Le ultime stime rese note dall’Istat  parlano di un Paese in cui oltre uno su quattro, il 28,7% delle persone residenti in Italia, nel 2015 è “a rischio di povertà o esclusione sociale”. Si tratta di una quota “sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (era al 28,3%)”. Il risultato è sintesi di “un aumento degli individui a rischio di povertà (dal 19,4% a 19,9%) e del calo di quelli che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (dal 12,1% a 11,7%)”. Resta invariata la stima di chi vive in famiglie gravemente deprivate (11,5%)”. Nel 2015 in termini assoluti in Italia l’Istat stima in 17 milioni 469 mila le persone a rischio povertà o esclusione sociale. Numeri che vedono gli obiettivi prefissati dalla Strategia Europea 2020 “ancora lontani”. Entro il 2020, infatti, l’Italia dovrebbe ridurre gli individui a rischio sotto la soglia dei 12 milioni 882 mila. Oggi la popolazione esposta è invece “superiore di 4 milioni 587 mila unità rispetto al target previsto”.
Quasi 1 su 2 ovvero quasi la metà dei residenti nel Mezzogiorno risulta a rischio povertà o esclusione sociale. Nel 2015 la percentuale di esposizione nell’Italia meridionale è pari al 46,4%, in rialzo sul 2014 (45,6%) e notevolmente maggiore rispetto alla media nazionale (28,7%). Al Centro, infatti, la soglia si ferma al 24% e al Nord al 17,4%. “I livelli sono superiori alla media nazionale in tutte le regioni del Mezzogiorno, con valori più elevati – spiega l’Istat – in Sicilia (55,4%), Puglia (47,8%) e Campania (46,1%).
In Italia inoltre la metà delle famiglie residenti può contare su un reddito netto non superiore a 24.190 euro, ovvero a 2.016 euro al mese, valore anche in questo caso “sostanzialmente stabile” rispetto all’anno precedente. La novità però è il fatto che il reddito familiare in termini reali interrompe “una caduta in atto dal 2009, che ha comportato una riduzione complessiva di circa il 12% del potere d’acquisto delle famiglie”. (ANSA . marzo 2017)

La misura nazionale di lotta alla povertà è stata approvata dal Consiglio dei ministri.  Il Reddito di inclusione si rivolge a una platea di 400 mila famiglie, pari a circa 1,8 milioni di persone  (sostituisce il Sia  il sostegno all’inclusione attiva). L’importo dell’aiuto corrisponde al massimo a quello dell’assegno sociale per gli over 65 senza reddito, pari a 485 euro al mese. La misura, in questa prima fase è destinata prioritariamente alle famiglie con figli minori, donne in stato di gravidanza, persone con disabilità o persone disoccupate ultra cinquantacinquenni. Il Rei sarà a disposizione non solo dei cittadin* italian* ma anche di cittadin* comunitar*, i familiari di cittadin* italian* o comunitar*, non aventi la cittadinanza in uno Stato membro, titolari del diritto di soggiorno o diritto di soggiorno permanente,  cittadin* stranier* in possesso del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, i e le titolari di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria), che siano residenti in Italia da almeno due anni al momento della presentazione della domanda.

Si parla di inclusione perché il provvedimento oltre a garantire un reddito minimo prevede, con l’aiuto dei comuni, tutte quelle azioni necessarie a portare chi ne usufruisce ad inserirsi gradualmente nel tessuto produttivo del Paese.

Il Rei vedrà l’avvio delle domande a partire dal primo dicembre, per giungere alla piena operatività dal primo gennaio 2018”. Ad averne diritto le famiglie con un valore dell’Isee non superiore a seimila euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ai ventimila.  Le risorse messe sul piatto – su questo anche il Governo non ha fatto mistero – sono insufficienti per la platea che l’Istat conteggia in condizione di povertà assoluta.

Al Rei sono destinati 1 miliardo e 845 milioni di euro a cui si aggiungono anche le risorse a carico del PON Inclusione (complessivamente 1 miliardo fino al 2022) per un totale di oltre due miliardi di euro l’anno dal 2019. Un passo avanti rispetto alla situazione attuale, seppur in cifre non così corposo: per l’anno in corso il Governo aveva infatti stanziato 1,15 miliardi attraverso il Sia. I due miliardi del Rei basteranno a malapena per 1,8 milioni di persone a fronte dei 4,7 milioni che nel 2016 l’Istat ha conteggiato in povertà assoluta (parametro, va ricordato, che l’Istituto di Statistica calcola prendendo a riferimento i consumi in un paniere di beni ritenuti essenziali). Secondo l’Alleanza per la Povertà che ha lavorato a contatto con il Governo in fase di approvazione del Rei, servirebbero almeno sette miliardi per accontentare tutti. Mancano quindi circa 5 miliardi.

Su questo provvedimento interessanti  due commenti: uno di Chiara Saraceno su La Repubblica di oggi e l’altro di Linda Laura Sabbadini su La Stampa sempre di oggi. Entrambe ne sottolineano i limiti pur affermando l’importanza che sia stato fatto un primo passo su un problema che molti Paesi in Europa hanno già affrontato e in parte risolto.

