata per aprirsi

Grato il geranio all’acqua e al sole

E l’Ortensia non delude mai!

Questo caldo umido monsonico

piace alla messicana che ha gettato fuori

il suo minuscolo fiore bianco trasparente

Io mi arrovello con un fascio di radici sopra la testa

Le preghiere tibetane sono state aggredite

dalle radici aeree della Bignonia

L’unica cocuzza sopravvissuta alle lumache

ha dato un fiore in vaso

Dai grassi spadoni posizionati a mezzogiorno

è spiccato un fusto con tante campanule rosate

Tarassaco e aromatiche, questo raccolgo

Le merle fanno lunghi discorsi dai loro nidi

Le Palme continuano ad amarsi

proliferando semi e figlie

Fan del loro meglio per compensare

Requiem per la mia macchina fotografica

Qualche solarizzazione e poi il buio

La possibilità di nutrirsi quest’anno?

Come rincorrere un gatto che scappa

 

FRUTTI TARDIVI

Pomi di terra scopro

sepolti dalle proprie foglie

dopo una semina speranzosa

e un nutrimento interrotto

per cause di forza maggiore

 

Li pongo al sole appesi

Soppeso la mia assenza

dall’orto e da me stessa

Frutti tardivi ha l’orto

ripreso in mano all’ultimo

A tutto c’è rimedio solo che

il tutto infine s’è guastato

Non avrà più lo stesso sapore

che se fosse stato al sole

 

Cadono ma poi si rinnovano

i fiori resistenti dell’Oleandro

Eterne radici testarde del Sud

che non si lasciano morire

Ancora penso di partire ma è già

il tempo che sarei dovuta ritornare

 

Ciascuno pianta ha il suo significato

Come queste zanzare che mi beccano

 

E tanto assomigliano agli umani

 

INNO ALLA CELIDONIA

Con il tuo sangue di ruggine d’altoforno

la rondine cura la nidiata cieca

–              alcuni la Celidonia li guarisce

–   per altri era destino

Troppo caustica per usarti a cuor leggero

come ti somiglio, Celidonia

che apri gli occhi ai ciechi

e fa male

I più preferiscono non vedere

 

IL POMO D’ORO

Eccolo il primo Pomo d’Oro

del mio paradiso terrestre

A forma di cuore palpita

nella mano disseccata di terra

È il cuore palpitante del giardino

Del mandala che ignoti danneggiano

con maschera a doppia faccia incollata

Ecco il pomo d’oro nel giardino dei draghi

nato tra l’erba del perdono

–              la Staphysagria cicatrizza ogni offesa e lutto

e l’Alloro di cui inverdo l’acqua in cui mi bagno

Ecco il primo pomo d’oro

nato dove l’ombra fugge

a mezzogiorno

 

CAMBIAMENTI CLIMATICI 2017

IL MONTE SOPRA IL CIELO

Fine aprile dopo le piogge

Parto da lei che ha in testa un drago

Una radice rivolta all’insù

con teste d’Idra che raspano l’aria

La mia Mandragora motilenta

che si nutre di sinapsi cerebrali

Ai piedi una serpe con bocca di lupo

–              La perla è invisibile per non essere rubata

Vicino s’inchioma la pianta messicana

che dà fiori trasparenti in casa a marzo

Ha capelli che dall’alto toccan terra

come testa di sciamano senza corpo

La palma apre bianche ali di lenzuola

stese ai lati già asciugate e profumate

L’ombra del sole radente ricama sul lino

i fiori dei corredi predati da conosciuti ignoti

Ho composto un cesto di rami secchi e uguali

per accendere un fuoco discreto e proibito

Questo è il Monte Sopra il Cielo

Il mio irraggiungibile monte

stretto d’assedio da inconcludenti armati

E più mi si duole e più volo in alto

Ho composto il suo nome senza sapere

un giorno che ammucchiavo pietre e marmi a caso

Solo dopo il Libro mi ha svelato il Nome

che mi svincola da ogni ragione e da paura

Perfino l’Albero della Morte butta gemme

verde chiaro a contrasto del suo colore spento

Cresce lento e resiste ad ogni attacco

 

Regina dell’angolo velenoso la Belladonna

A capo chino il prudente Elleboro

–              Si piegano pudichi d’ esser letali

Alloro e Palme e Celidonia scelgono a volte

di crescere solidali in uno stesso vaso

L’Edera sporge dalle fessure della pietra

come le viole esplose dopo i furti

sotto le vene sottili del finocchio di Sicilia

–              a luce rasa sfavilla in batuffoli odorosi

Anche la Maggiorana ha preso coraggio

Ho tolto il secco e sparsi i semi a terra

tra l’Ulivo e il Cactus e un pugno di fave

germinate per il gioco di un gatto

 

Vedi che il male non sempre porta male

e assecondando un caso che sembra nemico

a suo dispetto a volte lo trasmuti

in alta pressione energia entusiasmo

Vita respiro libertà sono parole

che solo il male fa apprezzar davvero

 

Quest’anno il Melograno si è preservato

dagli esseri notturni le larve senza nome

che per esercizio di mandibole

quest’anno han scelto me

 

Le foglie dell’Arum dei fossi si stanno

spegnendo senza ancora aver fatto il giglio

Come mi avessero sentito lo aprono

tutte assieme in una sola notte

 

I vecchi bulbi del supermercato?

