Il discorso della Chiesa sulle donne ha radici davvero antiche, radici che affondano, naturalmente, nella figura di Maria, l’unico personaggio pienamente umano assurto al vertice della religione cristiana, personaggio che non a caso era una donna.
{{ Maria}} è {{“la” Vergine}}, integra anche dopo il parto dovuto all’intervento fecondatore dello Spirito Santo, ma è anche una Maria non ancora desessualizzata, soprattutto nella devozione popolare, donna che è stata amata, che è stata gravida, che ha partorito, allattato, abbracciato e allevato un bambino vero.

Una donna simbolo, nei primi secoli, di femminilità e maternità insieme, secondo echi di culto delle dee madri del paganesimo, non ancora destinata a soccombere al dualismo o puttana o madonna, consumatosi nel momento in cui i dirigenti della chiesa di Roma, consci dell’impatto della sua figura nell’immaginario dei fedeli, se ne appropriarono inesorabilmente a vantaggio e prestigio dell’istituzione, riducendone l’essenza a esempio di virtù, solo suo merito la docile obbedienza ad un comando, in questo caso, ovviamente, divino.

Saranno i Padri della Chiesa, da Agostino di Ippona a Girolamo, da Gregorio di Nissa a Tommaso d’Aquino a radicalizzare il pensiero circa immagine e ruolo della donna, una volta ricostruito {{il “personaggio” Maria}}: l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza spirituale di Dio, la donna ne è invece l’immagine corporea, inferiore perché espressione di carnalità, peccato e caduta.

{{I primi scrittori cristiani}} sono tutti concordi nell’offrire alla donna solo tre possibilità d’essere: prostitute, mogli o vergini, in un crescendo che vede nell’integrità mariana il traguardo assoluto in quanto la prostituta è totalmente in balia della carne e dei desideri, la moglie è certo corpo sessualmente connotato, ma almeno è un corpo docile e soggetto al marito- capo, la vergine, mai femmina, è invece, finalmente uguale all’uomo.

Necessarie per procreare, le donne rappresentano quel corpo con il quale l’uomo è obbligato, Tommaso preferisce il termine abbassarsi, a entrare in contatto, cadendo in suo dominio per il tempo dell’atto sessuale, fino a trovarsi in una schiavitù vergognosa e peggiore di ogni altra: le carezze e il tocco di una donna assoggettano e corrompono il pensiero dell’uomo e ne offuscano la ragione, la donna è, per la sua carnalità, {{una creatura difettosa, irrazionale proprio in quanto carnale}}, e quindi assolutamente non in grado di occuparsi di se stessa o dei figli.

{{La svalutazione e la mortificazione del corpo femminile}} hanno proprio radici antiche, basta questa breve e parziale introduzione a ricordarcelo, e queste sì, come amano ripetere da qualche anno quasi tutti i politici europei, indipendentemente dal colore di partito, che affondano nella comune cultura cristiana dell’occidente.

Tenute per secoli volutamente ignoranti, salvo qualche rudimento di geografia, musica e francese nella classi nobili per accrescerne il valore sul mercato matrimoniale, controllate o attraverso la miseria o nei confessionali, segregate in casa fino al matrimonio o chiuse nei conventi, vendute dalle famiglie per logiche di territorio o di guerra, le donne sono state oggetto di un controllo sociale durato appunto secoli, di cui la Chiesa si è fatta interprete principale.
Qualsiasi atteggiamento d’indipendenza, qualsiasi sfida o resistenza alla posizione dominante degli uomini venivano duramente repressi e rinchiusi nella{{ categoria della devianza o della pazzia. O della stregoneria.}}

Quando, con il XVI secolo e fino al XIX, si vanno precisando le trasformazioni economiche, culturali e sociali che cambieranno gli uomini medievali in uomini della produzione capitalista, saranno le donne, le streghe a incarnare l’ultimo estremo tentativo di resistenza: come scrive mirabilmente {{Silvia Federici}}, tra le fiamme dei roghi, nella distruzione della magia e dei saperi antichi, nelle leggi contro le danze e le feste muore l’individuo del vecchio mondo perché il capitale ha la necessità di costruire un individuo a sua misura e in funzione dei propri bisogni.

Siamo {{ancora nel solco di quella sconfitta}}: non più con i roghi, ma, come allora, a garantire che ogni intollerabile ribellione venga stroncata si erge la Chiesa, con le armi che la modernità offre, dall’influenza politica, là dove la maggioranza dei cattolici vive in modo ben diverso dai precetti della chiesa, all’espansione geografica nei paesi del sud del mondo, che costituiscono una formidabile terreno di conquista per la chiesa di Roma.

