Mentre lo attraversiamo in velocità, il mondo ci disorienta. I leader brancolano nel buio. Fissano delle “linee rosse” che non capiscono. Forse perché non leggono.

Quel che il mondo vuole dirci è spiegato nelle carte geografiche, e nella loro storia. Ma quelle studiate a scuola non bastano. Bisogna penetrare il loro significato nascosto, incrociare il paesaggio terrestre con le storie delle civiltà, dei popoli e degli imperi.

«Ogni crisi – dai profughi alla Corea del Nord, dal terrorismo al cambiamento climatico, dagli autoritarismi ai nuovi protezionismi, dalle “missioni impossibili” di papa Francesco all’inquietante utopia dei social media – ci sfida a capire.

«Una traversata coast-to-coast rivela che la supremazia degli Stati Uniti affonda le radici nella peculiarità del suo territorio. Ma come scrive Lucio Caracciolo su La Repubblica ...Già solo percorrendo in aereo lo spazio americano, Rampini ne evoca le formidabili risorse economiche, energetiche, culturali e soprattutto militari. Non si ferma alle abituali, facili deprecazioni su Trump. Se il problema degli Stati Uniti fosse The Donald, la risposta alla domanda iniziale sarebbe che no, l’Impero americano non è alla fine. Scavando più a fondo, osservando il penoso stato del sistema politico e quindi della legittimazione della democrazia americana, Rampini trova ragione per azzardare che “sì, la fine si sta avvicinando”. Perché “l’Impero americano ha avuto come caratteristica originale proprio quel mix dove le idee valevano quanto la forza. Se tramonta il fascino delle idee, allora sì, il solo dispositivo militare può diventare troppo costoso, anacronistico, insostenibile “…

… il viaggio italiano di Rampini comincia invece su un treno locale, diretto da Genova a Ventimiglia, dove un’affannata ferroviera cerca vanamente di acchiappare un agile immigrato che sogna la Francia.

Ecco un’altra linea rossa, quella che dal Nordafrica si è spinta fino alle Alpi. Trasformando l’Italia, risucchiata dal Mediterraneo. Proprio quello che gli europeisti nostrani volevano evitare. E che sta invece avvenendo perché gli altri europei vorrebbero scaricare su di noi, paese di primo approdo, il peso insostenibile di un fenomeno epocale, strutturale, che continuiamo a dipingere come emergenza: le migrazioni sud/nord.

La Cina costruisce una Nuova Via della Seta, sulla quale inseguo le tracce di un esploratore italiano nel deserto di Gobi.

Trascorso è il tempo del nascondimento della potenza, caro a Deng. Con Xi Jinping, Pechino si lancia sulla scena planetaria offrendo un suo paradigma globale, alternativo a quello americano, anche se non necessariamente orientato alla collisione con il Numero Uno. Le nuove “vie della seta” non sono solo un formidabile progetto commerciale e infrastrutturale, ma una grandiosa scenografia geopolitica che coinvolge anche il nostro paese, pur se stentiamo ad accorgercene.

Le due Americhe sono separate da linee di frattura geografiche e razziali, religiose e sociali. Le stesse che spaccano l’Europa tra globalisti e sovranisti. La geografia storica dei populismi riconduce all’Italia dei tempi di Mussolini. «I confini dell’Europa unita hanno un’impronta germanica fin dal Sacro Romano Impero.

L’espansionismo giapponese aiuta a decifrare la trappola della Corea del Nord. In Russia esploro la continuità tra gli zar e Putin. In India visito l’epicentro di uno scontro di civiltà. Un soggiorno nel Medioevo birmano, in Vietnam e in Laos dimostra che sta vincendo il “duro” benessere senza le libertà.