Turgidi e pronti ad aprirsi a stella

 

I SEMI

 

Da Melissa concepisco il lavoro della poesia

come azione di impollinamento

La pratica artistica

come l’apertura della gemma

Il compiersi dell’azione poetica

come conclusione della fioritura

 

Restano i semi caduti a terra

 

RICAPITOLAZIONE

È generosa la Bignonia o Campsis radicans

che si incolla con mille mani ai muri

capace di penetrare perfino nei tessuti

Quando il vento scuote e fa cadere

le sue corolle rosso sangue

i calici si posano su altre piante

e vi restano durevoli per giorni

Glorificano un cespo d’erba gialla

Illuminano l’edera scura

Esaltano i profumi della menta

Si insinuano tra i grappoli viola

dell’esuberante glicine

Sempre nuove corolle

la Bignonia apre

su ciò che appassisce

I suoi pugni di boccioli si schiudono

in mani aperte porgendo vivezza agli occhi

come voci miste di un coro gregoriano

dando vita ad una musica di colori

Fa così la Bignonia senza accorgersene

È così generosa perché da primavera

a tutta l’estate ha la forza del sangue vivo

E quando è inverno si ritrae in un tronco

che pare morto e invece è pieno

di energia nascosta

 

Forse anch’io sono così generosa solo

per la troppa forza che natura

mia madre mi ha dato

 

LA MUSICA E LA POESIA

La musica si rivolse alla poesia

Sono rimasta senza parole aiutami

La poesia fece piovere cascate di semi

sui tamburi e sulle corde delle chitarre

E fiorirono note e canti e raduni di gente

Poi la musica salì sul palco e disse no

Tu sei troppo dimessa ti saluteremo

al momento degli applausi se ci sarà

qualcuno che starà a sentire

La poesia era triste poi pensò

Succede così anche alle radici

che si inoltrano sottoterra

e tutti lodano le fronde e i fiori

che presto cadranno mentre

le radici continuano il loro incessante lavoro

 

CON IN TESTA UN GERANEO

Ho ripreso a sognare

Non avviene nulla

Solo immagini fisse

Quella di un piccione legato

con del filo di ferro

al binario di un treno

La volta dopo un gatto

con in testa un geraneo

che gli penetra nel cervello

Lunghe immagini fisse

pongono muti quesiti

e mute si dan risposta

Aprono parentesi

e pongono interrogativi

Mi salverò?

 

NON C’È PIÙ POSTO PER TUTTI

Sembrano dirlo le foglie dell’Ulivo

su cui striscia il Glicine

I rami del Calicanthus

che toccano la palma

La Forsizia cresce dal basso

scontrandosi in alto coi fiori del sambuco

L’Edera oltraggia le Viole

I gatti il nido e il geco

Per questo impietosa mi do da fare

chiedendo scusa alle foglie

Pensando se hanno questi scrupoli

quelli che decidono chi deve vivere

e chi deve morire

 

Pur se la falce è cieca

 

Ad un altro giardino penso dove l’Echeveria

benefica e grassa fioriva stellata di giallo

Nel fiore di Zagara sbocciava sempre il limone

Il Mandarino amaro chiedeva poca acqua

Gialli narcisi ondeggiano nella memoria

di quell’antico giardino perduto

 

EDERA HAIKU

È più costante

l’edera del giardino

o il suo silenzio?

 

DILETTO PRENDO DAL SERVIRE

Diletto prendo dal servire

(Boccaccio)

Serva son di nessuno

Servo messe silenziose

Servo gli alberi e l’ibisco

Li servo con fedeltà ed onore

Servo con letizia

Servo il desiderio

e amo esser servita

Servo a dovere

e servo il piacere

Diletto prendo dal servire

Servo il necessario

senza esser serva

 

I DUE PICCOLI MERLI

Vita e morte in pareggio

oggi sul Monte sopra il Cielo

Dei due piccoli merli

uno è a zampe all’aria

Quello che mi fissava

con anticipato distacco?