{{Crocevia di questo scontro è la donna}}, il suo ruolo nella società, in famiglia, nelle relazioni e nella vita pubblica. Oggi in occidente il controllo sociale passa attraverso il controllo delle donne e, in particolare, delle loro scelte in materia di sessualità, rapporti, indipendenza e lavoro.

Fuori dalla famiglia, non più moglie né vergine, la donna torna ad essere intollerabilmente puttana: libera, irrazionale, pericolosa.
Mai {{slogan femminista}} è stato più consapevolmente e genuinamente scagliato contro tutto l’apparato misogino e sessuofobico delle istituzioni ecclesiastiche del famoso “né puttane né madonne ma semplicemente donne”.

Il movimento femminista, infatti, per i temi che poneva e per la carica ribelle dei no! che le donne opponevano a destini e abitudini che sembravano immutabili, minava dalle fondamenta lo status quo sia per aver spinto le donne a uscire dalle quattro mura di casa, sia per aver messo in discussione, collocando se stesse al centro del discorso politico di quegli anni, tutto un sistema economico e sociale che, allora come oggi, si regge su una rigida divisione di ruoli: possiamo anche lavorare fuori casa o decidere di non aver figli ma è indispensabile, per la produzione, che ci sia una donna a farsi carico del lavoro di cura e di riproduzione.

Pensiero, e azioni, delle istituzioni della Chiesa dinanzi a tali questioni sono sempre uguali da secoli e sempre dalla parte del potere, come strumento di potere, di pressione, di ricatto.
Il pontificato di Giovanni Paolo II in questo senso è stato significativo e Ratzinger ne è degno successore.

{{L’agenda politica è ormai da anni dettata direttamente dal Vaticano,}} dalla polemica sui crocefissi nelle scuole all’aspra battaglia referendaria sulla procreazione assistita, dai finanziamenti sempre crescenti per le scuole private cattoliche al dibattito sulle coppie di fatto, dalla legge ad hoc per non far pagare l’Ici a tutte le proprietà della Chiesa all’ultima ingerenza, in ordine di tempo, in occasione della recente campagna elettorale con l’indicazione esplicita della Cei a votare candidati dichiaratamente antiabortisti in quanto aborto, eutanasia e unioni civili costituiscono “valori non negoziabili”.

Non una parola sulla pedofilia, che sarebbe lecito considerare come {{un tema sul quale pretendere l’impegno di qualunque candidato, laico ateo o praticante}}: evidentemente il rispetto e l’integrità fisica e psicologica dei bambini violati dai preti sono negoziabilissimi.

Non vi è giorno senza che compaia sui giornali una dichiarazione del papa o dei vescovi sull’aborto, sulla pillola del giorno dopo o, da settimane ormai, sulla RU486.

{{In gioco non ci sono solo i diritti delle donne,}} ma soprattutto la possibilità di affermare un principio, vale a dire poter scegliere liberamente, usare, e valutare, quanto la scienza offre, esercitare un pensiero critico e affrancarsi da apparati religiosi o culturali immobili, vecchi, sorpassati dalla complessità del mondo in cui viviamo.

Il referente diretto delle indicazioni del Vaticano è, in Italia, un parlamento non casualmente figlio della stessa cultura obsoleta: ex democristiani e ciellini, {{membri dell’Opus Dei}} o {{simpatizzanti del Movimento per la vita}}, {{aderenti a gruppi e organizzazioni quali Alleanza Cattolica}}, come, un nome tra i tanti che ci tocca da vicino, {{Roberto Cota}}, neo presidente della Regione Piemonte, la cui candidatura è stata ufficialmente sostenuta con un documento del 26 febbraio scorso dal titolo “Per la vita e per la famiglia, Alleanza Cattolica ha scelto Cota” .

Non stupisce che da un contesto del genere nascano orrori legislativi come la {{legge 40}} del 19 febbraio 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, vero banco di prova di come si esprime l’alleanza tra mondo politico e Chiesa sul corpo delle donne, a dimostrazione di quanto la nuova frontiera della politica sia tutta agita sul terreno della sessualità e delle relazioni, mettendo in gioco la vita delle persone attraverso l’accesso del potere al corpo, al suo valore e alle sue declinazioni.

