Si può affermare che se i gender studies non rappresentano più una sfida alla comunità scientifica, il loro insegnamento resta ancora un problema, e ciò purtroppo più nelle scuole e nei licei, che pure sono luoghi di formazione delle identità oltre che di trasmissione del sapereParafrasando un’osservazione di Michelle Perrot nella prefazione al manuale per insegnanti{ La place des femmes dans l’histoire}, uscito in Francia a cura dell’Associazione Mnémosyne, si può affermare che se i gender studies non rappresentano più una sfida alla comunità scientifica, il loro insegnamento resta ancora un problema, e ciò purtroppo più nelle scuole e nei licei, che pure sono luoghi di formazione delle identità oltre che di trasmissione del sapere.

L’osservazione della Perrot sembrerebbe peraltro più corretta per l’Italia che per la Francia: qui infatti dal 2010 le disposizioni del {Programme d’Histoire-géographie} prevedono esplicitamente che l’insegnamento collochi al centro delle problematiche trattate gli uomini e le donne che costituiscono le società e vi agiscono.
Ma anche altre discipline hanno accolto la categoria di genere (come utile strumento interpretativo) per analizzare la costituzione delle identità sessuate e le relazioni tra i sessi: ciò è avvenuto, in particolare, nell’insegnamento di {Sciences de la vie et de la terre}, dove peraltro la distinzione introdotta dai manuali tra sesso, genere e orientamento sessuale ha scatenato un acceso dibattito.

Al contrario nel nostro paese le {Indicazioni Nazionali} per la scuola superiore del 2010 ignorano completamente la ricerca dei gender studies e sostanzialmente cancellano il lavoro avviato nei due decenni precedenti (qualcuna ricorderà in particolare il progetto POLITE, pari opportunità nei libri di testo).
In Italia resta dunque l’iniziativa delle associazioni, degli enti locali, più ancora delle scuole e dei singoli insegnanti: è così che è nato, infatti, anche il progetto che ha portato al convegno senese di sabato 15 marzo dal titolo In “genere” si parte dalla scuola.

Promosso dall’Archivio UDI della provincia di Siena, in collaborazione con il Cesvot, il Comune e varie associazioni femminili cittadine, l’iniziativa si è svolta presso l’Istituto “Enea Silvio Piccolomini” grazie alla passione della preside, Sabrina Pirri, e di un gruppo di insegnanti che ha deciso di investire culturalmente e umanamente in questa direzione.
Il convegno aveva innanzitutto l’obiettivo di raccogliere i frutti di un lungo percorso di riflessione e studio, avviato nell’anno scolastico 2012-13 e strutturato in un corso di formazione pluridisciplinare rivolto ai docenti, quindi in incontri formativi con le classi. I risultati sono diventati tangibili grazie alla preparazione di due video, realizzati da Christel Radica e Silvia Folchi con una classe del liceo delle scienze umane “S. Caterina da Siena”, e grazie al suggestivo laboratorio teatrale {Frammenti di genere}, prodotto da una classe del liceo “Alessandro Volta” di Colle Val d’Elsa.

Intervallati da questi lavori prodotti con entusiasmo dalle classi, alcuni interventi hanno restituito le riflessioni degli insegnanti partecipanti, centrate sull’importanza del linguaggio, dell’orientamento, dell’innovazione didattica per introdurre la prospettiva di genere nella scuola.
Dando poi voce al gruppo di lavoro sulla didattica della Società Italiana delle Storiche, il mio contributo si è incentrato sul dibattito culturale intorno alle categorie di {{genere}} e di {{differenza sessuale}}, mostrando come nei paesi di cultura cattolica esistano delle resistenze specifiche nei confronti di questo campo di studi, tanto più se in ambito formativo: è di questi giorni, non a caso, la protesta di Militia Christi contro il Comune di Roma che ha autorizzato corsi di aggiornamento per insegnanti affidati ad associazioni riconducibili al femminismo.

D’altra parte nel discorso sul matrimonio del 19 gennaio 2013, è stato lo stesso Benedetto XVI ad esprimersi drasticamente contro la categoria di genere, presentata come “una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un “prometeismo tecnologico”.


Mi è parso infine doveroso sottolineare la {{centralità della ricerca didattica}} e la necessità di {{promuovere il riconoscimento della figura dell’insegnante-ricercatrice/tore}} come risorsa della società: oggi che nelle relazioni tra i sessi convivono -semplicemente giustapposti- stereotipi e fissità di fasi storiche precedenti, modelli di comportamento derivanti da ambiti culturali e antropologici anche molto distanti, notevoli opportunità offerte sul piano formativo e nello stesso tempo un riemergere di schemi di comportamento che si ritenevano ormai superati, la scuola svolge davvero un ruolo di sintesi ed elaborazione che nessuna altra istituzione è in grado di compiere allo stesso grado.