Per Alessandro Milan le storie belle non hanno un lieto fine, semplicemente non finiscono. Possono trasformarsi in speranza dentro un dolore  soffribile. Nel mese di novembre 2016 il futuro di Francesca  si spezza, diventa tempo infinitamente povero a bastare.Tra un mese, al massimo tre, sua moglie non ci sarà più.  Mi vivi dentro, pubblicato a febbraio 2018, è soprattutto  un libro vero.

Racchiude di Alessandro e Francesca la testimonianza più toccante, la forza che accomuna una coppia in grado di guardarsi dritto negli occhi, annusando anche il più piccolo cambiamento quotidiano. Senza fingere.

Nei momenti più drammatici era già complicato cercare di lenire la verità: sarebbe stato ingiusto anche un blando tentativo di mistificarla. Coraggiosa e generosa Francesca, davvero una Wonder woman. Accetta di non poter fare (più)parte del futuro del marito , libera entrambi da  quella forma di egoismo distruttivo che reclama si faccia ,  e a tutti i costi,  l’impossibile. Nella chiosa di Alessandro rinunciare ad ogni egoismo significa anteporre il bene dell’altro al proprio. E’ diventato chiaro quando un’infermiera mi ha raccontato la storia di un suo conoscente.

Anche lui, più o meno alla mia età, aveva perso la  moglie  che , in punto di morte,  gli aveva intimato: non ti permettere di fare entrare nessun’ altra donna nel nostro letto, non azzardare a far conoscere  nostro figlio a nessuna, il vero amore è per sempre.

Francesca, invece, aveva scelto di scrivere ai figli che sarebbe stata  sempre al loro fianco .Farfalla bianca a proteggerli nelle ore più buie. Angelica e Mattia avrebbero potuto ricordarla come la loro mamma, anche quando vicino a papà ci sarebbe stata un’altra donna. Senza cedere al chiasso di troppe parole Alessandro lo sottolinea, un rigo sottile,  appunto essenziale .  Non ha scritto “se” ci sarà un’altra donna, ma “quando”.  Commozione, ammirazione, perfino una forma di pudore. Grato.

Lottare spalla a spalla contro la malattia oncologica significa davvero tanto, troppo. E’ guerra, dichiara convinta Lea, protagonista de ‘ La Storia della mia ansia di Daria Bignardi, testo pubblicato nel medesimo febbraio 2018.  Occorre indurirsi, diventare coriacei, ferini per non rimanere troppo umani, perché così non c’è scampo. Ci rimetti subito la testa.

Bisogna recuperare qualcosa che hai dentro , ben nascosto, di quando gli umani non erano ancora del tutto umani, prosegue Lea,  additando ad esempio   una combattiva donna sovietica, ex comandante  di un plotone di fanti mitraglieri in lotta contro i nazisti  .

Riannodo il ricordo di Marta *, paziente alla quale era stata comunicata la stessa prognosi di Francesca. Due, a malapena tre mesi di vita. Parole secche come il rumore di un ramo che si spezza. Quasi rimprovero.  La terapia per Marta non ha funzionato. La mandiamo in hospice.

Cominciarono i dissidi in famiglia, a macchia d’olio i contrasti, a dismisura l’antipatia senza cordialità della suocera per il genero, compagno di Marta.  Lui, con quella  richiesta,  imposta ,inopportuna, troppo maldestra, in una sera di giugno, a poche settimane dal commiato definitivo.

Immagino tu non avrai  niente  in contrario se mi rifaccio una vita.  Lei,  che amava definirsi operattiva, si era da tempo, invece, come raggomitolata dentro se stessa, assolutamente precaria nella relazione  con il proprio compagno.  A luglio, in un pomeriggio, più straziante del solito il dolore, con schietta amarezza  Marta mi esplicitò che avrebbe dovuto fare altre scelte.  Avrei dovuto prendere mia figlia e andarmene via da lui. Avrei dovuto .

Ora c’è il tumore,  più forte di me. Penso   mi sia venuto perché in qualche modo avevo deciso di punirmi.  Chi vive il dolore della malattia oncologica  si sforza di stare dentro il flusso del tempo. Tempo che si dilata, si contrae, sfugge , si sfalda, incombe. Pare anche   suono ,temibile, incomprensibile, a volte accorato , quando  si cerca di    riconcepire la vita nel quì ed ora ,nonostante le avvilenti modificazioni dettate al corpo dalle  terapie.

Prima di cedere ad una sorta di evidenza clinica,  che esige  a sua volta il cemento della presa d’atto, molto ci s’interroga. Molto ci si tormenta. E’ cosi’ anche per Lea.  Che cosa ho fatto di male? Dove ho sbagliato? Chiunque si ammali sul serio si fa questa domanda, più o meno consciamente, con maggiore o minore urgenza.

A seconda di quanto è razionale penserà che la sua malattia dipenda dalle onde elettromagnetiche, l’inquinamento, lo stress, il lavoro, le persone che ha amato, le scelte che ha fatto, quel che ha mangiato.  Proverà un misto di senso di colpa, per l’errore che ha portato nel suo corpo disarmonia e malattia, e di speranza che individuandolo riuscirà a tappare la falla, ritrovare integrità, rimettersi sulla rotta giusta.  Questo altalenante  logorio  avvita, da ultimo,  un’ affermazione, lucida.

Nonostante ogni evidenza(…) non riusciamo ad  accettare l’insensatezza del male.

Per Lea, come d’altronde per Marta, l’innamorarsi ha significato guadagnarsi infelicitudine,  punirsi, forse, per  qualcosa che si è fatto in una vita precedente, quando  magari si spezzavano cuori senza accorgersene.   Una specie di legge del contrappasso ?!  Purtroppo argomentazioni conclusive, alla luce di cotanta logica,   evidenziano che certe forme di malamore vengono   giustificate, nel paradosso rafforzate.  Come nel caso di Shlomo, marito di Lea.

Shlomo sostiene che innamorarci sia stata una disgrazia. Credo di soffrire più di lui per quest’amore disgraziato, ma Shlomo non parla delle sue sofferenze. Shlomo non parla di  sentimenti, sesso ,salute. La sua freddezza mi fa male in un punto preciso del corpo.  Come se la malattia indossati i panni di un gabelliere,  legittimato alla riscossione di dolore contante e di  addebiti in sofferenza, prendesse poi il volto di un  giudice in grado di dirla  giusta in merito a relazioni e significati loro attribuiti.

Intreccio di paradossi che sgomentano, di logiche che non sono ragionevoli, peregrinazioni mentali in cerca di un ubi consistam, di conti che ,alla fin della fiera ,poco tornano.  Inquietano,  come i danni collaterali della chemio , sono fantasmi ben alloggiati, in guerra, dal di dentro.   Ma, ama sottolineare  Lea , se  pensiamo  che non esista una verità se non la nostra, e che non sia legata indissolubilmente a chi siamo in quel momento, anche il concetto di errore perde senso. Ho sbagliato, ma sono. E amo e vivo, per adesso.

 

A corredo del testo – I brani sono tratti da Alessandro  Milan, Mi vivi dentro ,Edizione pubblicata in accordo con Donzelli Fietta Agency srls 2018 DeA Planeta Libri  s.r.l.s Milano Daria Bignardi, Storia della mia ansia, Milano, Mondadori ,2018

*Marta è nome di fantasia. La sua vicenda e la morte, avvenuta nel 2013, sono state  rielaborate per ovvie ragioni di tutela e delicatezza.