Da Donneinnero mailing list riprendiamo, nella traduzione di Maria Chiara Tropea, l’articolo “Io sostengo un ebraismo non associato alla violenza di Stato” (27 agosto 2012) con cui Judith Butler risponde a ad un attacco del Jerusalem Post * Il Jerusalem Post ha recentemente pubblicato un articolo in cui informa che alcune organizzazioni si erano opposte a che io ricevessi il Premio Adorno, un premio che viene attribuito ogni tre anni a qualcuno che lavori nella tradizione della teoria critica ampiamente analizzata. Le accuse portate contro di me sono che io sostengo Hamas ed Hezbollah (il che non è vero) e che sostengo il BDS (vero parzialmente), e che sono antisemita (cosa manifestamente falsa). Forse non dovrei essere tanto sorpresa, che coloro che si oppongono a che io riceva il premio Adorno facciano ricorso ad accuse così ignobili ed infondate per esporre il loro punto di vista. Io sono una universitaria che è arrivata alla filosofia attraverso il pensiero ebraico, e considero me stessa una persona che difende e continua a difendere una tradizione etica ebraica di cui fanno parte personalità come Martin Buber e Hannah Arendt. Ho ricevuto un’educazione ebraica a Cleveland, Ohio, nel tempio, sotto l’insegnamento del rabbino Daniel Silver, dove ho sviluppato solide visioni etiche a partire dal pensiero filosofico ebraico. Ho appreso, e sono giunta ad accettarlo, che siamo chiamati da altri e da noi stessi a rispondere alle sofferenze e a far appello ad alleviarle. Ma per farlo, si deve sentire il richiamo, trovare i mezzi per rispondere e talvolta subire le conseguenze che derivano dall’esprimersi apertamente come facciamo. Mi è stato insegnato in ogni tappa della mia educazione ebraica che non è accettabile restare in silenzio di fronte all’ingiustizia. Questo comando è difficile, perché non ci dice esattamente quando e come parlare, o come parlare senza commettere un’altra ingiustizia, o come parlare in modo da essere compresi e giudicati correttamente. I miei detrattori non comprendono la mia reale posizione, e ciò non dovrebbe forse sorprendermi, perché la loro tattica consiste nel distruggere le condizioni dell’ascolto.

Ho studiato filosofia all’Università di Yale e ho continuato ad occuparmi delle questioni di etica ebraica nel corso di tutta la mia formazione. Sono ancora riconoscente per queste risorse etiche, per la formazione che ho ricevuto e che tuttora mi anima. E’ falso, assurdo e doloroso per chiunque pretendere che coloro che formulano una critica allo Stato di Israele sono antisemiti o, se sono ebrei, che odiano se stessi. Tali accuse tendono a demonizzare la persona che espone un punto di vista critico e a squalificarla in anticipo. E’ una tattica per ridurre al silenzio: questa persona è al di sotto di tutto e tutto ciò che ella dice deve essere respinto a priori o snaturato in modo tale da negare l’utilità stessa della parola. L’accusa rifiuta di prendere in considerazione l’opinione, discuterne la validità, considerarne il grado di evidenza, e dedurne una conclusione corretta secondo ragione. L’accusa è non solo un attacco contro persone che hanno opinioni che alcuni trovano contestabili, ma è un attacco contro uno scambio ragionevole, contro l’effettiva possibilità di ascoltare e parlare in un contesto in cui si possa realmente prendere in considerazione ciò che l’altro ha da dire. Quando un gruppo di Ebrei qualifica di “antisemitismo” un altro gruppo di Ebrei, tenta di monopolizzare il diritto di parlare in nome degli Ebrei. Così l’accusa di antisemitismo è in realtà la copertura di un conflitto fra Ebrei.

