Liliana Segre è diventata senatrice a vita , nominata dal Presidente Mattarella, nel gennaio 2018 a pochi giorni dalla Giornata della memoria e a 80 anni dalle leggi razziali, di cui la Segre fu vittima all’età di 8 anni.

Riflessione sul testo di Enrico Mentana. –  Liliana Segre.  La memoria rende liberi La vita interrotta di una bambina nella Shoah, Bur Rizzoli, Milano, quarta edizione Best Bur, febbraio 2018 E’ questione di pochi anni, poi non ci saranno più testimoni della Shoah.

Queste le parole con cui Enrico Mentana, direttore de La7, introduce la riflessione profonda e scomoda sullo sterminio, sui tanti perché di una robusta indifferenza in molti.   L’autrice del racconto è  Liliana  Segre, di recente  nominata senatrice della Repubblica italiana dal Presidente Mattarella.

Ognuno, sia Mentana sia la Segre, secondo una propria sensibilità, interroga e pungola, lambita più volte  la lucidità  di loro argomentazioni da  un’ inquietudine, trattenuta,  che  prende forma  pagina dopo pagina.  Non è questa solo  narrazione di quell’inferno dalla Segre già   rappresentato in un  precedente libro , scritto da Emanuela Zuccalà(N).*

E’ quel modo, tenace e sobrio,   di promuovere la volontà di capire, di non mummificare quella vicenda, di alimentare il desiderio di conservare i fili spinati del ricordo. Scrittore e lettore proseguono   in un’unica   direzione, stipati i pensieri dentro quel treno che sferraglia sui binari per Auschwitz. Il torpore dell’indifferenza, come si sottolinea più di una volta nelle pieghe del racconto, si presume   sia stato spesso frutto anche di pigrizia mentale.  Sovente genera quel chiamarsi fuori da rigore e senso di responsabilità che conquista ulteriori forme di complicità collusiva.

Il discorso sulla Shoah parrebbe poi ancora leggersi per sue parti nel vago del troppo incomprensibile, perché   incistato ed al tempo stesso  scollegato,    incapace di comprensione  quand’ anche  certi i nessi tra le  cause, complesse e multifattoriali, e gli  effetti, totalmente  drammatici.  Una dolente sicurezza in Enrico Mentana taglia il possibile nodo gordiano di perplessità, non a sufficienza  chiarificatrici , e mantiene convinzioni su dubbi, pesanti ed amari .

Semplicemente non si voleva sapere.

Ad oggi resta lo sconforto per quel  dolore,  sulla pelle di quegli esseri umani.  In documentari o filmati, datati primavera 1945, sgomenta la vista  di  corpi di uomini e donne  tornati  liberi dentro  scheletri rivestiti di stracci. Respirano, camminano, si guardano e guardano. Tremore, gesti  lenti , incerto   nella postura e nel movimento chi riesce ancora  reggersi in piedi. Un silenzio, irreale,  domina su vite  ancora  congelate in tante(troppe) morti: è un  testimone che ascolta in ognuno di loro la paura di non poter essere ancora vivo.

Nel collocare storicamente lo sterminio, nel chiedersi da dove la più incredibile forma di eliminazione di massa possa aver   avuto il suo primum movens e quale  minuzioso calcolo ne abbia mai sostenuto  la regia, viene agevole  riconoscere   il volto  di un pragmatismo disumano , mettendo a fuoco un’inquietante efficienza organizzativa, ben confortata da una  dis-umanità assurda.

Nel 1932, in un’intervista ad Emil Ludwig, giornalista tedesco, Mussolini aveva sottolineato negli ebrei italiani un comportamento consono. Erano stati   soldati coraggiosi ed avevano ricoperto, in modo onorevole, posizioni di rilievo in  banche  ed  università.

Pur con differenti  abitudini ed usanze, gli ebrei si sentivano  pienamente cittadini di questo paese, ma i tanti che desideravano conservare l’appartenenza all’Italia  si trovarono , in una manciata di mesi,  negato tutto.    E’ questo il dramma morale del dolore non risarcito, la sofferenza che  non può essere  lenita perché si   ri- presenta come  piaga con cui dover convivere.

Liliana Segre è stata  liberata il primo maggio 1945 nel campo di Malchow, un sottocampo di Ravensbrück.   Di quei giorni, come ha avuto  modo di raccontare a Fabio Fazio, che l’ha intervistata  alcune settimane fa,  le resta, dolcissimo sulle labbra, il sapore di un’albicocca  secca, lanciata da un soldato delle Forze alleate.    Il sapore della libertà. Unico e indimenticabile.  Il libro è il racconto lucido e struggente di quegli anni.

Descrive quell’assurdo far terra bruciata da parte di altri (con i quali c’era stata la condivisione quotidiana di gesti e cose)  , il tentativo , mal riuscito ,di fuga in Svizzera, l’ umiliazione del carcere ,l’inumana sofferenza del viaggio e , da ultimo,  l’inferno del campo.  A  Birkenau  , fummo separati, uomini e donne.  Avevo   tredici anni ,non conoscevo il tedesco e vicino a me non c’era  più mio padre a tenermi per mano. Dal lager ritornerà sola, orfana, straniera di futuro, tra le macerie di una città, Milano, in un Paese lacerato ,ferito, che  ad uno sguardo frettoloso pareva difendersi dall’ accogliere  il  ricordo, dolente,  del passato appena trascorso.

Trenta anni dopo ,in modo crudo e commovente , Liliana Segre sceglierà di parlare  di sé , dirà di leggersi come  una disadattata, disperata di essere viva  , del tutto consapevole  che la banalità dell’esistenza mai avrebbe potuto accogliere l’orrore di  quanto da lei subito.   La testimonianza sull’Olocausto bisbiglia  però ancora la speranza sommessa (e forte) che simili  tragedie   mai più accadano.  Nella  nostra inconfessabile paura,  si riflette, forse, anche  l’ombra vaga e potente di una vita  deformata ,i fantasmi di  uomini e donne  con una tomba scavata nel cielo ed il volto  di chi non può più raccontare.

Se   non si tocca con sufficiente consapevolezza  il   come  ed il   perché  in quell’allora , maggiormente inquieti saremo al pensiero di  un” ora  “  figlio di  un “ oggi “ che potrà non essere un “ domani “.Con tutte le negazioni o, peggio, le rimozioni che potrebbero  esserne conseguenza.   La più spaventosa politica sistematica di persecuzione che il mondo abbia conosciuto  è già diventata una sorta di questione privata tra due gruppi estranei al nostro mondo oggi?

Tante le facce della violenza che batte,  aspra ,   i  sentieri della  intolleranza.   Sintomo e  segno del troppo sovente smemorarci, energicamente impegnati  a non  rappresentarci quanto forse ancora oggi siamo capaci di un povero ben-disporci , di una fiducia imperfetta nell’essere degli umani.  Questioni, per così dire a latere, allora non risolte ma subite,  possono ora correre il rischio di   ri- tornare ancora al centro   della scena?.

Magari con la complicità dei   tanti   che allora chiusero gli occhi o , semplicemente , di coloro  che oggi focalizzano il dover ricordare  solo all’interno del perimetro di  Auschwitz, il punto terminale della soluzione finale. Non si vuole mummificare un dolore, se mai con pietas virgiliana raccoglierne i pezzi , comporne le spoglie  evitando ,per dirla con Segre, di assistere ad un naufragio da una distanza di sicurezza. Qualunque naufragio. Come accade quando  si pensa  che una cosa non ci tocchi  ( o non debba farlo più).

(N)*Emanuela Zuccalà, Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah, Paoline Editoriale Libri,Milano,2005