L’altro uscito da improvvisato nido

per seguire – spero – la madre

Non sento più il caciare sulla palma

con la sua smarrita Fenice in cima

Se non che in questa partita al pareggio

lei segna la sua vittoria ignota

Uno a nuova vita resuscitato

L’altro a non conosciuta sorte

 

Intervenire compromettendo

o accanirmi a nutrire?

 

PROTEGGITI

Ho danzato danzato danzato

come un rosaio in fiore

danze dervisce

Senza accorgermi della mia bellezza

Delle ferite che provocava

Ho sparso petali

Nutrito afidi trifidi cocciniglie

Dilapidato

tempeste di profumi

in una sola sera

Ora la custode del giardino di rose

mi sussurra

con parole leggere: Proteggiti

 

IL GELSOMINO

Il Gelsomino quest’anno è in ritardo

Ha atteso giugno per esplodere in stelle

sopra la notte del suo verde scuro fogliame

Per una settimana o poco più

inebrierà i benpensanti senza olfatto

che respirano

una sola volta all’anno:

quando lui fiorisce

 

Ruota il suo fiore

nel cespuglio odoroso

confuso tra mille simili

Una perfetta svastica

ma a cinque braccia!

Giusto per far dispetto a quelli

che alzano il braccio destro

 

Getto oltre il muro un gelsomino tagliente

come la stella ninja Kobori Ryu Goho Gata

 

OGGI LA LIETA NOVELLA

Oggi la lieta novella

dai fiori del giardino

Sbocciati in assenza di stagioni

Senza legge

Senza Costituzione

Senza giudici giusti a difenderli

Senza polizia distratta o dalle mani legate

Senza rappresentanza alcuna

Nonostante i bruchi le lumache

e ogni specie di ingordi

Nonostante i ladri di colore

–              che non sono gli africani

ma quelli che rubano i colori della vita

Nonostante i nodi scorsoi

e i messaggi anonimi

i fiori del giardino sono fioriti

alti ritti svettanti sopra il mondo

delle pantegane e dei gatti

Sopra la testa degli umani

Sopra le merde dei cani

Tutti tesi

fusto

corolla

e stami

verso la luce

 

IMPAZZISCO PER L’OLEANDRO

Impazzisco per l’Oleandro

Per i suoi teneri rosa

Per gli stami in controluce ai petali

Per lo svolgersi della vite striata di rosso

dei suoi boccioli fiammanti aguzzi

contenitori di vita che si svolgono

all’incrocio delle sue foglie lanceolate

Ah, mi sono inebriata dei colori

di ogni singolo grappolo

Mi sono persa come formica

nelle rosee vagine dei suoi fiori

Come ape li ho annusati ricevendo visioni

di riviere fiorite galoppi di cavalli d’inverno

sulle spiagge raduni festivi di penitenti

e santi e muli e sulfuree acque sanatrici

Poi esausta mi sono distesa

Da sotto ho visitato un altro giardino

Quello che sta sopra

Le foglie delle palme avendo ciascuna

una storia diversa da raccontare

Quella che alza il palmo verticale

in comunione alla luce

Quella che avendola già ricevuta

ora meno tesa dà orizzontale ombra di sé

Quella che mostra già il secco che avanza

L’altra che già secca col vento intona

una musica lignea di xilofono

E in mezzo il tesoro dorato dei suoi semi turgidi

 

E l’ombra sul muro di un gabbiano in volo

 

Stato di grazia 12 giugno 2017

LA BENEDIZIONE DELLA CETONIA

 

Dopo due giorni d’arsura e di sole

le piante oggi imploravano

Troppo breve era stato il temporale

La terra inaridita dall’afa

Mi sono impadronita del getto

Ho dato acqua alle radici

Ho disegnato verso l’alto

una pioggia fitta e sottile

Un’orgia fresca ha avvolto il giardino

Si è inturgidita ogni foglia

Han ripreso vigore gli steli dei fiori

Ma è successo qualcosa di più

Ho percepito la loro gioia

La voglia di vivere

La vita stessa

 

Ma è un fatto: non siamo tutti uguali

Non tanto lontano dalle mie finestre

in due diverse case albergano due donne

che tentano di calmierare la felicità

Stabiliscono agli altri il massimo

di istanti felici stabiliti

Gracchiano una legge triste

Fanno dogana del tasso dovuto

Anche queste guardiane oggi

hanno avvertito la gioia delle piante

il denso esalare d’una beatitudine

a loro due perfettamente estranea

Si sono infuriare e agitate

Hanno urlato minacce e offese stonate

 

In mio soccorso è sceso

uno stormo di Cetonie Aurate

scarabei dalla livrea verde dorata

brillanti ronzanti danzanti

attorno alla corona di fiori

in cima alla palma più alta

 

Una sola Cetonia è scesa

con veloce frullare d’ali

in giri concentrici

a ispezionare il giardino

 

Io credo che l’abbia benedetto

 

Sentivo solo quel frullare

distante da ogni umana voce

 

Ho capito che sta a me

scegliere a chi connettermi

Osanna ai minuscoli fiori del Symphoricarpos!

