Lettera aperta che il Coordinamento Donne Italiane di Francoforte e V. manderà a parlamentari, giornali ed agenzie di stampa. Non abbiamo sino a oggi reagito alle molte sciocchezze che si sono dette − e scritte − in Italia sul voto all’estero e sulla circoscrizione estera. Non ci sembrava corretto reagire a caldo in una materia di principio, che non deve essere commentata solo occasionalmente.

Credevamo che le ragioni, che hanno portato all’istituzione della circoscrizione estera,
sarebbero state col tempo capite e largamente condivise anche da chi non era
correttamente informato. Ci siamo sbagliati, perché oggi apprendiamo che i “saggi” − con l’eccezione di Mario Mauro, di cui apprezziamo la proposta − hanno consigliato di abolire la circoscrizione estera.

Intanto ribadiamo, come è già stato detto, − ma non sembra sia chiaro a tutti – che i
cittadini italiani all’estero non hanno avuto nessun bisogno di una legge per poter votare, dato che questo diritto non poteva loro essere tolto, essendo legato alla cittadinanza.

Le modifiche introdotte dalla legge introducono:
_{{ a. }} la possibilità di votare per corrispondenza
_ {{b.}} la circoscrizione estera, cioè l’elezione di candidati residenti all’estero. In precedenza noi votavamo nel luogo della nostra residenza italiana e per i candidati di questa.

Le polemiche sorte intorno al voto degli italiani nel mondo nascono per l’equivoco indotto a suo tempo dall’istituzione di un apposito Ministero, per cui sembra che discendenti di italiani emigrati da tempi remoti abbiano il diritto di interloquire sulla politica di un paese a cui sono fondamentalmente estranei.

Ora è ben vero che ci sono circa 58 milioni di oriundi italiani sparsi nel mondo, ma che abbiano conservato la cittadinanza italiana e conseguentemente il diritto di voto sono tre milioni e mezzo.

Ad alcuni di loro sarebbe oggi possibile acquistare la cittadinanza del paese in cui
risiedono, senza per questo dover rinunciare a quella italiana e questo è il nostro caso
nella RFT dal 2001. Il fatto che le richieste di naturalizzazione degli italiani in Germania siano state e continuino ad essere pochissime anche dopo questa data significa qualcosa: chi non vive fuori dal suo paese forse ha difficoltà a capire perché chi è emigrato 50 anni fa (l’accordo Adenauer – De Gasperi sull’impiego della manodopera italiana nella RFT risale al 1955) continua a sentirsi italiano e così i suoi figli e magari nipoti. A costoro possiamo dire che una cittadinanza è un’appartenenza di cui ci si accorge proprio stando all’estero e finisce per significare quello che siamo, l’educazione, la storia, la vita vissuta che ci portiamo dietro. È quindi arbitrario dedurre dalla permanenza fuori dal paese che di questo non ce ne importi più nulla. È un errore, oltre che per i motivi che potremmo definire sentimentali, per vari altri.

I dati ci dicono che per esempio in Germania sono passati per lavoro quattro milioni di
italiani e la più parte è ritornata − oggi siamo circa 600.000, la più forte comunità di italiani in una nazione estera. Dunque il progetto dell’emigrazione non è quasi mai pensato come definitivo. Molti connazionali lavorano nel campo dell’importazione di prodotti italiani e non possono di conseguenza disinteressarsi dello stato di un’economia da cui traggono i mezzi di sussistenza. Molti vivono sul crinale tra i due paesi, perché offrono servizi tipicamente italiani – gastronomia, moda, spettacolo − e il loro successo dipende anche da un continuo aggiornamento della loro offerta.
Nell’Europa di oggi ci si aspetta proprio figure professionali con competenze multiculturali. Il primo governo Prodi aveva definito nel suo programma gli italiani all’estero una risorsa economica per l’Italia, non solo per le loro rimesse, ma per l’esportazione e le occasioni di lavoro che offrono.

{{Perché però la circoscrizione estera?}}

Ci ha stupito e offeso che Sergio Romano, ex ambasciatore, abbia criticato
espressamente questa parte della legge.

Abbiamo cercato per anni, anzi per decenni, di spiegare ai politici italiani di passaggio i gravi problemi scolastici e professionali, nonché le risorse non sfruttate degli italiani in Germania. Non erano tutti solo a caccia di voti dei connazionali, alcuni volevano realmente aiutarci. I risultati sono stati deludenti: abbiamo imparato che solo chi conosce una situazione perché ci vive in mezzo è in grado di comprenderne le cause ed avviare progetti sensati.

