Jessie White amava la parola “emancipazione”, anche se la coniugava più spesso alla condizione dell’Italia che delle donne: {The Emancipation of Italy} fu infatti il titolo di una serie di conferenze che tenne in Inghilterra (e poi in Scozia e negli Stati Uniti) dal 1857 per stimolare l’opinione pubblica britannica e raccogliere fondi per la causa italiana. Aveva allora 25 anni.
_ Era nata a Porsmouth nel ’32 da una benestante famiglia di costruttori di imbarcazioni, aveva studiato filosofia per qualche tempo a Birmingham e alla Sorbona, avvicinandosi ai circoli liberali.
_ La svolta nella sua vita era avvenuta nel ’56, quando a Londra aveva conosciuto personalmente Giuseppe Mazzini in una delle tante iniziative organizzate dalla Società degli Amici dell’Italia.

Nel ’57 era così venuta in Italia, a Genova, come corrispondente del “Daily News” ma soprattutto per collaborare alla rete cospirativa e ai moti che porteranno alla spedizione di Pisacane.
_ Qui conosce Alberto Mario, che diventerà suo marito dopo un periodo di reclusione per entrambi nelle carceri sabaude.
_ Tra i due le differenze erano profonde, benchè li unisse la passione per la libertà italiana e per la democrazia: Jessie era mazziniana e unitaria, mentre Alberto si ritrovava più vicino al federalismo di Cattaneo, portato agli studi letterari ed eruditi quanto lei era, invece, incline a quelli sociali.

Insieme accorsero come camicie rosse alla spedizione dei Mille, e da quel momento Jessie seguì ogni campagna di Garibaldi fino al ’70 in Francia, mobilitandosi come infermiera, organizzatrice dei servizi sanitari e da ultimo anche come corrispondente di guerra.

In breve possiamo dire che la White Mario era mazziniana nella fede e garibaldina nell’azione, e che nella sua stessa attività cercava di coniugare l’organicità, la coerenza della prospettiva politico-ideale di Mazzini con l’azionismo di tipo garibaldino, impegnato a indagare e migliorare le condizioni di vita del popolo italiano per completare quella rivoluzione che l’unificazione non aveva dato.

Così dopo il ’60 Jessie trovò la chiave per riorientare la sua azione nella “nuova Italia” in un lavoro continuo fatto di indagine e denuncia dei tanti mali della società italiana: collaborando all’Inchiesta nazionale sull’agricoltura e sui lavoratori della terra, conducendo studi sulla miseria a Napoli, sulle condizioni dell’Italia meridionale, e ancora sull’infanticidio, i brefotrofi, la pellagra, la prostituzione.

Fu proprio questo il terreno su cui Jessie si avvicinò al nascente movimento emancipazionista italiano, in cui non a caso le mazziniane e le democratiche costituivano l’avanguardia.
_ Per tutti gli anni ’70 il movimento emancipazionista fu protagonista, assieme ai circoli e ai gruppi di area democratico- repubblicana, di una vivace campagna per l’abolizione della prostituzione di stato, per il superamento della doppia morale e per la costruzione di nuovi costumi nelle relazioni tra i sessi.

In questa battaglia Jessie unì la sua attività di giornalista e organizzatrice all’iniziativa del movimento delle donne e anzi dal Veneto, dove era venuta a risiedere dopo la terza guerra d’Indipendenza date le origini rodigine di Alberto Mario, fu una delle pochissime donne che aderirono alle iniziative della Federazione
Abolizionista internazionale promossa da Josephine Butler.

Scrivendo nel ‘69 una delle sue corrispondenze per il giornale americano “The Nation” così dipingeva la condizione sociale delle italiane, sottolineandone indirettamente i vuoti nella formazione della coscienza e dell’intelletto: “si può dire delle italiane che le loro qualità nel complesso sono di natura negativa. Delle donne italiane è più facile dire quello che non sono piuttosto che quello che sono. Di sicuro non hanno forte personalità né una grande sincerità. Non hanno né convinzioni forti né sentimenti forti né una volontà forte; e perciò sono deboli sia nei propositi che nei fatti. Le loro passioni possono essere più o meno forti, ma sono certamente brevi; ed è davvero breve l’idillio della loro gioventù”.

Oltre ad essere –come diceva Carducci- l’unico {scrittore} sociale che avesse la Democrazia in Italia, Jessie si dedicò ad una paziente, lucida attività di raccolta di scritti, documenti e memorie della stagione rivoluzionaria del Risorgimento, pubblicando alcuni studi di ricostruzione storico-biografica (su Mazzini, Garibaldi, Bertani, Nicotera) che ancora oggi costituiscono delle fonti preziose sugli ideali e la prassi politica di quegli anni.

Uno di questi volumi, quello {In memoria di Giovanni Nicotera} del 1894, si apre con una lettera dedicatoria Ai figli e alle figlie di Elena e di Achille Sacchi, una lettera che la dice lunga sullo spirito di devozione con cui sosteneva questo suo lavoro: “A voi, carissimi, dedico questa memoria di Giovanni Nicotera, a voi che avete la religione delle memorie, usi da fanciulli a sentir narrare le gesta del glorioso risorgimento italiano dai genitori, non ultimi tra coloro che videro e fecero”.

Jessie era stata, infatti, una sorta di seconda madre dei figli di Elena Casati (che chiamava «sorella»), la mazziniana di cui abbiamo già tratteggiato il profilo e che fu –val la pena di ricordare ancora- la madre di Ada e Beatrice Sacchi, le “sorelle del suffragismo italiano”.

– In rete è disponibile la sua opera “[la miseria di Napoli->http://www.liberliber.it/biblioteca/w/white_mario/la_miseria_in_napoli/pdf/la_mis_p.pdf]”

– Per saperne di più Certini Rossella,{{ {Jessie White Mario una giornalista educatrice. Tra liberalismo inglese e democrazia italiana}}}
_ Le Lettere 1998, € 12,26