E’ in corso alla Casa del Mantegna di Mantova, fino al 24 giugno 2007, un’ampia retrospettiva di Tina Modotti, la grande fotografa degli “anni luminosi” del Messico postrivoluzionario, che abbiamo organizzato, come Gruppo 7 – Donne per la pace, in collaborazione col Comitato Tina Modotti di Udine, grazie al contributo della Provincia di Mantova. Abbiamo proposto la mostra (ad ingresso libero, presentata da Manuela Zanelli e corredata sia da un v{{ideo sulla vita e le opere dell’artista}} che dal {{film del 1920 di cui Tina è protagonista}}, T{he Tiger’s Coat}, Pelle di tigre) come l’ultima delle iniziative offerte alla città dalla Rete delle Associazioni Femminili, con il patrocinio del Comune di Mantova, in occasione dell’Anno Europeo delle Pari Opportunità e dell’ 8 Marzo.
_ Ci sembrava di poter riprendere così una tradizione quasi decennale di mostre di primavera, mostre monografiche di pittura, legate alla Festa Internazionale della Donna; tradizione che si era interrotta per volontà politiche nel lontano 1994, benché avesse visto la partecipazione di artiste qualificate a livello nazionale e non solo (in successione {{Carol Rama}}, {{Bice Lazzari}}, {{Regina}}, {{Titina Maselli}}, {{Renata Boero}}, {{Dadamaino}}, fino ad {{Amalia Del Ponte}}), accanto ad altre riconosciute presenze mantovane e milanesi.

Quelle mostre (rivolte anche alle scuole, con visite guidate) ci erano parse esemplari di un’operatività femminile qualitativamente alta e troppo a lungo disconosciuta nel panorama dell’arte contemporanea. Oggi, diversamente da allora, si tratta di una mostra fotografica, benché, come allora, di un’artista riconosciuta tale solo a partire da tempi recenti, lontana dalla notorietà mediatica, dai circuiti del consumo.
_ Ma i presupposti della nostra scelta rimangono gli stessi: da un lato – e primaria – la qualità formale del linguaggio espressivo, qui declinato secondo un valore sociale e politico dell’arte, mai ideologico o presuntuosamente didattico; dall’altro la forza di un segno che si affida a una sensibilità umana profonda, capace di identificarsi con la vita degli emarginati senza niente concedere al pietoso o al patetico, rispettosa piuttosto della dignità altrui, riconosciuta anche attraverso la cura e la bellezza stessa dello scatto fotografico; un segno che nasce dall’esigenza profonda di libertà e di giustizia e dal bisogno quotidiano della relazione: concreta, vitale, tipicamente femminile.

Un’immersione nella “vita”, quella di Tina Modotti, che assume una necessarietà tale da farle abbandonare la fotografia per la militanza, nella tensione a lungo irrisolta tra arte e vita: e alla fine, durante e dopo la guerra civile di Spagna, sciolta a vantaggio dell’impegno totalizzante per i perseguitati politici e le loro famiglie, nel Soccorso Rosso Internazionale.
Anche nella radicalità di questa scelta stanno la libertà e il coraggio di Tina Modotti.