Desidero scrivere di tre argomenti all’apparenza non collegabili tra loro e che non sono neppure tra quelli che fanno subito drizzare le antenne dell’antidiscriminazione: i cimiteri, le porzioni di eredità e la fecondazione assistita. Sono argomenti di cui si è parlato sulla stampa e in tv nelle ultime settimane e la mia mente li ha catturati e segnati a margine – tra la miriade di notizie arrivate dai tg o sulla mia scrivania – e mi sono accorta che per ognuno di essi avrei avuto qualcosa da dire, sia perché, come dirò, hanno rivelato aspetti discriminatori, sia perché mi riguardano individualmente.

Di qualche settimana fa è la notizia {Tombe vicine solo alle coppie sposate «Non vogliamo fare da apripista ai gay»} (la Prealpina, 27/10/2011 …): da sempre si può avere accesso alle tombe di famiglia solo se si è sposati o consanguinei (o figli adottivi), dunque le coppie omoaffettive non hanno diritto di acquistarne una (o prelazionare dei loculi vicini) o di accogliere il compagno o la compagna nella propria. La comunità LGBT ha sollevato giustamente il caso, quindi sono andata a fare qualche verifica nei regolamenti cimiteriali di alcuni Comuni.

Le cose stanno proprio così e si può ospitare la salma di persone non legate formalmente alla famiglia intestataria dei loculi solo per un periodo limitato, che varia fino a un massimo di cinque anni, e dietro pagamento di una tassa. Ho messo particolare attenzione in questa ‘istruttoria di caso’ e solo dopo qualche giorno ho capito il perché: i miei genitori non erano sposati (ne ho scritto, sempre sugli effetti discriminatori nelle unioni di fatto, sulla newsletter n°30 , del marzo 2009), mio padre è mancato qualche anno fa e i resti di mia madre, quando morirà, non potranno essere ospitati accanto a lui, come desiderava, che riposa nella tomba di ‘famiglia’ (quale?). Non sarà certo questo a fermarmi, sia chiaro, ma dovrò fare un’altra battaglia, che forse quel giorno non avrò la forza di combattere, quindi meglio mettersi avanti. Una relazione eterosessuale durata una vita, ma colpita alla pari di quelle omoaffettive: la discriminazione spesso sembra riguardare solo una minoranza, ma a ben vedere si estende con facilità a molte altre persone.

Altra notizia, altra discriminazione istituzionale, questa volta, per fortuna, solo potenziale. Tra gli ultimi atti del Governo appena dimesso c’è stato il tentativo di infilare, tra le pieghe del “decreto sviluppo”, {{una modifica al diritto ereditario}} (art. 537bis del codice civile): maggiore discrezionalità nel decidere sulla ripartizione della “quota di legittima” spettante ai figli. In sostanza la proposta era quella di lasciare al genitore testatario la decisione su come dividere la propria eredità tra i figli: non più in parti uguali, ma con la possibilità di decidere per una porzione. E’ utile precisare che una quota ‘libera’ esiste già: chiunque può disporre di una parte delle proprie sostanze come crede, quindi lasciandole ad un famigliare o a persone o soggetti esterni. Non mi soffermo sulle ragioni che temo abbiamo motivato la proposta del’ex premier, ma mi importa invece evidenziare come {{un atto apparentemente neutro – e pure ammantato di una certa forma di libertà – rischi di diventare discriminatorio nei confronti dei figli magari nati al di fuori del matrimonio}}, come nel mio caso.

Nei giorni in cui il Governo Berlusconi stava per diventare ex, è arrivata via ANSA la notizia: “I portatori di malattie genetiche non potranno fare ricorso alla fecondazione assistita. Le nuove linee guida del Ministero della Salute sulla legge 40, arrivate sul tavolo del Consiglio Superiore di Sanità che deve esprimere il parere obbligatorio, non lo prevedono nonostante le sentenze dei tribunali di Salerno, Bologna e Firenze. L’uso delle tecniche è concesso a chi è infertile ma anche a chi è fertile se portatore di malattie infettive come Hiv, Hbv e Hcv. Non si citano le malattie genetiche nonostante alcune sentenze abbiano riconosciuto questo diritto ad alcune coppie fertili che rischiavano di avere figli con grave malattie genetiche”. La decisione di sottoporsi a fecondazione assistita resta, a mio parere, una scelta strettamente individuale; non posso però evitare di avanzare alcune considerazioni di carattere generale, perché sono una portatrice di una malattia genetica e sono una donna, che dell’impossibilità di procreare ha sofferto. Credo sia importante che a discutere di queste linee guida siano chiamati {{i soggetti interessati: donne e uomini che, pur non essendo sterili, desiderano tentare la via della fecondazione assistita,}} quale tramite per escludere la trasmissione di malattie infettive o genetiche. Perché escludere i portatori e le portatrici di patologie genetiche? Se una donna, nonostante la malattia sua o del compagno, è in grado di portare a termine una gravidanza, perché non può neppure valutare la possibilità di avere figli? Ci sono state sentenze a fronte di casi singoli che sono stati portati davanti ad un giudice, che ha sentenziato in favore di questo diritto. Decisioni ignorate, assieme alle donne e agli uomini che già soffrono la condizione di una malattia invincibile, assieme alle loro compagne e compagni sani.

{{Attenzione, dunque, a ciò che sembra riguardare solo gli altri}}: le persone omoaffettive, quelle disabili, i figli nati fuori dal matrimonio o da unioni finite… Potrebbe non bastare più la buona pratica del ‘mettersi nei panni degli altri’: tra le righe di regolamenti e leggi, talvolta anche vecchi di decenni, si nasconde la discriminazione che arriverà a toccare direttamente, subdola e violenta, chi pensava di esserne al riparo, cogliendo qualcuno senza difese, senza strumenti di contrasto.{{ Noi minoranze stiamo preparando la strada, conviene a tutte e a tutti sostenerci.}}