Basta in effetti dare uno sguardo alle somme stanziate per capire la differenza tra noi e il resto d’Europa: in Olanda, per dire, grazie al Participation Act un giovane single senza lavoro può ottenere un contributo pari a circa 980 euro, una coppia poco meno di 1500 euro. Stesso discorso in Francia, dove vige il Revenu de solidarité active e grazie al quale un giovane può ottenere anche 500 euro (in Germania 400) mentre una coppia avrebbe diritto senza difficoltà a più di mille euro. Siamo ben lontani dai 190 euro per i single o ai 485 euro per le famiglie più numerose in Italia.

Facciamo un sempio: se una famiglia italiana di due persone, con una soglia di povertà fissata a 1000 euro, guadagna 400 euro, con il Rei riceve una cifra di poco superiore ai 200 euro. Arrivando a 600 euro il nucleo familiare non raggiunge la soglia di povertà”.  Il problema, quindi, non viene risolto ma si genera un’ulteriore criticità: I beneficiari in questo modo continueranno ad essere conteggiati dall’Istat come poveri assoluti.

Se il provvedimento del governo partirà da novembre , in Emilia Romagna dal primo di settembre sarà operativo il reddito di solidarietà fissato in un massimo di 400 euro al mese su una Carta acquisti prepagata. I criteri per usufruire del Res: Isee inferiore ai 3mila euro, adesione a un progetto di attivazione sociale e di inserimento lavorativo (da rispettare pena il decadimento dell’aiuto), essere residenti in Emilia-Romagna da almeno 2 anni, non percepire altri sostegni analoghi. Protocollo di collaborazione con la Guardia di Finanza per individuare e punire eventuali false dichiarazioni da parte dei richiedenti. Potrebbe andare a 80mila persone. 35 milioni di euro dalla Giunta.

Per il Reddito di solidarietà, la Giunta regionale ha stanziato 35 milioni di euro. Potrebbe interessare 80 mila persone che oggi vivono in condizioni di estrema povertà. Soprattutto famiglie composte da giovani coppie con tre o più figli a carico, single, anziani con bassissimo reddito.

Nel dettaglio, il provvedimento specifica che l’adesione dei componenti del nucleo beneficiario del Reddito di solidarietà (Res) è condizionato all’accettazione di un progetto di reinserimento sociale o lavorativo. In questo assai simile al reddito di inclusione.  Dura al massimo 12 mesi, superati i quali il Res potrà essere richiesto solo trascorsi almeno altri 6 mesi. Si incorre nella decadenza dal beneficio in caso di mancata sottoscrizione del patto, oppure di mancato rispetto degli obblighi previsti dal progetto di attivazione sociale e inserimento lavorativo, o comunque in presenza di comportamenti incompatibili con il progetto da parte dei componenti il nucleo familiare (esempio: non partecipare a corsi di riqualificazione proposti, non garantire la frequenza scolastica dei minori, ecc.).

A tale proposito, viene specificato che spetterà ai servizi sociali territoriali, in collaborazione con i Centri per l’Impiego, monitorare il rispetto degli impegni presi dai beneficiari, proponendo se necessaria, la decadenza dal beneficio in caso di mancato rispetto degli stessi.

Quanto alle modalità di controllo, al momento della domanda i richiedenti dichiarano i propri dati attraverso documenti ufficiali (ad esempio la dichiarazione ISEE) o attraverso autocertificazione. Tutti i dati vengono verificati attraverso le banche dati in possesso di INPS, o attraverso i dati in possesso dei Comuni.

La Regione intende attivare un protocollo di collaborazione con la Guardia di Finanza per individuare e punire eventuali false dichiarazioni da parte dei richiedenti il beneficio. Altre regole riguardano le condizioni di incompatibilità da parte del nucleo familiare per l’accesso alla misura.

Infatti, il Res non potrà andare a chi gode già della nuova prestazione di Assicurazione sociale per l’impiego (NASpI), l’Assegno di disoccupazione (ASDI), o altro ammortizzatore sociale con riferimento agli strumenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria. È inoltre incompatibile la fruizione del SIA (Sostegno per l’inclusione attiva) da parte del nucleo familiare beneficiario. Nel caso in cui alcuni componenti il nucleo familiare usufruiscano di altri trattamenti economici, anche fiscalmente esenti, di natura previdenziale, assistenziale e indennitaria, il valore massimo di tali trattamenti non può superare i 600 euro mensili.

A Livorno cè il reddito di cittadinanza, partito l’anno scorso e rinnovato anche nel 2017: la giunta ha infatti confermato anche per quest’anno l’assegno a sostegno di cittadini bisognosi. Il fondo stanziato è pari a 400 mila euro: a ciascuno dei 358 beneficiari andrà per 9 mesi una somma compresa tra 80 e 220 euro, a seconda della composizione del nucleo familiare. Rispetto al 2016 l’intervento è stato rimodulato: aumento del budget complessivo e beneficiari triplicati, ma assegno più “leggero almeno per 6 mesi.

Mille domande, 100 selezionati . I beneficiari – precisano dal Comune – dovranno rendersi disponibili a svolgere lavori socialmente utili (“per almeno 4 ore settimanali”) o progetti culturali, artistici, sociali, ambientali o formativi (massimo 8 ore a settimana).