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le macerie della guerra a Cassino
le macerie della guerra a Cassino
le donne vogliono continuare a vivere
le donne vogliono continuare a vivere

Cassino, città martire andata completamente distrutta insieme al suo celeberrimo monastero benedettino, durante l’ultima fase della guerra essendo strategicamente posizionata lungo le direttrici che univano e uniscono il centro e il sud d’Italia, celermente ricostruita nel dopoguerra e sede dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, ha celebrato il 22 aprile i Settant’anni della Repubblica e del suffragio universale (esteso a tutte le donne e a tutti uomini maggiorenni) con un importante e partecipato convegno “il volto femminile della Repubblica”, nella Sala comunale intitolata a Pier Carlo Restagno, banchiere, dirigente d’azienda, uno dei “padri costituenti” della Repubblica, Senatore in quattro legislature, e “il Sindaco della ricostruzione di Cassino” dal 1949.

Il convegno, fortemente voluto da Fiorenza Taricone, docente di Dottrine Politiche-università di Cassino e del Lazio Meridionale e Consigliera di Parità-Fr, è stato “innanzitutto un segno di riconoscimento e omaggio alla storia della Repubblica e della sua Costituzione, che hanno avuto una gestazione e una nascita lunghe e complicate, anticipate dall’entrata in guerra, dal crollo del fascismo, dal rifiuto del nazismo, dalla Resistenza.” “Il nostro essere qui oggi, con le istituzioni maggiormente rappresentative del territorio vuole testimoniare la consapevolezza dei costi pagati da uomini e donne per costruire una società democratica e le possibilità di miglioramento che la Repubblica ha offerto, fin dalla ricostruzione del dopoguerra, a tutti i suoi cittadini e cittadine” ha detto Fiorenza Taricone, citandondo poi, una ad una, le “madri costituenti” e tracciandone un breve profilo. Donne coraggiose e generose che si sono spese nell’antifascismo e in una successiva, lunga o breve, vita parlamentare con piena consapevolezza, trasversalità e buon senso, costruendo libertà per la loro e per le future generazioni, superando ogni tipo di ostacolo sessista e misogino.

Ai contributi della Prefetta (Emilia Zarilli), del Sindaco (Giuseppe Golini Petrarcone), al saluto del Rettore (Giovanni Betta), si sono aggiunti molte avvincenti relazioni che hanno mantenuta alta l’attenzione del numeroso uditorio. Lo storico e saggista Ermisio Mazzocchi, nel sottolineare “che non è il passato in quanto tale che oggi si celebra ma l’origine di un percorso che parte dalla Resistenza e dal Referendum istituzionale e prosegue nell’attualità” ha ricordato che “la costruzione di un sistema democratico fondato sulla libertà e sui diritti è ancora oggi problematico” e citato al proposito il dibattito sull’art. 3 “che non è una questione di riconoscimento ma di diritto”. Nel denunciare una “parità ancora non pienamente raggiunta”, Mazzocchi ha fornito dati inquietanti di sottorappresentazione femminile nelle istituzioni e negli ambiti decisionali del frusinate: “Su 91 comuni, abbiamo dovuto aspettare il 1958 per avere un’assessora; il 1992 per avere una Sindaca a Frosinone (Miranda Certo); il 1995 per contare tre donne nel Consiglio Regionale: dopo il 2005, nessuna donna è stata eletta con preferenza; su 17 legislature, solo tre donne sono state qui elette; nessuna donna è negli enti di secondo livello, nei consigli direttivi e in qualsiasi luogo decisionale, sul territorio”.

A sua volta, Anna Teresa Formisano, nata a Cassino, parlamentare dal 2006 al 2008 nel gruppo dell’allora Ccd-Cdu (oggi Udc), componente di numerose Commissioni, dichiarando l’amarezza per la situazione in atto, ha descritto la difficoltà di essere stata la prima a rompere il famoso “tetto di cristallo”, sola in tutte le sedi istituzionali o altre in cui ha ricoperto ruoli dirigenti. “Le nostre percentuali di rappresentanza al femminile sono più basse di quelle del Togo dove la metà dei Ministri incontrati in una visita istituzionale, era donna” ha ricordato Formisano “occorre un cambiamento del modello culturale che continua a escludere o marginalizzare le donne.” In merito, ha ricordato che solo per obbligo di legge, quella del 1995 che ha imposto ai partiti di nominare almeno 1/3 di donne nelle liste per le elezioni regionali, si è avuto un certo successo.

Per sanare la sistematica cancellazione dell’apporto femminile alla storia della ricostruzione di Cassino, Formisano ha proposto un monumento alla “petrella” com’erano chiamate le donne che portavano i sassi necessari a rialzare i muri distrutti e all’aiuto fornito con le braccia, univano quello dell’affetto, del sostegno, dell’incitamento necessario alla ricostruzione. Anche la giovane vice-segretaria provinciale del Pd (Sara Battisti), con alle spalle anche lei molte solitudini in una vita politica iniziata a quindici anni, ha dichiarato di aver dovuto cambiare idea sulle quote, di cui inizialmente non comprendeva il senso e che riteneva una limitazione e che invece ora considera un elemento utile al riequilibrio della rappresentanza stante le disparità e gli ostacoli ancora esistenti per le donne, non ultimo quello di farsi riconoscere l’autorevolezza del ruolo da parte degli uomini, specie più anziani, quando a ricoprirlo sia una donna e sia giovane.

