Linda Laura Sabbadini

Laura Sabbadini, statistica economica, commenta il record toccato oggi dal tasso di occupazione femminile. “Ma i problemi rimangono: ci sono pochi servizi per la maternità e ancora oggi le giovani hanno più difficoltà dei loro coetanei a entrare nel mondo del lavoro”

Intervista di Barbara Ardù uscita su La Repubblica.it

—  Gennaio da incorniciare per l’occupazione femminile, salita al 49,3 per cento. E’ un record storico. E Laura Sabbadini, statistica sociale, non ha problemi ad ammetterlo. “Certo che lo è. Sicuramente è un fatto positivo, ma è pur vero che dobbiamo finirla di soffermarci sui record e fare di più per far entrare le donne nel mondo del lavoro e garantire loro la possibilità di rimanerci, senza che venga intaccata la qualità della loro vita. Cosa che non accade. Sono ancora le donne a farsi carico dei figli, dei vecchi e della casa. Un dato chiarisce bene il concetto: un quarto delle donne italiane alla nascita del primo figlio lascia il lavoro, tant’è che il tasso di occupazione feminile scende di cinque punti dopo una nascita e ridiscende di 10 quando arriva il secondo figlio. In Francia e Germania, al contrario, il crollo del tasso di occupazione femminile arriva dopo la nascita del terzo figlio. Finché non viene eliminato qualunque ostacolo all’occupabilità delle donne, è inutile concentrarsi sui record”.

E’ un appello al prossimo governo?

“Qualunque sia il governo che si formerà, dovrà porsi il problema di togliere gli ostacoli all’occupabilità femminile. E non solo per favorirla, ma anche per permettere alle famiglie in povertà (raddoppiate a cominciare dal 2012) di uscirne. Il lavoro femminile, come ha ben detto Chiara Saraceno, è un elemento di protezione dalla povertà della famiglia in genere. Perdere un reddito può accadere, perderne due è già più difficile”.

L’occupazione femminile ha retto meglio la crisi?

“Assolutamente sì. La crisi ha colpito soprattutto gli uomini, che per la maggior parte sono ed erano occupati in settori dove le difficoltà sono state state più forti: l’edilizia e l’industria. Il settore dei servizi, dove le donne sono più presenti, ha retto meglio. Tant’è che il recupero delle posizioni perse è arrivato prima per le donne. Ecco il motivo per cui oggi siamo davanti al picco del 49,3% di occupazione tra le donne. Inoltre, le donne hanno accettato più di buon grado il part time volontario rispetto a quello che hanno fatto gli uomini”.

Dunque va meglio?

“No, perché se è vero che la crisi ha colpito meno è pur vero che ha peggiorato la qualità del lavoro femminile. Più part time, appunto, ma anche più donne che hanno accettato lavori di qualità inferiore rispetto alla loro istruzione. Ci sono molte laureate occupate come diplomate. La crisi ha poi peggiorato la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, in un Paese che è già arretrato rispetto alle esigenze delle donne lavoratrici. E torniamo così dritte al discorso di un welfare che manca. Uno scenario però che non riguarda le giovani donne che oggi hanno ancora più difficoltà, rispetto ai loro coetanei, ad entrare nel mercato del lavoro”.

E come interpreta gli altri dati sull’occupazione usciti oggi dall’Istat?

“Siamo in un momento di stabilità. Dal 2014 siamo tornati ai livelli occupazionali pre crisi, molti cinquantenni sono rientrati al lavoro. Il vero dato che continua ad allarmare è quello sull’occupazione giovanile. E’ lì che siamo rimasti indietro. Dobbiamo ancora recuperare 10 punti rispetto agli anni pre crisi. Credo che dovremmo puntare sul settore della ricerca e sviluppo. Ma anche la pubblica amministrazione potrebbe assorbire giovani, svecchiando un settore dove mediamente l’età è ormai piuttosto elevata”.