La legge contro la discriminazione LGBTQ+ è stata approvata dal Consiglio regionale della Campania, con lo stralcio delle norme che invece si volevano introdurre riguardo alla violenza maschile sulle donne, che avrebbe comportato la dequalificazione di tutte le prescrizioni della Convenzione di Istanbul. Abbiamo ritenuto e da subito segnalato che una commistione tra violenza sessuata sulle donne e violenza omofobica sarebbe stato un vero e proprio vulnus che avrebbe aperto la strada per attaccare le minime ma consolidate acquisizioni, in Italia, a salvaguardia del sesso femminile.

La scrittura di questa legge ci riguarda, però, come cittadine oltre che come vittime della violenza maschile, in particolare ai punti che riguardano l’identità di genere, usata per aprire un varco in termini giudiziari e legali per l’abbattimento legale della differenza sessuale, il che in altri paesi, benemeriti nella lotta alle discriminazioni in base all’orientamento sessuale delle persone, ha suggerito al legislatore di usare la dizione “orientamento” e non identità di genere. Ci auguriamo quindi che la Regione Campania segua il solco della regione Emilia-Romagna andando a specificare che identità di genere vada intesa ” secondo quanto disciplinato dalla legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso)”.

“Genere” non è un’invenzione mirata alla cancellazione del sesso alla nascita, bensì è una dizione che risale alle elaborazioni femministe, per esempio, in difesa da una “medicina cieca” che sperimentava e somministrava, e ancora lo fa, cure calibrate esclusivamente sulla fisiologia maschile. La medicina di genere è la differenziazione che tutela la salute di donne e uomini rispetto a un neutro che spesso ha finito per creare danni irreparabili soprattutto alle donne. Come il “Talidomide” studiato per i soldati in trincea e poi usato per nausee gravidiche. Sono note le malformazioni fetali causate dal farmaco.

Bene ha fatto la Consulta ad avvertire sulla vaghezza delle definizioni “di genere” contenute nella proposta Zan e altri, e pensiamo che tale indicazione di cautela debba essere seguita, perché è possibile e doveroso farlo, anche in Campania.

I vizi di forma e contenuto evidenti nella legge sono secondo noi riconducibili al tentativo di appropriazione delle istanze femminili da parte del soggetto più attivo nel richiedere la legge, soggetto a preponderanza maschile sulla cui democrazia interna ci interroghiamo, constatata anche la netta minoranza, se non assenza, di donne in transizione.

UDI di Napoli, Associazione salute donna, Arcidonna, Associazione donne insieme, Vittoria Tola, Gabriella Ferrari Bravo

Napoli 6/08/2020