terremoto-visso-giorno-dopo-13-10Gabriella, mamma di Benedetta, racconta l’esperienza “sconvolgente”: “Fuggire è più facile dirlo che farlo, con una persona autistica bloccata dalla paura. Poi ci ha aiutato Harry Potter, in cui Benedetta si trasforma nei momenti di crisi. Anche io avrei bisogno di un supereroe, perché sono stanca di affrontare tutto con sangue freddo”

La scossa di ieri mattina è stata forte, spaventosa per molti. Ma la paura diventa terrore, per chi ha un figlio o un familiare che non può o non sa fuggire: abbiamo già raccontato, in occasione del sisma di agosto, l’esperienza di Maria Simona Bellini e di Chiara Bonanno, mamme entrambe di ragazzi con disabilità motoria, oltre che intellettiva. Oggi racconta il suo risveglio di ieri mattina Gabriella La Rovere, mamma di Benedetta, ragazza con autismo.

Gabriella vive a Marsciano, in provincia di Perugia. Lì la scossa si è sentita forte e chiaro, poco dopo le 7.30 del mattino. E l’esperienza è stata “sconvolgente, non solo per la paura dell’evento in sé – racconta La Rovere sul sito Pernoiautistici – Eravamo sole in casa ed io, come ogni madre con figlio autistico con disturbi del sonno, ero intenta già dalle prime luci dell’alba a mettere in ordine. Il caso ha voluto che mi trovassi in camera con Benedetta: lei al computer e io a sistemare il letto”.

Ed è stato in quel momento, in quel contesto, che è arrivata la scossa: “venti secondi di discesa all’inferno, incapace di fare anche solo un passo per avvicinarmi a lei e abbracciarla – riferisce ancora Gabriella – Benedetta era terrorizzata e urlava, irrigidita sulla sedia. Volevo prenderla per metterci sotto l’architrave della porta, ma tutto ballava così forte che ogni tentativo è stato inutile. Ho pensato che qualcosa di più devastante stesse per accadere e che dovevo fare di tutto per scappare da lì. Ho pregato tanto mentre Benedetta gridava spaventata”.

Sarebbe stato logico e sensato fuggire, ma è proprio qui che l’autismo entra in gioco e rende tutto più complicato: perché scappare è “più facile dirlo che farlo con una persona autistica bloccata dalla paura. Non si muove, è sotto choc, il suo peso si triplica, non ha punti di riferimento, sembra non riconoscere ciò che la circonda, ti guarda con gli occhi sbarrati”. Per fortuna, però, è arrivato in soccorso Harry Potter. E così la realtà sconfina nella fantasia, il limite tra l’una e l’altra sfuma, fino a confonderle: “Harry Potter, personaggio nel quale Benedetta si trasforma nei momenti di crisi, avrebbe superato quel momento con coraggio. E così è stato. Benedetta ha indossato gli occhiali di plastica rotondi e, lentamente, in pigiama mi ha seguita dentro la macchina. Ha continuato a respirare affannosamente per un po’ ma ben presto tutto è rientrato, soddisfatta per aver superato una prova così importante”.

E, sempre grazie all’amico mago, Benedetta ha rielaborato quanto vissuto poche ore prima: è forse la più grande magia compiuta da Harry, permettere a una terrorizzata ragazza con autismo di mettere in fila le proprie sensazioni, magari in modo disordinato e scomposto, magari sotto forma di appunti e di disegni. Sono tre anni che Benedetta scrive ad Harry Potter. E lo ha fatto anche ieri sera, in inglese: “Hi harry. Today this morning there was an earthquake in my bedroom. The chandelier it was moving. And the cabinet was moving. Me and my mom we were very scared about the earthquake but with courage we get up in the car and me and my mom we were brave. It was a devastant thing Harry. At the end i was very scared about the earthquake. But with courage I was get up in the car. I was very brave”. (“Ciao Harry. Stamattina c’è stato un terremoto nella mia stanza. Il lampadario si muoveva. E l’armadio si muoveva. Io e mamma eravamo molro spaventata dal terremoto ma con coraggioa siamo salite in macchina e siamo state molro coraggiose. È stata una cosa devastante Harry. Alla fine ero molto spaventata dal terremoto. Ma con coraggio sono salita in macchina. Sono stata molto coraggiosa”).

Queste emozioni, dalla paura del terremoto all’orgoglio per il coraggio, Benedetta le ha immortalate poi in alcuni disegni, che pure la mamma ha scelto di pubblicare, mentre così commenta, concludendo, quanto accaduto ieri mattina. E quanto accade, sempre, in occasione di un pericolo: “Una parola mi tormenta da ieri: fragilità. Quanto siamo fragili noi con i nostri figli! Quanto sia estremamente difficile riuscire a salvarsi in situazioni di pericolo perché, contrariamente alla maggioranza, non scappano ma si piantano nel pavimento. Quanto un evento così pauroso rimane nei loro ricordi per mesi, anni diventando l’ennesima stereotipia verbale che dobbiamo affrontare e che si somma a tutte le altre. Quanto anch’io vorrei un supereroe perché sono stanca di affrontare tutto con lucidità e sangue freddo, come se fosse la cosa più semplice al mondo. Lo vorrei perché il mio costume l’ho dovuto portare in lavanderia e me lo daranno fra una settimana”. (cl)