Cattura

Abbiamo scelto di pubblicare il racconto di Margherita Mayr non solo per la qualità della scrittura ma anche per l’argomento scelto, per come lo ha trattato e non ultimo per l’età della scrittrice:  sedici anni.

La Barriera Umana

 Raccolgo il roseto di abiti che giacciono abbandonati lungo il sentiero. Nonostante la polvere e le lacrime di chi è passato prima di noi, sono rimasti intatti. Mahdi appoggia il viso dai lineamenti ambrati sul giaciglio. “ ‘Ami ”* mi dice mio figlio socchiudendo gli occhi da cerbiatto, “domani saremo più vicini al luogo della salvezza, la Gerpania?” “Si dice Germania, mio piccolo mamul,*1 e ora riposa, domani è un altro giorno.” Poso le mie labbra, aride come la terra su cui siamo distesi, sulla sua morbida fronte e prego Allah perché gli doni almeno qualche ora di pace.

Dopo la consueta battaglia, le angosce hanno la meglio sul sonno. I frammenti di vetro, gli avanzi di cibo ed i vestiti di un popolo dilaniato sono l’ultima speranza che ci è rimasta. E’ da tre settimane che la nostra vita si è trasformata in un caccia al tesoro, anche se il tesoro è ancora sconosciuto. Non avrei mai pensato che durante la nostra fuga dalla guerra in Siria, saremmo rimasti soli, lontani dai nostri cari. Le spoglie del viaggio di chi ci ha preceduto mi infondono inquietudine, ma allo stesso tempo richiamano ricordi di un tempo in cui si danzava la dabka*2 e si suonava l’oud*3. Mi domando se questi vestiti appartengono a qualche mio conoscente. Vedo una djellaba*4 azzurra, mi sembra l’abito prediletto del medico Alyasa, il cui matrimonio con Tahira era stato uno dei più sontuosi di tutta Damasco. Alyasa è stato l’unico a rifiutare di pagare ai trafficanti la somma richiesta per il tragitto dalla Siria all’Ungheria: un milione di Sterline Siriane.

All’improvviso il verso di un animale sconosciuto mi fa sobbalzare. Assomiglia a quello dell’antilope siriana, ma non sono in grado di indentificarlo. Ricordo di essere in Serbia, un paese che prima di adesso avevo solo sentito nominare nelle discussioni degli uomini. L’animale potrebbe aver fiutato l’odore del pollo essiccato, una delle poche provviste rimaste. A quest’ora dovremmo già essere in Germania, nuovamente integrati in una comunità protetta. Invece eccoci qui, ancora a metà strada, senza sapere come ci accoglieranno al confine con l’Ungheria.

Il verso minaccioso della creatura si fa più vicino. “Mahdi svegliati, è ora di riprendere il cammino” gli dico mentre scuoto il suo braccino ormai magrissimo. Con una voce sottile e assonnata mi dice: “Ho fatto un sogno. Eravamo a casa seduti intorno al tavolo. ‘Ab*5 era ancora lì con noi. Non è scomparso come quel giorno in cui è uscito di casa e abbiamo sentito bum bum.” Non riesco a trattenermi e una lacrima scende lungo la guancia. “Ti invidio mio piccolo mamul, perché tu riesci ancora a sognare. Ricordati però che i sogni possono essere pericolosi e provocare tanto dolore. Sii saggio, come lo era ‘ab. Ora prendi il tuo zainetto e stringimi forte la mano. Abbiamo un lungo cammino davanti a noi.”

Il sole cuoce la mia pelle sotto il velo di lino. Nel panico scatenato dall’esodo ho dimenticato di prendere un burqa di ricambio e solo ora, indossando l’indumento color cenere, mi rendo conto di quanto sarebbe stato utile aver portato con me anche quello bianco. Con il passare del tempo, il barlume di speranza, all’inizio del viaggio un fuoco vigoroso, si fa sempre più tenue. Dopo innumerevoli giornate di marcia e fame e sete, siamo arrivati in un’area recintata e circondata da persone con gli occhi di pietra. Sono disposti in una lunga fila che fa da barriera, come se si dovessero difendere da qualche invasione. Cullano le loro armi e appena ci intravedono iniziano a scambiarsi degli sguardi nervosi. Dalla nostra parte della barriera ci sono altre persone nelle nostre stesse condizioni che aggrappate disperatamente al filo spinato implorano i soldati. “ ‘Ami dove siamo? Questi signori in uniforme mi fanno paura. ‘Ami uno di loro si sta avvicinando, ho paura!” Mahdi si aggrappa al burqa e cerca di avvolgercisi dentro. E’ talmente scheletrico che riesce quasi a nascondersi del tutto.