Infatti, se leggiamo l’art. 1 della legge 1, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito sembra di sfogliare il documento {{“Dignitas personae”}}, pubblicato dalla Congregazione della Dottrina della Fede, in cui si afferma che l’embrione ha la dignità di persona fin dall’inizio, o l’art. 4, che vieta il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, che richiama la parte del testo su citato relativa all’unità del matrimonio e il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro, oppure gli art. 13 e 14 sul divieto alla diagnosi pre-impianto, alla crioconservazione di embrioni, e sull’obbligo dell’impianto unico e contemporaneo di massimo tre embrioni, che paiono echeggiare analoghi passaggi della “Dignitas personae”, per cui è moralmente illecito sacrificare embrioni nel contesto delle tecniche di fecondazione.
Sono i cosiddetti temi etici, sui quali l’imperativo morale, ovviamente inteso solo in senso religioso, deve essere più forte delle ideologie, dei partiti, dei programmi…

La legge 40 rappresenta anche il trionfo dell’unico modello accettabile di relazione sociale e affettiva, vale a dire la famiglia, all’interno della quale, per la Chiesa, la donna ha un ruolo determinante.

Può essere utile fare un passo indietro, al 1995, e riprendere {{la lettera di Wojtyla alle donne}}, che va nella medesima direzione.
In essa infatti il pontefice si rammarica delle responsabilità oggettive della Chiesa nell’emarginazione e nella riduzione in servitù delle donna, salvo poi ringraziarla poche righe dopo in quanto sposa, madre, figlia e sorella. Riferendosi poi agli ostacoli che impediscono alle donne il pieno inserimento nella vita sociale, politica ed economica, l’unico cenno in tema è quello al “dono” della maternità, penalizzante e discriminante soprattutto in ambito lavorativo.

E quanto apprezzamento viene invece espresso per le “donne che, con eroico amore per la loro creatura, portano avanti una gravidanza legata all’ingiustizia di rapporti sessuali imposti con la forza; e ciò non solo nel quadro delle atrocità che purtroppo si verificano nei contesti di guerra ancora così frequenti nel mondo, ma anche con situazioni di benessere e di pace, viziate spesso da una cultura di permissivismo edonistico”…e si cita alla lettera il testo.

Se si prosegue nella lettura, si arriva ai paragrafi in cui, chiarendo il concetto di “genio femminile”, Wojtyla lo valorizza e riconosce esclusivamente nei rapporti quotidiani tra le persone, specie dentro la famiglia, nell’impegno che le donne mettono nei più diversi settori dell’attività educativa, asili, scuole, università, istituti di assistenza, parrocchie, ove, a suo dire, realizzano una sorta di maternità affettiva, culturale e spirituale.

Come si vede si rimane relegate nella sfera della cura; le donne vengono ritratte quali dispensatrici d’amore, docili comparse su palcoscenici già di per sé secondari, proprio in quanto tipicamente terreno della donna: asili, scuole e simili.

Nei brani successivi si precisa meglio quale sia l’unica altra dimensione per la donna, ovviamente quella coniugale: l’uomo e la donna hanno un rapporto di reciprocità sponsale e feconda, differenti ma non in conflitto…ogni donna, del resto, deve ritrovarsi in Maria, massima espressione del genio femminile, sposa e madre di famiglia, serva del Signore e quindi anche al servizio degli uomini. Un servizio d’amore.

L’universo in cui si muove la donna, nel 1995!, è quello della famiglia, degli affetti, del matrimonio, dell’assistenza, nessun conflitto, nessuna ribellione, esattamente lo stesso ambito, o gabbia, che pensano per noi politici, legislatori ed economisti.

Il cerchio si chiude, simbolicamente, quasi 10 anni dopo con {{Joseph Ratzin}}ger, non ancora papa, e la sua {{“Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo}}”, un documento di 37 pagine, elaborato da uomini per vocazione celibi e vergini per orientare le relazioni tra i sessi sulla base del versetto della Genesi “maschio e femmina li creò” e che dà l’impressione di fissare una sorta di linea guida ben oltre i limiti dell’interesse e dell’intervento religioso o spirituale,

Se si legge {{il patto per la famiglia sottoscritto in campagna elettorale da Cota}}, o si esaminino le cosiddette politiche familistiche, in particolare in Lombardia e Veneto, oppure si presta attenzione alle {{dichiarazioni di Binetti}}, {{Rocella, Zaia}} e varia compagnia, i legami si palesano facilmente, prendendo la veste di veri e propri accordi, i cui contraenti si citano e sollecitano a vicenda.

Ed ecco, per tornare ai {{recenti avvenimenti in Piemonte}}, che i vertici della Chiesa indicano chi va votato, il candidato così investito si affretta a fare dichiarazioni, e a prendere impegni, nel senso che gli è stato precisato con tanta chiara autorevolezza spirituale, poi, una volta incassato il consenso, in termini di voti, altro scambio di reciproche promesse: Cota si affretta a intervenire su un tema di cui non sa niente, la pillola RU486 e i vescovi del Piemonte gli presentano, in forma di lettera aperta, una lista di priorità sulle quali intervenire una volta assunto ufficialmente l’incarico di presidente della Regione.

