In questa terra e in questi giorni parlare di violenza ha purtroppo un significato particolare, un sapore fin troppo conosciuto. Quello del dolore, della rabbia, del senso dell’ingiustizia profonda che sempre accompagna la conta delle vittime.Loretta è l’ultima delle uccise, l’ultimo sangue sparso. La ferita più fresca. E’ per lei che facciamo fatica a parlare di violenza in questo giorno, ma è per lei, e per altre come lei, che dobbiamo parlarne.

Chi si occupa di contrasto alla violenza sulle donne trova sempre grandissima difficoltà a comunicare un dato fondamentale: la violenza viene agita, per una percentuale che si aggira intorno al {{novanta per cento dei casi, all’interno, e non all’esterno, della famiglia}}. E per lo più riguarda famiglie assolutamente ordinarie, spesso benestanti, famiglie composte da persone come noi, che non girano per strada con un alone rosso tutto intorno alla figura, né con segnali di pericolo appesi alle cinture dei pantaloni.
_ Questa considerazione non viene mai abbastanza ripetuta, e comunque viene raramente sottratta a una {{polemica assurda e stupida tra i sostenitori del concetto “famiglia buona” contro quelli del concetto “famiglia cattiva”}}. Non è questo che deve interessare, non è questo che è importante per evitare altre morti.

Le conseguenze del fatto, ormai provato, che per lo più la violenza sulle donne viene perpetrata in famiglia, hanno ben poco di ideologico, anzi sono, purtroppo, molto concrete ed evidenti: di questo occorre tener conto, per poter offrire risposte adeguate.
_ Rispetto a quella di un estraneo incontrato per la strada, la posizione di un marito, un padre o un fratello è ben diversa: chiunque può immaginare quanto per una donna sia {{più difficile autorizzarsi alla difesa della propria incolumità}}, fisica e psichica,nei confronti del coniuge o del padre piuttosto che dell’estraneo; quanto possa essere doloroso decidere l’allontanamento proprio e dei propri figli dalla casa e dalla relazione affettiva più importante, non parliamo poi di denunciare e in qualche modo “mettere in piazza” quello che viene spesso percepito come un fallimento e una vergogna personali, come la causa di un danno irrimediabile all’immagine sociale non solo del violento, ma anche della donna e soprattutto dei figli.

E allora? Allora spesso, ma per fortuna non sempre.. si tace. Si resiste, ci si incolla un sorriso in faccia, si elaborano improbabili strategie di evitamento del conflitto, si sdrammatizza con tutti, a partire dai figli, fino agli amici e ai semplici conoscenti. Si spera, anche. Che le cose migliorino, che il lavoro gli dia più soddisfazione, che non gli si rompa la frizione dell’auto sennò. Sennò il fine settimana che si avvicina diverrà un’eccellente imitazione dell’inferno in terra. Si aspetta.

Soprattutto, che i figli crescano e vadano via di casa, che si mettano in salvo, sia fisicamente che socialmente, distaccandosi dal nucleo familiare paterno e dai suoi problemi. Per avere finalmente il diritto di pensare a sé, alla propria serenità, forse finanche alla propria salvezza. Spesso il tentativo che la donna compie per liberarsi riesce. A volte, come nel caso di Loretta, no.

Pensiamo che a noi come [Rompi il Silenzio->http://www.rompiilsilenzio.org], ma anche a tutte e a tutti noi che contrastiamo la violenza di genere, non spetti il diritto di giudicare o di definire cosa sia giusto o sbagliato, cosa sia o non sia la famiglia, cosa sia o non sia il matrimonio ideale.

{{Il nostro compito è quello di sostenere e accompagnare nel loro cammino, faticoso e impervio}}, con mille fermate e salti all’indietro, le tante Loretta che incontriamo. Perché, qualsiasi sia la strada che scelgono, quella di restare o di andare, di separarsi o riappacificarsi, non sia la strada che le porta alla morte.

Per raggiungere questo obiettivo è per noi fondamentale lavorare in rete, senza steccati nè preclusioni ideologiche: il percorso di una donna che vuole uscire dalla violenza è composto di diversi momenti, e diverse sono le figure che possiedono le capacità e le competenze necessarie a sostenerla nella sua azione.
_ Diversi, anche se necessariamente interconnessi, sono gli ambiti di azione delle forze dell’ordine, dei servizi socio-sanitari, dei centri per l’impiego, dei diversi professionisti (medici, psicologi, avvocati, etc..) dei quali la donna può decidere di avvalersi, dei tanti enti e associazioni che operano sul territorio.

Rompi il Silenzio è orgogliosa d’essere una maglia nella rete di enti, soggetti e associazioni che combattono la violenza di genere nella provincia di Rimini.

– {{Rompi il silenzio}}
_ [Associazione di volontariato contro la violenza alle donne->http://www.rompiilsilenzio.org] – Onlus
_ Sede legale: Via Bissolati, 14 – Rimini
_ e-mail: info@rompiilsilenzio.org
_ tel. 3465016665 (lun-merc-ven dalle ore 15,00 alle ore 19,00)
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