Dal sito di Sinistra democratica riprendiamo le seguenti cosiderazioni a cura di Katia Zanotti (deputata di Sinistra Democratica) e Cecilia D’Elia (assessora al Comune di Roma) sull’iter del disegno di legge governativo sulla violenza sessuale, fermo in Parlamento da un anno.E’ ormai un anno che la proposta di legge che contiene nuove norme contro la violenza sessuale è in discussione in Commissione Giustizia alla Camera. E’ anche vero che il Governo tramite il Ministro Barbara Pollastrini ha chiesto a tutte le forze politiche un impegno trasversale, ma non ha ancora chiesto la corsia preferenziale.

Qualcuno della maggioranza propone di {{stralciare il}} {{reato di stalking (persecuzione, maltrattamento, molestie)}} e approvarlo in commissione in sede deliberante per inserire il resto della legge nel “pacchetto sicurezza” del Ministro Amato.

Altri della maggioranza propongono di garantire {{una corsia preferenziale al reato di stalking}}, per trattare con tempi ordinari il restante corpo della legge.

Le {{opposizioni di centro destra}} contrastano radicalmente quella parte del testo che estende la legge Mancino ai reati motivati da orientamento sessuale reagendo, si spera con più efficacia, all’omofobia.

Le {{organizzazioni omosessuali}} si oppongono giustamente allo “spacchettamento” della legge perché temono che ciò che resta finisca irrimediabilmente su un binario morto.

Insomma, {{regna grande confusione sotto il cielo.}} Nel frattempo le donne, in un crescendo agghiacciante, sono uccise, stuprate, perseguitate, molestate dagli uomini. Spesso mariti, fidanzati, padri, amanti, amici.

In questo scenario siamo {{contro l’immissione delle norme contro la violenza di genere nel provvedimento sulla sicurezza}} del Ministro degli interni e raccogliamo perciò convinte l’appello alla ragionevolezza dell’Associazione giuristi democratici.
Siamo {{contro lo stralcio dello stalking}} se contestualmente non si provvedesse a calendarizzare la restante parte del testo in aula, perché condividiamo le giustificatissime preoccupazioni del movimento omosessuale.

La violenza maschile contro le donne è fatto antico e come tale ha una sua storia. Attraverso il tempo e nelle diverse società i confini di ciò che viene denominato come violenza sono mutati a seconda della percezione che gli uomini e le donne hanno avuto di questo fenomeno. Questo è infatti un potente indicatore dello stato delle relazioni tra i sessi, del tipo di civiltà in cui si vive. Non a caso attraversa società tra loro diverse, quelle nelle quali i diritti delle donne sono stati riconosciuti, come quelle in cui il diritto è ancora territorio del dominio maschile.

Oggi sappiamo che è la prima causa di morte per le donne di tutto il mondo. Se possiamo denunciarla come tale è perché dalla seconda metà del secolo scorso, le donne hanno cominciato a dire che il loro corpo è inviolabile. {{Il paradosso}} è proprio questo; oggi possiamo illuminare la scena attraversata dalle migliaia di vittime della violenza maschile, dalla violenza domestica agli stupri operati dal nemico in tempo di guerra, perché quelle stesse vittime si sono fatte soggetti.

Le vittime hanno fatto la loro mossa. Ciò che non torna, che rimane {{non detta e occultata è la risposta maschile}}. Per questo comprendiamo chi dice che la violenza è un problema degli uomini. Per questo, a dieci anni dall’approvazione della legge contro la violenza, frutto di diciassette anni di mobilitazioni, discussioni e divisioni anche tra le donne, ci chiediamo e chiediamo se il deficit da colmare, il punto da cui ripartire, sia ancora la produzione di norme penali.

Contro la violenza c’è necessità di {{un progetto organico di intervento}} che sia in grado di contenere, ad esempio, la formazione all’eguaglianza dei generi fin dalla scuola primaria, l’informazione, la costruzione di una rete dei servizi sociali e di accoglienza per le vittime, la valorizzazione, il riconoscimento e il sostegno della importante rete dei centri antiviolenza, la relazione forte con il movimento e l’associazionismo delle donne in tutte le sue articolazioni e differenze.

{{Il testo all’esame del Governo}} va in questa direzione, tuttavia ha bisogno di {{correzioni}} che fra l’altro, rendano chiara la definizione giuridica di violenza di genere affinché includa ogni forma violenta e discriminante rivolta contro una persona in ragione della propria identità di genere od orientamento sessuale.

Ci sembra che affidare prevalentemente alla esemplarità della punizione la soluzione di un fenomeno che riguarda i rapporti che gli uomini hanno con le donne, che riguarda{{ lo spaesamento maschile}} di fronte alla libertà guadagnata del genere femminile, rischia di dare parzialità di risposta ad un fenomeno, quello della violenza contro le donne, che non consente parzialità di lettura, perché in gioco è la qualità della civiltà in cui viviamo.

Servono politiche a sostegno delle vittime, a partire dalle pratiche che le donne delle associazioni e degli enti locali hanno messo in campo in questi anni, centri antiviolenza, sostegno legale, costituzione di parte civile delle istituzioni nei processi per stupro, reinserimento sociale e lavorativo delle donne in difficoltà. Dunque ben venga {{un Osservatorio nazionale sulla violenza e il piano di sostegno ai centri}}.

Serve soprattutto imporre al discorso pubblico la questione del controllo sul corpo femminile, campo di battaglia che attraversa il fatidico scontro di civiltà, ne mette in discussione i confini e la reale posta in gioco.
Se problema di ordine normativo si pone, a parer nostro riguarda il pieno riconoscimento della soggettività e libertà femminile, che è fatto culturale, simbolico e anche giuridico, dismettendo per sempre una concezione delle donne come soggetti deboli da tutelare al pari degli anziani e dei bambini. Abbiamo misurato purtroppo in questi anni quanto è difficile inscrivere l’habeas corpus femminile nel contratto sociale, che non può darsi senza l’affermazione del diritto fondamentale all’ inviolabilità del corpo femminile.

Dovremmo partire dal {{mutare radicalmente le leggi}} che negano questo, a cominciare dalla {{legge 40 sulla procreazione assistita}}.

Rimane il fatto che una delle condizioni di forza per tutte noi sta nella {{ritessitura della tela della relazione tra donne, dentro e fuori le istituzioni, a cominciare da quelle nel governo e nel parlamento}}.