Della forza e del contributo delle donne nella ricostruzione di Cassino ha parlato la F.i.d.a.p.a. approfondendo la doppia lettura – ieri e oggi – che impostava il convegno e sottolineando il valore del voto femminile nei settant’anni di Repubblica.

Le donne costituiscono la maggioranza dell’elettorato e questo interroga o dovrebbe interrogare le forze politiche anche rispetto all’esercizio stesso del voto, alla partecipazione o all’assenteismo espressione di un disagio o di una disillusione o di un’assenza di valore data a un diritto di cittadinanza. Un tema ripreso da Giovanni Marsilio, vicepresidente provinciale dell’A.n.p.i., definita un’associazione di giovani che, nel ricordo della Resistenza e della Liberazione, s’impegna nell’oggi a  salvaguardare i principi ispiratori e i dettami di una Carta costituzionale “anni luce in avanti e ancora non pienamente realizzata.” Marsilio ha invitato a difendere il patrimonio di cultura politica, di convivenza sociale e di saggezza che essa esprime; a lottare contro “ogni forma di prevaricazione che è l’opposto della trasversalità e della mediazione praticate da padri e madri costituenti e che sono state il valore aggiunto, il fondamento dell’antifascismo e della Resistenza”. Ha definito una mutazione antropologica “non far discendere i diritti dalle necessità, di cui sono espressione universale; cedere a un’idea di Europa diversa da quella che è nata a Ventotene; rinunciare alla generosità con cui l’antifascismo e la Resistenza hanno vinto il nazifascismo superando, per il bene comune, le molte differenze.”

Al clima attento e commosso che ha caratterizzato l’evento, si sono aggiunti momenti di autentico sconvolgimento quando la parola è passata alla “staffetta partigiana Luce” (Luciana Romoli), dall’impeto oratorio pari all’inesausta passione politica, che nel primo dopoguerra, da dirigente per le borgate di Roma dell’Associazione Ragazze d’Italia, fu inviata dall’Udi nazionale e dalla Federazione romana del PCI, insieme ad altre (ha citato Maria Maddalena Rossi, Maria Michetti, Maria Antonietta Maciocchi, Marisa Rodano), in Ciociaria in aiuto alle vittime delle “marocchinate”. Crimini di ogni natura compiute, per 50 ore di assoluta impunibilità, dalle truppe del generale francese Goumiers che, come tutte le truppe di primo assalto, erano composte da uomini che non avevano nulla da perdere. Quelle 50 ore costarono, per difetto, dalle 40.000 alle 50.000 vittime nella zona di Frosinone e Latina. “Abbiamo fatto quello che potevamo” ha detto Romoli,  o meglio “ha patito” e l’uditorio con lei: “Quelle truppe hanno violentato, seviziato, assassinato, rubato, distrutto il bestiame e ogni cosa, sfogando i più bassi istinti umani. Una tragedia che si è ripetuta anche in altri paesi da parte anche del nostro esercito (es. Libia, Etiopia, Grecia).”

“Bisogna aver presente” ha proseguito “che all’epoca la condizione femminile, specie tra le contadine meridionali analfabete, era assai diversa da quella di oggi. Le vittime di violenza sessuale si colpevolizzavano, erano disprezzate e ripudiate, spesso i neonati erano affidati ai brefotrofi o a famiglie accoglienti. Maria Michetti e Maria Maddalena Rossi trovarono delle psichiatre disposte a recarsi una volte a settimana nel frusinate per dare assistenza psicologica alle molte che ne avevano bisogno. Ricordo il caso di una ragazza che dopo la prima notte di nozze non ha potuto avere più rapporti sessuali per dispareunia. Molte donne stuprate, in particolare le bambine, contrassero malattie veneree allora frequenti e mal curabili. L’Udi sollecitò i medici condotti e gli specialisti dermosifilopatici a somministrare le terapie opportune, convincendo le donne a farsi curare. Trovammo disperazione, follìa, gravidanze indesiderate spesso concluse con l’infanticidio e il suicidio. Ricordo una giovane donna che avrebbe dovuto sposarsi e che vidi distesa nella cassa in abito da sposa insieme al neonato che aveva soppresso prima di uccidersi.”

In collaborazione con i Sindaci, Romoli e le altre raccolsero le dichiarazioni delle vittime, donne di tutte le età, ma anche bambini/e ed uomini che si erano opposti ai soldati marocchini; denunciare era difficile e furono “solo” 20.000 donne a farlo a fronte di ulteriori sofferenze, di un grande abbandono da parte dello Stato, di un silenzio che avvolse ogni cosa, per tacerla per vergogna o per rimuoverla.

“Le vittime dovevano compilare un questionario da inviare alla Prefettura per ottenere la pensione di guerra, che non ebbero che in piccola parte. La Francia concesse in qualche caso un indennizzo irrisorio, ma non ci fu mai il riconoscimento di un danno generale, anzi questa tragedia è stata spesso negata o strumentalizzata anche se ancora riempie gli archivi della memoria e del cuore.

Con non minore slancio e commozione, “Luce” ha descritto infine l’esperienza di staffetta; ha rivendicato i pericoli e le fatiche cui tante donne, spesso giovanissime, si sono sottoposte, perdendo anche la vita “non per un giuoco ma per amore della libertà”; ha  ribadito il valore della Costituzione, frutto di tante sofferenze ma anche di tanti “ideali e speranze” e chiamato anche lei l’uditorio a difenderla. Nel rivolgersi alle donne presenti, le/ci ha invitate a “ben guardare” i diritti conquistati, “che nessuno ci ha mai regalato e che si possono anche perdere. Niente è garantito per sempre.”