L’uomo imponente dagli occhi inespressivi si avvicina a mio figlio e dopo averlo squadrato da capo a piedi fa un passo verso di me. E’ così vicino che riesco a leggere il disprezzo sul suo viso e sentire il suo alito ripugnante. Con un movimento improvviso afferra il mio braccio e preme così forte da farmi digrignare i denti per non urlare dal dolore. “You cannot cross this border so go back to where you have come from” mi dice sputando ogni parola. Siamo in Ungheria. Mio cugino Amir mi aveva avvisata che al nostro arrivo in questa terra non avrebbero parlato la nostra lingua. Tiro fuori dallo zaino un foglio di carta stropicciato e lo consegno al soldato che mi guarda insospettito. Prima di partire ero passata dal medico Alyasa perché girava voce che lui avesse ricevuto un’educazione vera e propria e che sapesse parlare più di tre lingue. Su questo foglietto, ormai l’unico mezzo alla nostra salvezza, aveva scritto nella lingua straniera: “Siamo venuti in pace e cerchiamo un rifugio dalla guerra.”

Ora il soldato getta il foglio per terra ed esplode in una risata di scherno. La sua presa sul mio braccio si fa più decisa e poi mi lascia, spingendomi indietro con disprezzo. Si gira e ritorna dagli altri soldati che si mettono a ridere al suo stesso modo. Io non mi arrenderò. Prendo Mahdi per mano ed inizio a correre nella direzione del soldato, inciampando sul lungo velo mischiatosi al fango. In lontananza avvisto degli spari ed il bum bum che non avrei mai più voluto risentire. La mia visione si offusca ed inizio a lacrimare a causa di qualche sostanza nell’aria. Mi inginocchio davanti a Mahdi che trema dal terrore, “Ricorda mio piccolo mamul quello che dice il Corano: “La parola di Dio è Pace.”*6

Note *’Ami è il termine arabo per “mamma”*1 I mamul sono dei dolcetti preparati con i datteri e la frutta fresca, tipici della cucina siriana*2 La dabka è una danza folklorista diffuse nei paesi Medio Orientali, in particolare in Siria*3 L’oud è uno strumento a corde della tradizione siriana*4 La djellaba è una tunica tipicamente azzurra, abito tradizionale degli uomini arabi*5 ’Ab è il termine arabo per “papà”*6 Citazione dal Corano, 36a58

Margherita Mayr è nata a Milano il 23 aprile del 2000, frequenta la 3° liceo dell’istituto  International School of Milan, una scuola internazionale nella quale si parla in inglese, ma dove ci sono  anche dei corsi di storia e letteratura italiana. È proprio all’interno del corso di italiano che l’insegnante le ha segnalato il Premio Galdus, un premio nato dieci anni fa da un’iniziativa del Centro Professionale Galdus. Il Premio, aperto  agli studenti italiani, ha visto quattromila partecipanti. Quest’anno la giuria era presieduta dal poeta Franco Loi. Margherita Mayr ha vinto il primo premio della categoria prosa per le scuole secondarie di secondo grado.

Margherita mayer  da quattro anni partecipa a MUN, una simulazione di una seduta ONU per studenti di liceo provenienti da tutto il mondo. Si interessa,  inoltre, del ruolo di “advocacy” svolto da ONG internazionali quali Oxfam, nei luoghi di conflitto, con particolare attenzione alle problematiche di genere. Tra i
In ambito letterario, amo sia i classici che i racconti di denuncia. Un recente lavoro scolastico svolto sul libro di Dacia Maraini Buio, è stato per me tra i più interessanti.
Candidata: Margherita Mayr – Istituto scolastico:  – Classe di appartenenza: 11A (3˚ liceo) – Docente di riferimento: Mimma Congedo  – Categoria Prosa