Moltissimi problemi sarebbero risolvibili con risorse anche e soprattutto di personale in loco, che è più competente di quello del MAE, perché conosce la situazione e la lingua del posto, e costa anche molto di meno, non avendo bisogno di trasferta. Non ci si può illudere che i parlamentari eletti in Italia possano essere di aiuto e ci stupisce che un ex ambasciatore non se ne sia reso conto. Mandare i nostri rappresentanti a Roma è l’unica logica a cui possiamo affidarci, beninteso ripromettendoci di verificarne l’’operato.

Una riflessione generale sulla rappresentanza degli italiani all’estero va comunque fatta. I pochi parlamentari che ci rappresentano non bastano da soli a portare la nostra voce e le nostre richieste. Da anni viene invocata − e promessa − una riforma del Consiglio Generale degli Italiani all’estero, che pero non può andare in direzione di una diminuzione dei suoi poteri e quindi della sua potenziale effettività.

In realtà è ancora − e ci sembra volutamente − tutto fermo. I Comitati Italiani all’Estero (Comites), grandi elettori del CGIE, non hanno più nessuna legittimazione, le ultime elezioni essendo del 2004. ll nostro diritto ad eleggere nostri rappresentanti e in contemporanea la ridefinizione di un organismo più dinamico e meno legato ai tempi della burocrazia parlamentare vengono tuttora elusi.

Riteniamo sempre più necessario un referente con le deleghe per l’estero all’interno del governo. Per quanto riguarda la Germania non possiamo continuare ad accettare, ad esempio, disservizi consolari come a Colonia o altri consolati, dove i tempi di attesa per un documento di identità sono, in media, di circa 6 mesi.

E veniamo a dire perché {{il nostro voto si differenzia significativamente da quello espresso in Italia}} e proprio per questo dovrebbe essere attentamente analizzato.

Gli italiani all’estero hanno uno sguardo esterno sulla politica italiana, non influenzato dai media interni all’Italia ma caso mai dai commenti dei paesi ospiti, di cui devono tenere conto per l’immagine che l’Italia dà al mondo e che normalmente si riversa su di loro sotto forma di cliché e pregiudizi, confermati o confutati secondo i casi. Negli ultimi anni questi pregiudizi sono stati rafforzati e ne è risultato un quadro di un popolo che ha governanti sotto processo, che costruisce illegalmente fidandosi dei condoni, che imbroglia dove può – tanto il falso in bilancio non è reato – , che evade le tasse senza nessun rimorso nel farlo.

Da chi per anni ci ha rappresentato come Presidente del Consiglio sono state fatte
all’estero dichiarazioni e azioni, che sarebbe eufemistico definire “gaffes”. Insomma, non è esagerato dire che ci siamo vergognati.

Certamente alcuni intendevano approfittare della Circoscrizione Estera come di un
reservoir di voti e non immaginavano che l’appello paternalistico di Tremaglia avrebbe
avuto tutt’altro risultato. Senza rendersene conto con questa legge l’Italia ha compiuto un passo significativamente innovativo, che non ha pari in nessun altro paese con una storia di emigrazione antica come la nostra, da cui finalmente si potrebbe imparare qualcosa.

Con la circoscrizione estera l’Italia ha la possibilità di uscire dal suo provincialismo e di dare una spinta di rinnovamento a se stessa ed alla sua classe dirigente, accogliendo alcuni soggetti nuovi. Doversi confrontare con esperienze e consuetudini politiche “altre”, come quelle dei neoeletti all’estero, che devono rispondere a un elettorato di base molto critico rispetto al paese di provenienza, dovrebbe essere produttivo, non solo per noi ma anche di riflesso per le politiche riguardanti l’immigrazione in Italia, dato che noi abbiamo vissuto sulla nostra pelle diversi modi di gestire l’immigrazione e li sappiamo valutare.

Riformare con opportune correzioni il sistema del voto per corrispondenza, in modo da
escludere possibilità di brogli, dovrebbe essere possibile senza per questo cancellare la circoscrizione estera. I “saggi” e le persone che sono di questo parere dicano chiaramente che dei destini e dell’apporto dei cittadini italiani all’estero non gliene importa nulla.

{{Liana Novelli}} per il Coordinamento Donne Italiane di Francoforte e.V.

www.donneitaliane.eu