Trovo interessante l’uscita in sala del bel film di Margarethe Von Trotta su Hannah Arendt in concomitanza con la Giornata della memoria. Secondo me ricordare puntualmente l’olocausto diventa un esercizio inutile se non è chiaro il vero motivo che lo ha reso possibile e ne permette la proliferazione in forme diverse, ma non per questo meno feroci. Raccontando l’episodio che ha visto la filosofa assistere in qualità di reporter al processo contro Eichmann, il film potrebbe avviare {{un dibattito finalmente coerente con le valide argomentazioni da lei addotte}}, respinte allora pregiudizialmente con risposte poco meditate e furibonde reazioni.

{{Arendt }} comprende, infatti, che il male radicale, di cui i campi di sterminio hanno dato prova, eccede “i malvagi motivi dell’interesse egoistico, dell’avidità, dell’invidia, del risentimento, della smania di potere, della vigliaccheria” con cui viene di solito spiegato. Descrive il criminale nazista come {{un uomo privo di idee}} che si fa esecutore dei progetti del regime perché incapace di riflessione autonoma; fa così retrocedere Eichmann da novello satana, malvagio ma intelligente, ad {{omino mediocre, un signor nessuno}} come se ne vedono molti e che, pertanto, rappresenta la normalità non l’eccezione.

Con {{Simone Weil}} individua nell’assenza di pensiero l’origine dell’immane tragedia, {{spogliando così il male della grandezza di cui gli uomini lo ammantano.}} In più {{Arendt }} si spinge ad attaccare niente meno i capisaldi della tradizione filosofica:
-la costruzione logica del concetto che produce il distacco dalla viva esperienza perché parte da una premessa accettata in modo assiomatico da cui deduce ogni altra cosa, rifiutando così “gli insegnamenti della realtà”
-la cancellazione degli individui singoli e concreti a favore di un soggetto unico, l’astratto uomo universale.

Nei lager tale cancellazione viene realizzata non solo con l’assassinio, ma anche attraverso la{ reductio ad unum } di vittime e carnefici che diventano semplici {{marionette nelle mani degli oppressori. }}

La nostra attenzione è stata indirizzata verso il sistema di pensiero dominante sia da Weil che da Arendt, grandi donne che hanno colto{{ il nesso inscindibile tra teoria e prassi}}, peraltro già rilevato da Marx.

{{Arendt }} soprattutto ha compreso che l’uomo universale, protagonista della filosofia, lo diventa anche della realtà. Purtroppo non ha avuto tempo per portare avanti la sua brillante intuizione e rendesi conto che osservare un singolo dato, assolutizzarlo e seguirlo, procedendo in avanti con movimento rettilineo, sono tipiche modalità con cui il maschio umano osserva il mondo. La stessa mente che in campo filosofico ha inventato un soggetto unico inesistente cerca poi di realizzarlo nel mondo, tant’è vero che il tentativo di omogeneizzazione è sempre all’opera, sebbene in grado diverso, laddove il potere è detenuto dagli uomini: la società di massa ne è un esempio lampante, anche se i campi di sterminio restano insuperati perché hanno fatto coincidere in modo più compiuto idea e realtà.

Sembra impossibile ma a tutt’oggi tale{{ superiore verità }} stenta ad essere riconosciuta. Malgrado l’abbondanza di strumenti a nostra disposizione,{{ neanche le filosofe che si riferiscono ad Arendt}} riescono a seguire la strada che lei ci ha indicato pur in presenza di inevitabili contraddizioni. Se vogliamo davvero raccogliere l’eredità arendtiana dobbiamo abbandonare l’astrattezza del pensiero maschile e cancellare la cancellazione dei singoli che, resi in tal modo superflui, sono esposti senza difesa ad attacchi distruttivi. Dobbiamo, altresì, riconoscere che, azzerando la pluralità, la spontaneità e la creatività si azzera la vita stessa, dato che gli organismi devono ad esse la loro esistenza.

Per questo nel mio saggio{ La razionalità femminile unico antidoto alla guerra } scrivo: “i morti viventi, resi tutti uguali nei campi di sterminio e gli innumerevoli morti ammazzati sia in tempo di guerra che di cosiddetta pace, sono due facce della medesima, micidiale attitudine a ridurre a niente la vita” , considerando necessario “il recupero filosofico della singolarità, unicità, insostituibilità degli esseri umani che solo i corpi biologici, percepiti nella loro interezza ed unitarietà, possono garantire. Finché un immateriale ed evanescente soggetto – ragione, anima o spirito che dir si voglia – avrà l’esclusiva dell’individualità e del valore nel mondo del pensiero, sarà difficile assicurare un’attenzione rispettosa ai corpi umani che, con la loro fastidiosa accidentalità e bisognosità, attentano costantemente alla sua superba autonomia…Solo un approccio complessivo, capace di cogliere il quadro generale, può dar conto della vastità del problema ed indurre il riconoscimento che il pensiero unico, imposto con la forza all’intera specie, informa completamente le organizzazioni sociali, tentando di sostituire dappertutto alla varietà, imprevedibilità, spontaneità dei viventi, una innaturale uniformità che li storpia, li pietrifica e li costringe a recitare la stessa parte in una immutabile, allucinante narrazione” .

{{Un simile approccio al reale è tipico delle donne}} ed ha permesso loro di sviluppare una ragione in grado di assumere l’insieme con tutte le sue parti – senza far sparire i singoli soggetti, i singoli fatti – e di visualizzare le intricate connessioni che legano le parti al tutto. Senza tale sguardo il giorno della memoria continuerà ad essere affetto da una ripetitività stanca e cieca perché incapace di vedere quel male, considerato unico e limitato, dilagare in ogni dove e di notare che le vittime si fanno a loro volta carnefici in un insensato e tragico gioco delle parti. Continuerà soprattutto a soffrire della solita idiosincrasia nei confronti delle nuove idee – così ben rappresentata nel film in questione – che permette l’avverarsi della temuta rinascita dell’antisemitismo, rafforzato per di più dal suo radicamento in un diffuso razzismo dai mille volti.

I vichiani corsi e ricorsi non sono una fatale quanto misteriosa necessità. Possono essere interrotti da una mente che, conoscendo il vivente con i suoi bisogni e le sue possibilità e riconoscendo nella vita il bene, può reimmettere la specie nel percorso evolutivo intrapreso dalle antiche madri.

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