Il 22 settembre, alla Casa internazionale delle donne di Roma sarà presentato il libro “La città della dea Perenna” di Maria Paola Fiorensoli.

Sarà possibile seguire la diretta Facebook della presentazione collegandosi alla pagina Facebook della CGIL Funzione Pubblica Roma e Lazio.

La presentazione era prevista nell’ambito di “Feminism 3 – Fiera dell’editoria delle donne” dal 5 all’8 marzo. Ma la Fiera, come tante altre cose e, senza esagerare, come le nostre vite, è stata bloccata (temporaneamente) dalla pandemia da Covid-19.

Nella storia millenaria della città di Roma sono state tante le epidemie, le catastrofi, le devastazioni. “La città della dea Perenna” le racconta nel loro intreccio con la storia delle comunità femminili che hanno abitato l’ex Buon Pastore. Il sottotitolo del libro è, infatti: Donne a Roma dalla controriforma al femminismo e storia del complesso dell’ex Buon Pastore, oggi Casa internazionale delle donne.

L’associazionismo femminile, che dagli anni Ottanta ne ha fatto la propria “casa”, ha continuato a esplorare e studiare quel luogo-simbolo che è l’ex Buon Pastore cercando, nella storia e tra le sue mura, le tracce della presenza femminile. Il libro – editato oggi dalla Cgil-Funzione pubblica – amplia e aggiorna una precedente versione del 1999 che, a sua volta, faceva seguito a un video del 1995, prodotto da Il Paese delle donne, dal titolo “La città della dea Perenna”.

Cercando le tracce della presenza femminile, il femminismo ha fatto qualcosa di più: ha archiviato le proprie tracce, e lo ha fatto mentre il percorso si compiva, e continua a farlo ora. Il libro di Maria Paola Fiorensoli, con la sua puntuale raccolta dei documenti che hanno accompagnato la storia della Casa internazionale delle donne, fin dall’occupazione, è un esempio di questa cura, di questa attitudine.
Fiorensoli spiega: “Dalla tradizione innovativa dei Centri di documentazione delle donne, nati in molti casi nei primi anni Settanta del Novecento, il movimento femminista romano ha concentrato in alcune stanze al I piano della Casa internazionale delle donne di Roma (via della Lungara 19) libri, riviste, lettere e documenti, manifesti e volantini, striscioni, video e foto. È il luogo della memoria storica delle donne, il patrimonio storico dei movimenti femminili e femministi, conservato dall’Associazione ARCHIVIA costituitasi nel 2003, grazie all’iniziativa di associazioni e testate giornalistiche di orientamento femminista.
Nessun movimento politico ha mai dedicato tanta cura alla conservazione dei propri documenti e materiali. Per contrastare la sistematica cancellazione delle donne dalla Storia, per invertire una millenaria tendenza, ma anche per la consapevolezza che, mentre si agisce per i propri diritti e per la propria autonomia, si sta facendo la Storia.

Spazio e tempo sono le coordinate del lavoro di Maria Paola Fiorensoli che segue il filo rosso della storia delle donne. Una storia che scivola, pagina dopo pagina, nella cronaca, fino agli sviluppi, nelle prime settimane del 2020, della vertenza tra la Casa Internazionale delle donne e il Comune di Roma e, nelle ultime pagine, alla dolorosa scomparsa, a fine gennaio, della direttora di questa rivista, Marina Pivetta.

Esplorare lo spazio, esplorarlo nel tempo, si potrebbe descrivere così il libro e il puntuale lavoro che c’è dietro.

Lo spazio, innanzitutto: quello del Buon Pastore che fu, nel corso dei secoli, ospizio, monastero, carcere, penitenziario e reclusorio per donne, riformatorio. La storia del Buon Pastore si intreccia con quella di altri luoghi emblematici della città: i “conservatori” cinque-seicenteschi; l’ex struttura manicomiale di Santa Maria della Pietà e altri reclusori laici cittadini per la mendicità; l’ex Ghetto; il Governo Vecchio, prima sede storica del movimento femminista a Roma.
Grazie al femminismo, il Buon Pastore si è trasformato “da luogo emblematico di subalternità a luogo di libertà e autodeterminazione.” Proprio la storia del luogo Buon Pastore mostra una verità di fondo: “C’è una distinzione tra i luoghi per le donne, dove da sempre ci hanno relegate, “squalificati” proprio perché femminili, ed i luoghi delle donne, da loro scelti e progettati, che costruiscono futuro. È la distinzione tra un recinto e uno spazio aperto in cui si intrecciano gli infiniti fili delle necessità, delle capacità, dei desideri, della trasmissione dei saperi.”