Tutto questo tra incredibili cori di plauso del centrosinistra, sconfitto, a parte due sole eccezioni.

I punti del testo, {{famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio, valore della vita e sostegno alle scuole cattoliche,}} sono perfettamente coerenti con il programma politico, e finalmente chiamiamolo con il suo nome, del Vaticano.
Esaminando la Lettera ai Vescovi di Ratzinger è possibile individuare appunto quale sia la direzione da seguire, puntualmente rispettata.

E dunque {{no all’ideologia di genere}} che si va affermando nella cultura occidentale e secondo la quale, per Ratzinger, ciascuno/a ha il diritto di scegliere il proprio genere. {{No al divorzio.}} {{Sì alla partecipazione della donna alla vita pubblica purché non leda la sua vocazione alla maternità}}.{{ No al sacerdozio femminile. Sì alla famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.}}Inchiodate al proprio destino biologico, queste sono le donne per Ratzinger. E gli uomini.

Il pericolo arriva però da due parti, dal {{femminismo definito radicale}} (ci si chiede come possa essere il femminismo non radicale!) e dalle {{teorie sul gender espresse,}} tra le voci più autorevoli, dell’antropologa, e femminista, nordamericana Judith Butler.

Il femminismo è accusato da Ratzinger di sottolineare ad arte la condizione di subordinazione della donna con la finalità di suscitare un atteggiamento di contestazione e di rivalità tra i sessi che genera confusione, in primo luogo per la famiglia, che diverrebbe un campo di battaglia della donna contro l’uomo, forse dimenticando che per la donna lo è già, fino alla morte.

La dimensione di genere, invece, superando il dualismo sessuale uomo/donna, si pone come fatto culturale e sociale e quindi tende all’equiparazione tra eterosessualità, omosessualità, lesbismo e anche transessualità, con buona pace della coppia biblica maschio più femmina…

Anche dopo un esame così necessariamente breve di un testo di tale portata si può capire, senza tema di smentita, quanto i discorsi dei politici, le leggi che vengono proposte, le decisioni prese a livello locale, e nazionale (pensiamo per esempio alle agevolazioni all’affitto per le coppie sposate o che intendano farlo, oppure alla minaccia di bloccare l’introduzione negli ospedali della RU486 o l’affossamento di qualsiasi proposta di legge sulle coppie di fatto) ruotino intorno a un unico perno, alle stesse suggestioni e orientamenti.

{{Non è la fede ma la politica della fede,}} e questa impone sempre gli stessi diktat da secoli perché in materia di sessualità, di procreazione e di relazioni non ci è dato scegliere:{{ la donna è Maria, l’uomo deve essere Adamo, ma prima della caduta.}}

Alla Chiesa di Tommaso d’Aquino, che imputava ai venti umidi meridionali la nascita di figlie femmine quali circostanze avverse che sancivano il fallimento dell’impresa procreativa, alla Chiesa di Agostino che temeva che le donne facessero il bagno tutte insieme perché osservandosi avrebbero potuto riflettere sulle potenzialità dei loro corpi, possiamo e dobbiamo opporre una risata, in primo luogo, e poi la nostra radicale e conflittuale {{etica dei desideri, dell’autodeterminazione, della libertà di pensiero e di azione di uomini e donne, Eva!, consapevoli e indipendenti.}}

Il discorso della Chiesa sulle donne ha radici davvero antiche, radici che affondano, naturalmente, nella figura di Maria, l’unico personaggio pienamente umano assurto al vertice della religione cristiana, personaggio che non a caso era una donna.

Questo contributo elabora una seria di scritti:

{{Gérard Delteil}}, {Le radici religiose dell’ineguaglianza tra uomini e donne}, 1999

{{Silvia Federici,}}{ Il grande Calibano,} 1984

{{Vittoria Haziel,}} {E Dio creò la donna,} 2008

{{Stefania Giorgi,}}{ Il gender maledetto da Ratzinger,} “il Manifesto”, 1 agosto 2008

{{Judith Butler}},{ La disfatta del genere}, 2006 –

{{Cesare Mannucci,}} {{Puttana Eva!,}} 1997

{{Rosemary Radford Ruether,}} {Religione e sessismo}, 1974

{Lettera Del Papa Giovanni Paolo II Alle Donne}, Vaticano 29 giugno 1995

{Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo}, cardinale Ratzinger, 31 maggio 2004