Il mondo del fumetto è uno degli ambiti in cui più sistematicamente c’è stata una rappresentazione manichea della donna: secondo come la controparte maschile – quella che più spesso, finora, ha tenuto la matita in mano – vorrebbe che fosse, come ella dovrebbe essere.Sotto questo punto di vista, i comics americani, i manga giapponesi o gli stessi fumetti nostrani, diversissimi per altri versi, non presentano sostanziali divergenze di fondo.

Le donne presenti nelle tavole inchiostrate sono ancora e (quasi) sempre la costola d’Adamo, la sexy Eva Kant (lei fin dal nome!) di {“Diabolik”}, la procace Fujiko di {“Lupin III”} o le supereroine della {“Marvel”} (queste ultime, forse un filino meno uomo-dipendenti: ma anche loro vanno disegnate in un certo modo, o il lettore maschio non ci sta).
_ Proprio il Giappone, Paese storicamente diviso tra modernità e tradizioni arcaiche spesso maschiliste, ha saputo però imporre una vera e propria industria, che gode oggi di ottima salute, fondata sulla produzione di manga (fumetti) e successivi anime (serie d’animazione, quasi sempre tratte dalla storia cartacea). E la prima macro distinzione entro cui tali opere vengono suddivise non è quello di genere (avventura, fantasy, amoroso ecc… ), quanto il pubblico di riferimento: {shoujo} sono i manga rivolti prevalentemente ad un pubblico femminile, {shounen} quelli pensati per i maschi.

Questo dato ha fatto sì che tutta una schiera di autrici di una certa levatura emergesse, per imporre, in anni recenti in misura sempre maggiore, una tipologia di fumetto in cui le assolute protagoniste dei plot fossero personaggi femminili.
_ Dapprima, anche qui, ci si è dovuti “accontentare” di vicende incentrate sui primi amori d’ambientazione scolastica, di delicate vicende adolescenziali, per cui, vuoi o non vuoi, le storie alla fine si assomigliavano un po’ tutte. Ma proprio il formarsi e il successivo consolidarsi di un pubblico di fruitrici donne, ha permesso una successiva maggiore diversificazione dei temi e degli argomenti trattati. Tanto che, di recente, si sono imposti come veri e propri fenomeni mediatici mondiali, manga con protagoniste donne che trattano temi molto variegati e decisamente adulti. E talmente universali da vantare fan in ogni parte del globo.

Le mangaka giapponesi sono donne un po’ fuori dagli schemi, in Patria: un privilegio raro di cui sono ben consapevoli, tanto che molto spesso amano sottoporre all’attenzione delle loro lettrici argomenti spinosi come la condizione della donna nella loro società così apparentemente evoluta.
_ Un delizioso lavoro degli anni ’80, firmato da Rumiko Takahashi (una delle autrici più famose in assoluto: suoi sono {“Lamù”, “Ranma ½”} e {“Inuyasha”}, ad esempio) è incentrato su un meraviglioso personaggio di donna. Nel nostro Paese il titolo originale {“Maison Ikkoku”} (cioè “Casa Ikkoku”) è stato tradotto in maniera fuorviante e banalizzante con {“Cara Dolce Kyoko”}, probabilmente “a scatola chiusa”.

Kyoko non è una dolce ragazzina, ma una donna caparbia, perfino dura, rimasta da poco vedova, che decide, nonostante i molti pareri contrari, di continuare a lavorare nella pensione del marito. Tutti attorno a lei non fanno che ricordarle quanto non stia bene che una donna lavori, superata una certa età (a molte ragazze è consentito assolvere mansioni di segreteria: ma nel momento in cui si sposa, alla donna spetta il compito di gestire la casa. Non sempre, ma in moltissimi casi avviene così).
_ Le cose si fanno molto dure per Kyoko nel momento in cui si innamora, ricambiata, di uno studente a pensione da lei: il ragazzo, però, è più giovane della donna, che ha già un matrimonio alle spalle, e questo aumenta il coro delle “voci contro”. La combattiva Kyoko, però, riuscirà infine ad imporre la sua volontà contro le notevoli avversità (e sono davvero molte).

_ Ora è il turno di un’altra autrice, Ai Yazawa: in Italia, come nel resto del mondo, è scoppiata la Nana-mania. {“Nana”} è il titolo del suo manga di maggior successo (il cui cartone va in onda attualmente su MTV) e in cui sono i molti personaggi maschili a fare da comparsa, ruolo generalmente destinato alle donne.
_ Le protagoniste sono due ragazze molto diverse fra loro, ma accomunate dallo stesso nome (Nana, appunto) e da una grande amicizia. L’una è più tradizionalista e sogna il grande amore e di metter su famiglia: sembra voler diventare una perfetta “geisha”, la donna giapponese il cui unico scopo è quello di dar piacere all’uomo. L’altra Nana emerge allora in tutta la sua straordinarietà: ha un’ambizione meno consueta per una donna e specialmente in Giappone: è la cantante di un gruppo punk ed è un personaggio femminile di una complessità e un fascino tali che, nel panorama fumettistico, forse la sola “Lady Oscar” (opera non a caso di un’altra donna: Riyoko Ikeda, che fu un’autentica apripista per le colleghe del settore) vanta l’uguale.

Per molte ragazze di oggi, e poco importa che siano giapponesi o di qualunque altro Paese, leggendo delle difficoltà della vita che ad un ragazza sola come lei, capita di dover combattere, viene facile immedesimarsi. Ed è questo il motivo di un successo eccezionale che ingigantisce ogni giorno di più e incuriosisce anche il pubblico maschile.
_ Merito anche della musica, grande protagonista della storia, probabilmente l’arte in grado di trascendere con maggior efficacia ogni tipo di barriera alla reciproca incomprensione.