Serena Ballista e Rosanna Galli due protagoniste dell'UDI di Modena nella ex sede nazionale ora trasferita con l'archivio centrale nell'edificio della Casa Internazionale delle donne a Roma in via della Penitenza 37
Serena Ballista e Rosanna Galli,  due protagoniste dell’UDI di Modena nella ex sede nazionale ora trasferita con l’archivio centrale nell’edificio della Casa Internazionale delle donne a Roma in via della Penitenza 37

Cercherò di essere molto concreta. Come si è visto anche dalla densa giornata di ieri, l’UDI ha di fronte numerose nuove sfide. Credo che il compito di questo Congresso sia quello non solo di saperle interpretare ma anche di dare loro una giusta accoglienza attraverso delle proposte capaci di essere, da un lato, puntuali e, dall’altro lato, concettualmente inserite nella nostra pratica politica. Nel tempo che ho a disposizione, vorrei rilanciare una proposte che ho messo sul tavolo della discussione già in occasione del mio intervento alla Camera dei Deputati il 7 ottobre scorso per le celebrazioni del 70° dell’UDI e che proprio l’occasione delle mostre e delle molte iniziative territoriali legate al nostro Settantesimo mi hanno messo nelle condizioni di elaborare.

Ecco la mia proposta e il ragionamento che la sottende. La libertà femminile dovrebbe poter  essere continuamente interrogata dalle generazioni di donne che si susseguono nel tempo per essere non soltanto difesa ma anche interrogata alla luce del proprio presente. Questa operazione, però, insieme auspicabile e necessaria, appare molto difficile nella sua riuscita a causa del permanente sabotaggio della storia delle donne e della sparizione della genealogia femminista.  Ecco perché penso che l’UDI dovrebbe impegnarsi nella costituzione di un comitato promotore per la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare che impegni il MIUR a:

– sostenere le riedizioni dei classici del letteratura femminile e del femminismo, dove “femminismo” è da intendersi   nella sua accezione più ampia possibile. Non è ammissibile, infatti, che, per esempio, un libro come “Diventare cittadine” di Anna Rossi Doria non sia più rintracciabile nelle librerie nella ricorrenza dei settant’anni dalla conquista del voto in Italia da parte delle donne;

– integrare in modo serio e accurato nei testi scolastici la storia delle donne e i protagonismi femminili delle arti e delle scienze.

L’obiettivo non è solo quello di rimediare di per sé alla secolare cancellazione del prezioso contributo che le donne, individualmente e collettivamente, hanno saputo apportare nel tempo al contesto politico, sociale e culturale nel quale vivevano, pur partendo da una condizione di svantaggio rispetto agli uomini, data la loro generale interdizione alla vita pubblica, ma è soprattutto quello di contribuire ad affermare il principio secondo cui  esisto nel discorso pubblico, quindi sono!. Infatti, se le donne cominciassero a essere presenti nell’immaginario collettivo come soggetti a pieno titolo, titolari di loro stesse, autorevoli, allora esisterebbero anzitutto simbolicamente come cittadine portatrici di diritti fondamentali inderogabili.

Questa nuova campagna, poi, sarebbe in assoluta continuità con la Staffetta di donne contro la violenza sulle donne, Immagini amiche e il nostro più recente impegno sul tema Corpo-Lavoro perché aggredirebbe quegli stessi stereotipi e pregiudizi di genere responsabili del femminicidio, inteso come gamma complessa di forme di annientamento della soggettività femminile che prendono forma proprio dal simbolico – guarda caso – passando per quelle psicologiche, economiche, sociali, sessuali ecc … fino ad arrivare a quelle fisiche culminanti nel femicidio vero e proprio.

Rispetto alla mia proposta, tengo – infine – a fare una puntualizzazione che consente di aggiungere qualcosa di molto importante al mio ragionamento: la storia delle donne e dei protagonismi femminili non dovrebbe essere raccontata come una storia parallela alla storia ufficiale, ma integrata dentro alla storia ufficiale. Per fare questo, serve applicare un approccio di mainstreaming di genere che, a vent’anni da Pechino, non consiste più nel solo misurare in modo asettico le ricadute di genere sulla popolazione femminile delle politiche presuntamente neutre e che, invece, neutre non sono, ma anche in una vera e propria forma mentis nell’intendere la coabitazione di uomini e donne nella quale così come nessuna è gregaria a nessuno, anche la storia di nessuna dovrebbe essere gregaria alla storia di nessuno. Faccio un esempio: c’è un modo più efficace di altri per raccontare nei libri di scuola la conquista del voto da parte delle donne. Affinché tale conquista sia percepita come “valore comune”, come qualcosa che riguarda tutte e tutti e che proprio per questo deve stare nei libri di scuola, occorre presentarla come una battaglia che, se è stata certamente femminile, ha però risposto a una causa collettiva, femminile e maschile insieme perché ha risposto a una causa democratica. Le donne, infatti, rivendicando per loro stesse i diritti politici come diritti universali, hanno contribuito a mettere per in chiaro che un diritto che possa dirsi universale o vale sempre e per tutte le persone, altrimenti non è definibile come tale con una perdita in termini di cittadinanza non solo per chi viene discriminato – le donne in questo caso – ma per tutti, uomini compresi. E’ questa consapevolezza, del resto, che fa da impianto simbolico all’intera Costituzione, redatta – guarda un po’  – anche dalle donne, donne dell’UDI soprattutto.

Quindi, poter accedere alla storia delle donne a partire dalle scuole e poterlo fare con questo approccio , ci permetterebbe nel tempo di sdoganare l’universalità del femminismo, dove il femminismo verrebbe a rappresentare una colonna portante della democrazia stessa, dalla quale non si può prescindere dal momento che, come ricorda la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie in “Dovremmo essere tutti femministi” (2012, p.35), a fronte di una precisa specificità di genere dell’esclusione passata e presente, nonché strutturale, delle donne dalla piena cittadinanza, “è giusto che la soluzione al problema riconosca questo fatto” dotandosi degli strumenti che ha a disposizione. E il femminismo è, certamente, lo strumento per definzione.

Credo che solo così il femminismo potrà avere un ruolo di primo piano rispetto al tema “come uscire da questo pantano?”, fatto di guerra e derive antidemocratiche, e per contrastare l’insignificanza delle parole” per riprendere le questioni poste da Vittoria Tola nella sua relazione di apertura. Penso che sia attorno a questo comune obiettivo che si debba “ritessera la tela” per rispondere all’intervento di ieri di Marisa Rodano. Infatti, a noi non è che manchino le idee. Quello che, invece, manca è l’opportunità di esprimerle in tutto il loro valore. Ecco perché sono convinta del fatto che la madre delle battaglie stia su un livello anzitutto simbolico, di riconoscimento.

Concludo con un esempio: è in discussione alla Camera dei Deputati la meravigliosa proposta di legge “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico” presentata lo scorso 11 marzo 2016 dal deputato Zaccagnini; si dicono le stesse cose che noi diciamo da sempre, dovrei esserne entusiasta, mi chiedo invece: nel caso in cui venisse approvata e diventasse una legge dello Stato, come la Storia racconterà i meriti di questa conquista? L’UDI è compresa in questo “racconto”, in questa narrazione? A chi la Storia darà il riconoscimento politico che gli spetta? E dico che “gli spetta”, consapevole di non stare usando una forma di maschile non marcato. La mia preoccupazione è proprio quella di vedere la storia delle donne estromessa dai fatti per l’ennesima volta e la tela nuovamente distrutta.

Serena Ballista

Roma, 7 maggio 2016