Il vecchio, astuto Rafsanjani sa bene che il sistema deve
rimanere intoccabile per continuare a sopravvivere. E proprio per
questo che come primo obiettivo persegue l’affrancamento della “Guida
Spirituale”, di quel Velaj-e-faghih da cui tutto dipende, anche a costo
di sostituirlo.La mia amica iraniana al telefono piange accorata. La rabbia le stringe la
gola e a malapena riesco a capire quello che dice. “Proprio lui, che ha
le mani sporche di sangue più di chiunque altro. Lui, che da presidente
ha massacrato centinaia di oppositori nelle carceri. Lui, che ha voluto
l’assassinio di Naghdi[[* *Rappresentante in Italia del Consiglio nazionale della
resistenza iraniana, ucciso in un agguato a Roma nel marzo del 1993.
_ All’epoca, Rafsanjani era presidente della repubblica islamica dell’Iran]]. Lui si appropria dei nostri morti”.

Venerdì 17 luglio l’hojatoleslam Rafsanjani ha tenuto il
sermone della preghiera del venerdì a Teheran.
_ E il suo intento è stato
innanzitutto quello di ricompattare le fila del regime. “L’Iran è un
paese in crisi. … Non penso che nessuna fazione voglia che si finisca
così. Abbiamo perso tutti e abbiamo bisogno di più unità di sempre”.
_ Nello scontro di potere che si consuma all’interno del clero sciita,
che proprio con Khomeini scelse il primato della politica sulla
religione, l’uomo che più di tutti incarna lo spirito del sistema
creato dal fondatore dello stato sciita, ha lanciato il suo grido di
allarme: la Repubblica Islamica è in pericolo, la sua ragione e la sua
stessa sopravvivenza lo sono.

Dopo anni di colpi bassi, di rese dei conti svoltesi sempre
nei preclusi ambiti delle istituzioni religiose, ora si combatte allo
scoperto.
_ Ci sarebbe da ridere se non fosse per le migliaia di morti
ammazzati nei lunghi e oscuri 30 anni di questa tirannia religiosa, per
le centinaia di migliaia di prigionieri politici che sono passati nelle
spietate carceri iraniane, uniche rimaste a scandire la continuità tra
la monarchia dei Pahlevi e il Khomeinismo.
_ Ci sarebbe da ridere,
dicevo, a sentire di come alcuni degli artefici della Repubblica
Islamica, in qualche modo stanno tentando di prenderne le distanze.

Ma il vecchio, astuto {{Rafsanjani}} sa bene che il sistema deve
rimanere intoccabile per continuare a sopravvivere. E proprio per
questo che come primo obiettivo persegue l’affrancamento della “Guida
Spirituale”, di quel Velaj-e-faghih da cui tutto dipende, anche a costo
di sostituirlo: già perché Khamenei ha trovato la propria legittimità
religiosa appoggiandosi al laico Ahmadinejad, primato dell’ala militare
più oltranzista.

La scommessa sta proprio in questo: {{cambiare per non
cambiare niente}}. Ha forse detto Rafsanjani che la Costituzione iraniana
va’ corretta, proprio in quello che è il suo punto nodale? Se ne è
guardato bene.
_ Non dimentichiamo mai che il clero sciita ha attualmente
un potere economico-finanziario enorme, che con il crollo dell’attuale
sistema perderebbe.
_ D’altronde, le sorti delle più significative fasi
della storia dell’Iran, come la rivoluzione costituzionale del 1906, o
la caduta della monarchia qajara nel 1921, passando per il colpo di
stato contro Mossadeq fino alla rivoluzione bianca dello scià Pahlavi
nel 1963, sono state segnate dalla posizione assunta dalla mullahcrazia
sciita toccata nei propri interessi.

Cambiare per non cambiare niente. Questa frase racchiude il
timore dei miei amici iraniani della diaspora, che alternano
frustrazione a speranza per ciò che sta avvenendo nel loro paese.
_ Le
morti di tanti giovani e l’incarcerazione di centinaia di altri vengono
cavalcati dall’una o dall’altra fazione con una sfacciataggine che non
può, non deve lasciare indifferenti.

Anche se il mondo sembra scoprire
solo ora le torture, le esecuzioni sommarie all’interno delle carceri.
Si inorridisce di fronte alle dichiarazioni rilasciate dal basij al
“Jerusalem Post”, di aver sposato {{ragazze vergini stuprate prima
dell’esecuzioni per far sì che non abbiano diritto all’ingresso in
paradiso}}; o al prezzo che i {{genitori devono pagare per le pallottole
che hanno tolto la vita ai propri figli}}.
_ Ma sono anni che tutto ciò
accade in Iran, pratiche disumane, oltre ogni immaginazione più malata,
iniziate all’epoca del padre della Repubblica Islamica.
_ Già, da quel
Khomeini celebrato da Rafsanjani nel suo sermone con “Sappiamo ciò che
Khomeini voleva. Non voleva il terrore delle armi, anche nei momenti di
lotta”. Pratiche continuate nel silenzio della comunità internazionale,
rotto solo dalle denunce della resistenza iraniana all’estero o da
quelle di associazioni come Amnesty International.

Rafsanjani ha chiesto di liberare gli imprigionati di
“rimandarli alle proprie famiglie”. Ha chiesto il lutto per gli uccisi
nelle manifestazioni…
_ Non vi fate ingannare, {{dare una paternità a chi
cade fa parte di quella realtà mistica sciita}} in cui il valore epico
del martirio ha un peso non indifferente nell’immaginario collettivo.

Anche se a dirlo è l’uomo conosciuto in Iran come “lo
squalo”. Tante sono le famiglie iraniane che a causa sua ancora
piangono la morte dei propri cari.
_ Non lo dimentichino i nostri
giornalisti quando di lui esaltano il ruolo di riformatore,
dell’artefice del cambiamento. Ma, appunto, cambiare per non cambiare
niente.

– {{Foto:}} {tratta da www.terraligure.it}