Ha iniziato la sua attività negli anni ’70 e le sue opere sono esposte nei musei di Parigi e New York, tuttavia, nella soddisfazione dei risultati artistici raggiunti e del riconoscimento del mercato. Un solo rammarico: non essere riuscita a creare una scuola“Amo molto il personaggio di Orlando perché fedele ai suoi principi fino
alla morte e sinceramente innamorato della bella Angelica”. Del resto,
Cristiani o Saraceni, quel che importa è che siano leali e cavallereschi e
si muovano seguendo ideali nobili, primo fra tutti l’amore.

È questo il messaggio che {{Nerina Chiarenza}}, l’unica donna pittrice di carretti siciliani e l’ultima depositaria di una lunga tradizione che risale almeno
al Settecento, affida alle sponde, alle casce di fusu, alle fiancate, alle
ruote che dipinge nel suo laboratorio di Aci Sant’Antonio (Catania),
quella che fu una volta la città dei maestri carrai.

In realtà, in quelle
scene di combattimento tra paladini e saraceni non c’è la pugna cruenta,
ma piuttosto una sorta di gioia bambinesca del cozzare, del duellare, non
c’è esaltazione del sangue, anzi, appare improbabile che quei corpi
possano sanguinare ai colpi di quelle spade di latta o di cartone.
_ Non la
guerra ma l’amore, insomma, attrae Nerina che da donna, da madre e ora da
nonna, ha intuito la lezione ariostesca, quella stessa che fa dimenticare
a Orlando la guerra per amore di Angelica, dietro la quale non fa altro
che correre, mentre la bella e sensuale Angelica, che nel Furioso non è
nemmeno più la maga dell’ Orlando innamorato del Boiardo, ai due eroi che
spasimano e litigano per lei, preferisce il piccolo e oscuro personaggio
del saraceno Medoro.
_ Tanto più che la Chiarenza rivisita i volgarizzamenti
popolari dell’epica cavalleresca contaminandoli abbondantemente con motivi
fiabeschi. Non diversamente accade per altri soggetti, come quelli tratti
dalla Cavalleria rusticana o le vite dei santi. Sicché si comprende perché
alla definizione retorica di un giornalista di “Michelangelo dei carretti
siciliani”, preferisca quella che le scrisse nella dedica di un libro il
suo amico ed estimatore, avvocato Gaetano Rizzo Nervo: “A Nerina
Chiarenza, regina saracena”.

“Mi piacciono le cose vere, sono quelle che sento e che mi piace
dipingere” – dice, vere e sentite come quelle scene della Resistenza e dei
martiri di Marzabotto che negli anni ’70 l’avvocato Rizzo Nervo le
commissionò per una mostra a Roma.
_ “Io ho usurpato un mestiere da uomini, il mio nonno materno Luigi
costruiva carrozze, io appartengo a cinque generazioni di costruttori di
carretti ”. Sin da bambina è affascinata dal lavoro del padre e assiste
rapita al suo lavoro: “Io tra i carri ci sono nata – dice – . Da piccola
aiutavo papà nel suo lavoro, raffreddando con secchiate d’acqua i
cerchioni delle ruote”. Una formazione da autodidatta, la sua: “Ho rubato
guardando un po’ da tutti” – secondo un modo tipico delle donne di
imparare un’arte. Del resto, non era facile per una donna della sua
generazione in quest’angolo di Sicilia fare studi regolari.

A 14 anni “mi
nni fuii”, secondo un’usanza comunissima da queste parti, prende la fuga
con un ragazzo più grande di lei che diventerà suo marito e il padre dei
suoi quattro figli.
_ “Da sempre ho disegnato e dipinto ma da professionista cominciai la mia
attività negli anni ’70, in quegli anni, in un piccolo paese siciliano
come Aci Sant’Antonio, destava scandalo una donna che lavorava,
figuriamoci in questo campo tradizionalmente maschile, perciò non credo
che ce l’avrei fatta senza l’aiuto di mio marito, il mio primo e più
grande sostenitore che, con il suo camion, girava la Sicilia in lungo e
in largo per raccattare pezzi di carretto in disuso e mi seguiva e mi
aiutava negli allestimenti delle varie esposizioni in Italia e
all’estero”.

Sue opere sono esposte nei musei di Parigi e New York, tuttavia, nella
soddisfazione dei risultati artistici raggiunti e del riconoscimento del
mercato, c’è un grosso rammarico, quello di non essere riuscita a
trasmettere quest’arte, che così è destinata a morire senza vivai e in
assenza di una scuola apposita: “Eppure mi piacerebbe tanto finire la mia
carriera insegnando in una scuola così!”.

Mentre uno dei suoi figli fa lo
scultore di carretti, un altro, diplomato all’istituto d’arte, fa il
puparo aiutato dalla moglie Agata, la quale ha smesso di decorare i carri,
arte che aveva imparato dalla suocera. Molte scolaresche vengono a visitare
il laboratorio di Nerina, situato in un ampio ambiente della sua bella casa
dalle settecentesche maioliche siciliane, e lei si fa vedere subito
all’opera e le invita a decorare un piccolo pannello di legno, guidando
amorevolmente la loro mano e correggendo i loro errori.
_ E mentre ci mostra
le foto che la ritraggono con una scolaresca di Bolzano e con un’altra
degli Stati Uniti, ha sul viso l’espressione generosa di chi ama donare e
donarsi e negli occhi azzurri un velo di tristezza per il rimpianto di
“quei carri dipinti curiosi e differenti che attirano l’occhio e la mente
e si muovono come rebus che viene naturale tentare di risolvere” (Guy de
Maupassant).