A luglio già miracoleggiano in candidissime sferiche bacche

che un tempo davano il benvenuto a ottobre

 

IL BUIO DELLE NOTTI D’ESTATE

Il buio delle notti d’estate

quando dalle finestre aperte

dal silenzio

emerge il singulto

di una sola donna che gode

in lunghi protratti lamenti

come voci di gatti in amore

 

Nelle pause

un cane che abbaia

e le modulate grida che i gabbiani

si lanciano l’un l’altro in volo

 

Alita il vento sulla palma

il secco frullo delle foglie

Su tutto poi

torna il silenzio

Il frastuono di auto lontane

 

In primo piano il suono secco

di un seme che cade dalla palma

 

DEMETRA A PERSEFONE

Tua madre a sua Figlia

Quando tu tornerai

Figlia mia

Le stagioni torneranno a scorrere

con la forza della rinascita

Stordirai gli eserciti

Dovranno dolersi di essere in guerra

di non saper amare

Quando tu tornerai

l’acqua tornerà a scorrere

Il vento odorerà di nuovo

di semi odorosi

I seni delle colline saranno gialli di fiori

Le nuvole maestose nutriranno draghi

Le notti partoriranno libellule e serpenti

Quando tu tornerai io potrò riposare

con entrambi gli occhi e con il cuore

Potrò riprendere a sognare

Non ti peserò ti saprò vicina

il tempo di una manciata di chicchi

Finirà questo lungo inverno

Torneranno le stagioni

Per fiorire i gigli di fosso aspettano te

I narcisi si sono piegati

non sentendoti arrivare

Tutta l’umanità è stata punita

con piogge ininterrotte

Ma io amo la pioggia

il canto della natura

che ti aspetta

 

O mia Persefone

Nove mesi son lunghi da passare

Vi ho partorito il lutto funesto

che mi ha messo alla mercé dei cacciatori

Hanno devastato la piccola selva e la casa

Funestano la città le iene umane

Ora tutti son pronti a celebrare il ritorno

ma io ti dico: torna segreta

che non ti sentano arrivare

perché non meritano

 

Hanno offeso Demetra

Figlia mia

hanno distrutto ogni pace nel tempio

già provato da battaglie

Eppure noi

No, tu!

Tu hai il segreto della rinascita

Con il tuo ritorno

le loro azioni svaniranno

come neve al sole

 

Quando Persefone tornerà

L’aria sarà satura di umori

i biondi gigli avranno il coraggio

di aprire l’anima a lungo trattenuta

Su stelo forte l’aglio innalzerà

il viola pianeta odoroso

 

Senza timore i Semplici

esploderanno di vita

preparando i semi per l’inverno

 

Quel che è stato gioco di spiriti malvagi

sarà fugato da ondate di gioia

Come bacche velenose

raggrinzeranno le loro parti molli

Nessun animale sarà più in pericolo

Il saccheggio avrà fine

 

Andranno liberi gli animali

senza nessuno che li cacci o li stordisca

perché il soffio di Persefone

è balsamo per l’anima del mondo

 

Come il seme si stacca dalla pianta

ti ho lasciata andare

Ti ho lasciata andare senza mostrare dolore

Fiaccola in mano senza volerlo accusare

Credevo giunto il momento e lo era

Ma pure è inscritto

per breve che sia

il tuo ritorno

 

Ora che torni

l’oleandro è fiorito

L’ortensia antica si inclina

per il troppo peso dei suoi fiori pieni

L’erba del sottobosco si fa verde

e gli aromi imbandiscono la tavola

A tutto questo gli umani

nella loro insulsa modernità rinunciano

Non noi che abbiamo radici antiche

Né tu che conosci la forza della montagna

Esuli si va per i paesi del mondo

come api nei fiori cinte di polline

 

Tu hai ora saputo

Ora sai quali dee

noi siamo

 

E perché i demoni succubi

Sempre cercheranno di sbarrarci la strada

senza riuscirvi

come morte rincorre la vita

che da ogni morte rinasce

a nuove

stupende

gloriose stagioni

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Antonella Barina © Il Monte sopra il Cielo2010/2017   –   Edizione dell’Autrice, n.75 luglio-agosto 2017  –  Iscr. Trib. Venezia n.1503 – 10/3/2005   –  S.i.p., Santa Croce 1892/B Venezia   –   Dir.resp. prop. ed.A.Barina

Grafica e foto dell’autrice (Agave e Palme, Gelsomino, Arum Italicum, Sinforicarpo, Similibisco)   Il ritratto di Antonella con il seme è di Simonetta Borrelli