Mi sono allarmata per il numero di Ebrei negli Stati Uniti che, sconvolti dalla politica israeliana, con l’occupazione, le pratiche di detenzione indefinita, il bombardamento di popolazione civile a Gaza, cercano di sconfessare la loro ebraicità. Essi fanno l’errore di credere che lo Stato di Israele rappresenti l’ebraicità nel nostro tempo, e che se uno si identifica come Ebreo, sostiene lo Stato di Israele e le sue azioni. E tuttavia, ci sono sempre state tradizioni ebraiche che si oppongono alla violenza di Stato, che affermano la convivenza multiculturale e difendono i principi di uguaglianza, e questa tradizione etica vitale è dimenticata o messa da parte quando qualcuno di noi accetta Israele come base dell’identificazione o dei valori ebraici. Quindi, da una parte gli Ebrei che criticano Israele pensano forse di non poter più essere Ebrei di un Israele che rappresenta l’ebraicità; e d’altra parte quelli che cercano di vincere chiunque critiche Israele identificano anch’essi Israele con l’ebraicità, traendo la conclusione che colui che critica deve essere antisemita o, se è ebreo, uno che odia se stesso. I miei sforzi universitari e pubblici sono stati rivolti ad uscire da questo accecamento. A mio avviso, esistono forti tradizioni ebraiche, anche prima delle tradizioni sioniste, che danno valore alla convivenza e che offrono mezzi per opporsi alle violenze di qualsiasi tipo, compresa la violenza di Stato. E’ della massima importanza che si riconosca valore a queste tradizioni e che le si viva nel nostro tempo – esse rappresentano i valori della diaspora, le lotte per la giustizia sociale e il valore ebraico di importanza primordiale di “riparare il mondo” (Tikkun).

E’ evidente per me che le passioni che si esprimono con tale forza su queste questioni sono quelle che rendono molto difficile parlare e ascoltare. Alcune parole sono tolte dal loro contesto, il loro significato viene deformato, e si arriva così a qualificare e di fatto a stigmatizzare una persona. Questo capita a molti quando presentano una visione critica di Israele – sono stigmatizzati come antisemiti o anche come collaborazionisti nazisti; queste forme di accusa hanno lo scopo di stabilire le più durevoli e velenose forme di stigmatizzazione e demonizzazione. Prendono di mira la persona estraendone singole parole dal contesto, ribaltandone il significato ed attribuendole alla persona: in effetti, riducono al nulla le opinioni di quella persona, senza tener conto del contenuto delle sue opinioni. Per quelli di noi che sono discendenti di Ebrei europei distrutti dal genocidio nazista (la famiglia di mia nonna è stata distrutta in un piccolo villaggio a sud di Budapest) si tratta dell’insulto e della ferita più dolorosa essere qualificati come complici dell’odio contro gli Ebrei o come quelli che odiano se stessi. Ed è tanto più difficile sopportare il dolore di tali accuse quando si cerca di affermare quel che c’è di più valido nel giudaismo per riflettere sull’etica contemporanea, compresa la relazione etica nei confronti di coloro che sono stati espropriati della terra e dei diritti all’autodeterminazione, nei confronti di coloro che cercano di conservare viva memoria della loro oppressione, nei confronti di coloro che cercano di vivere una vita che sia, e deve essere, una vita che varrà la pena di essere rimpianta. Io pretendo che questi valori derivino tutti da sorgenti ebraiche importanti, il che non significa che derivino solo da queste sorgenti. Ma per me, vista la storia da cui provengo, è della massima importanza, come Ebrea, esprimermi contro l’ingiustizia e lottare contro ogni forma di razzismo. Ciò non fa di me un’Ebrea che odia se stessa. Ciò fa di me una persona che si augura di affermare un ebraismo che non si identifica con la violenza di Stato e che si identifica davanti a tutto il mondo con una lotta, con la lotta per la giustizia sociale.

Le mie osservazioni su Hamas ed Hezbollah sono state estratte dal loro contesto ed hanno malignamente falsato le mie opinioni chiare e costanti. Io sono sempre stata a favore di un’azione politica non-violenta e questo principio ha sempre caratterizzato la mia visione. Un membro di un’udienza accademica mi aveva domandato, alcuni anni fa, se pensavo che Hamas ed Hezbollah appartenessero alla “sinistra globale” ed io avevo replicato in due punti. Il primo era semplicemente descrittivo: quelle due organizzazioni si definiscono anti-imperialiste, e l’anti-imperialismo è una caratteristica della sinistra globale, per cui su questa base li si poteva descrivere come facenti parte della sinistra globale. Il mio secondo punto era stato critico: come per ogni gruppo della sinistra, si doveva decidere se essere a favore o contro questo gruppo, e bisognava valutare la loro posizione in modo critico. Io non accetto o non aderisco a tutti i gruppi della sinistra globale. In effetti, quelle osservazioni erano venute dopo un’esposizione che avevo fatto quella sera, mettendo l’accento sull’importanza del lutto pubblico e delle pratiche politiche di non-violenza, un principio che ho spiegato e difendo in tre miei recenti libri: Precarious Life, Frames of War, e Parting Ways (Vita precaria, Quadri di guerra e Voci divergenti). Sono stata intervistata sulle mie opinioni sulla non-violenza da Guernica e da altri giornali on-line, e queste opinioni sono facili da trovare, se qualcuno vuol conoscere la mia posizione su tali questioni. Difatti, dei membri della sinistra che sostengono forme di resistenza violenta talvolta si beffano di me pensando che io non comprendo tali pratiche. E’ vero: Io non aderisco a quelle pratiche di resistenza violenta e tanto meno aderisco alla violenza di Stato, io non posso, e non ho mai potuto, aderirvi. Questo modo di vedere mi rende forse più ingenua che pericolosa, ma è il mio. Così, mi è sempre sembrato assurdo che i miei commenti fossero considerati come un sostegno ad Hanas o ad Hezbollah! Io non ho mai preso posizione su queste organizzazioni, proprio come non ho mai sostenuto senza dubbi qualsiasi organizzazione che faccia parte della sinistra globale – io non sono una tifosa incondizionata di tutti i gruppi che attualmente compongono la sinistra globale. Dire che queste organizzazioni appartengono alla sinistra non significa dire che esse dovrebbero appartenervi o che io vi aderisca o le sostenga in qualsiasi maniera.