Quanto al tempo, è tematizzato già nel titolo: “La città della dea Perenna”. Spiega Maria Paola Fiorensoli, nella prefazione: “La dea Anna Perenna era anch’essa – tra le divinità romane (n.d.r.) – tra le più misconosciute; eppure nominava il tempo e ne garantiva il rinnovamento, nelle generazioni. Lo perennava sia come fluire benefico dei giorni, delle stagioni, delle maree, dei cicli astrali, sia come origine della misteriosa capacità germinativa racchiusa nel seme sottoterra, nelle greggi e negli armenti, nel grembo delle donne e – per uno Stato e una religione – nelle leggi e nei riti e miti che la popolazione praticava e nei quali si riconosceva. Era un’indigeta, una “dea di prima”, introdotta nel pantheon di Numa Pompilio con altre divinità sabine, latine, osche, prische cui Roma riconosceva il merito di aver patrocinato la nascita della sua organizzazione umana e celeste.

Il libro di Maria Paola Fiorensoli è molto corposo. Ogni capitolo è dedicato a un secolo: il Seicento, il Settecento, l’Ottocento, il Novecento. Il capitolo sul Novecento è suddiviso in più parti: 1900-1965, 1965 – 1987, 1987 – 1998; l’Appendice copre gli ultimi 20 anni. Il percorso di lettura proposto è particolare: ogni capitolo è diviso in tre parti, la prima parte è sempre incentrata su Roma; la seconda riguarda le comunità femminili rinchiuse nell’ex Buon Pastore (del quale viene recuperata la vita amministrativa e i passaggi di gestione); la terza parte propone testimonianze, documenti e approfondimenti. Particolarmente ricco e costante è il riferimento alle leggi, alla loro storia e alle battaglie che le hanno generate o cambiate, ad esempio, le leggi sulla prostituzione e la legge Merlin, la lunga conquista otto-novecentesca del voto, il ruolo e l’apporto delle Madri costituenti alla scrittura della Costituzione. L’ultimo capitolo, il sesto, è diverso e dedicato all’iter costitutivo della Casa internazionale delle donne: non è la storia dei singoli gruppi femministi, dice l’autrice, è il tentativo di raccontare la semina che la loro presenza, dentro e fuori l’edificio, ha realizzato per conto e verso la “cittadinanza femminile” di cui la Casa è simbolo.

La struttura de “La città della dea Perenna”, con il costante rimando tra le due categorie di spazio e tempo e tra spazi e storia, la ricchezza di documenti pubblicati e l’ampia bibliografia fanno del libro stesso uno spazio aperto, da esplorare secondo i propri interessi, competenze, urgenze.
Personalmente, due aspetti mi hanno molto coinvolta nella lettura. Innanzitutto lo sguardo globale sulla popolazione femminile sotto tre Stati (Stato della Chiesa, Regno d’Italia, Repubblica Italiana) con il riferimento alle tradizioni, agli usi e costumi, all’alimentazione, al vestiario, e al contesto civile di questi vissuti: le leggi, l’istruzione e il lavoro, il protagonismo culturale e politico nel quotidiano e nella storia d’Italia. E’ un approccio che Maria Paola Fiorensoli mantiene anche in altre sue pubblicazioni, ad esempio, nel “Le Signore della Loira”, storia delle donne in Francia dal V al XIX secolo (G. Zedde, Torino, 2015) e che qui, ne “La città della dea Perenna”, è una costante che emerge con nettezza nei tratti più narrativi della scrittura. Ne è un esempio l’inizio del capitolo dedicato al Settecento: “Roma, il 1° gennaio 1700, si svegliò contando 120 conventi, 50 monasteri con annessi Conservatori e Rifugi, 40 educandati e 32 Ospizi. Tutti per donne.  Altri se ne stavano costruendo ma, quella prima mattina dell’anno, la città impigriva. Più d’altre notti si erano prolungati gli schiamazzi; le prostitute erano uscite di nascosto, rasente i muri dei vicoli tortuosi, fiocamente illuminati da candeline smilze e curve che a stento rischiaravano le guance di Maria e Gesù nei piccoli altari sospesi.  Non si lamentavano. Era loro vietato farsi luce camminando ma sapevano muoversi sveltamente nel buio pesto, avvolte in lunghi scialli neri tirati sui capelli, in obliquo sul viso truccato, a nascondere gioiellini, corpetti dai colori accesi e l’obbligatorio velo giallo. D’altronde, anche i più ricchi erano in balìa di carrozze cieche, affidate agli occhi del servo che correva davanti, torcia in mano, per non fare azzoppare i cavalli.