Due altri punti. Io sostengo il Movimento Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni in modo molto specifico. Ne respingo alcune versioni e ne accetto altre. Per me il BDS significa che sono contro gli investimenti di compagnie che producono equipaggiamenti militari con il solo scopo di demolire delle abitazioni. Significa anche che io non parlo in istituzioni israeliane, a meno che queste non prendano una posizione forte contro l’occupazione. Io non accetto qualsiasi versione di BDS che discrimini gli individui sulla base della loro nazionalità e conservo una forte relazione di collaborazione con molti intellettuali israeliani. Una delle ragioni per cui aderisco al BDS e non aderisco ad Hamas e ad Hezbollah è che il BDS è il più grande movimento politico civile non-violento che cerca di stabilire la legalità e i diritti all’autodeterminazione dei Palestinesi. La mia personale opinione è che le persone di quel paese, Ebrei e Palestinesi, devono trovare un modo di vivere insieme in condizioni di eguaglianza. Come molti altri, io aspiro ad una politica veramente democratica in quei paesi e affermo i principi di autodeterminazione e di convivenza per entrambi i popoli, in effetti per tutti i popoli. E il mio augurio, come quello di un crescente numero di Ebrei e non-Ebrei, è che l’occupazione finisca, che cessi la violenza, di qualunque tipo, e che i diritti politici essenziali di tutti i popoli di quel paese siano garantiti attraverso una nuova struttura politica.

Due ultime osservazioni. Il gruppo che sponsorizza questo appello è “Universitari per la pace in Medio Oriente”, come minimo un nome inadatto, che pretende sul suo sito Internet che “l’Islam” sia una religione essenzialmente anti-semetic (sic). Non è, come riportato dal Jerusalem Post, un grande gruppo di universitari ebrei in Germania, ma un’organizzazione internazionale con una base in Australia e in California. E’ un’organizzazione di destra e fa quindi parte di una guerra intra-ebraica. Un ex membro del suo Consiglio di Amministrazione, Gerald Teinberg, è conosciuto per i suoi attacchi contro organizzazioni dei diritti umani in Israele, come pure contro Amnesty International e Human Rights Watch. La loro decisione di tener conto anche delle infrazioni israeliane dei diritti umani rende anch’essi evidentemente eleggibili alla qualifica di “antisemiti”.

Infine, io non sono strumento di alcuna “ONG”: sono nel Consiglio consultivo della Voce degli Ebrei per la pace, sono una dei membri della Sinagoga di Kehillah ad Oakland, California e una dei membri esecutivi della Facoltà per la pace israelo-palestinese negli Stati Uniti e del Teatro di Jenin in Palestina. Le mie idee politiche si estendono ad un gran numero di soggetti e non sono limitate al Medio-Oriente e allo Stato di Israele. In effetti, ho scritto sulla violenza e l’ingiustizia in altre parti del mondo, concentrandomi specialmente sulle guerre condotte dagli Stati Uniti. Ho scritto anche sulla violenza contro i transessuali in Turchia, la violenza psichiatrica, la tortura a Guantanamo e la violenza poliziesca contro i manifestanti pacifici negli USA, per fare qualche esempio. Ho anche scritto contro l’anti-semitismo in Germania e contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti.

*L’articolo, non pubblicato dal Jerusalem post, è edito da[ mondoweiss ->http://mondoweiss.net/2012/08/judith-butler-responds-to-attack-i-affirm-a-judaism-that-is-not-associated-with-state-violence.html]