Presentato a Roma, lo scorso 20 ottobre il Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2010 con il quale l’UNFPA, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione “fotografa” ogni anno la situazione della popolazione mondiale secondo una diversa angolazioneQuest’anno, in cui si celebra il 10°
anniversario della Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulle
donne nelle situazioni di conflitto armato e post-conflitto, il [Rapporto->http://www.unfpa.org/swp/] (in inglese) si è
{{concentrato
sulla condizione di donne, uomini, ragazzi e ragazze nelle difficili fasi che
seguono il cessate il fuoco}}, quando i paesi lacerati da guerre spesso interne o
dal altri tipi di disastri umanitari, come il
terremoto di Haiti, cercando di ripristinare la “normalità”.

“Una
risoluzione fondamentale”, ha sottolineato {{Laura Boldrini}},
portavoce dell’UNHCR, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati,
introducendo il Rapporto, “alla quale è seguita nel 2008 la [Risoluzione 1820->http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1062] –
anch’essa ricordata nel testo – che ha definitivamente sancito la
{{perseguibilità dello stupro come arma di guerra}}, offrendo finalmente le basi
per una protezione più efficace delle donne finora non autorizzata dalle
Convenzioni di Ginevra sulla protezione dei civili in tempo di guerra: queste
si limitano a riconoscere l’esistenza di questo orrendo crimine, ma non ne
parlano come di una violazione perseguibile sulla base delle Convenzioni”.

Non
si tratta solo di proteggere le donne durante le fasi di conflitto aperto. {{Marina
Mancinelli}} è l’esperta italiana che per conto
dell’UNFPA dirige il programma di prevenzione e assistenza sulla violenza di
genere nella Repubblica Democratica del Congo. Notando l’originalità del
Rapporto 2010, realizzato attraverso reportage sul campo in Bosnia ed
Erzegovina, Liberia, Timor Leste e Uganda, paesi usciti da aspri conflitti
civili, oltre che tra la popolazione palestinese, i rifugiati iracheni in
Giordania e le vittime del terremoto che ha devastato Haiti, ha sottolineato
come “{{le violenze contro le donne non finiscono con la guerra, ma continuano
anche dopo, cambiando natura}}”.

Nella
{{Repubblica democratica del Congo}}, racconta Mancinelli,
“il lavoro dell’UNFPA, in collaborazione con le diverse agenzie dell’ONU
presenti nel paese, consiste innanzitutto nell’aiutare le donne a superare la
vergogna per la violenza e a riconsiderare pregiudizi che contribuiscono alla
loro emarginazione, come la convinzione che a causa dello stupro subito portano
dentro di sé una colpa che temono possa causare la morte del loro marito e dei
figli”.

Il numero dei casi di violenza denunciati nella Repubblica
Democratica del Congo è passato quindi da 13.230 nel 2007, a 15.547 nel 2008,
17.507 nel 2009, mentre per i primi sei mesi del 2010 sono già 7.775. “Dati
effettivi,
qualitativi e quantitativi, sono essenziali per migliorare la programmazione
dell’impegno per raccogliere dati e statistiche sulla condizione della
popolazione. UNFPA
è impegnata non solo a reperirli, ma a far sì che siano raccolti tenendo conto
della privacy, del rispetto per le vittime, di principi etici”.

“L’UNFPA lavora poi con le forze di polizia, l’esercito, e
gli uomini in senso lato: anche loro hanno spesso subito violenza, traumi,
perdite. Se
ne vergognano, e spesso sfogano la propria frustrazione e disperazione con
nuovi atti di violenza contro le donne”, ha continuato Mancinelli.

{{L’assistenza psico-sociale diventa fondamentale in questi casi}}, come racconta
il Rapporto, mettendo in evidenza le esperienze di THINK, {{Touching
humanity in Need of Kindness}}, che tradotto suona
“Prendere contatto con l’umanità bisognosa di tenerezza”, in Liberia, di
Bakira Hasecic, avvocata
fondatrice di Women Victims of
War in Bosnia ed Erzegovina, del Centro per la salute della famiglia ad Amman,
in Giordania, che ora assiste donne, uomini e adolescenti iracheni rifugiati, o
il Centro per la salute delle donne di El-Burej nella
Striscia di Gaza, due strutture fondate e sostenute da AIDOS, Associazione
italiana donne per lo sviluppo, con finanziamenti dell’Unione Europea e
dell’UNFPA.

“Una
delle cose che, in effetti, emerge dal Rapporto e che ci fa felici”, ha notato
{{Daniela Colombo}}, presidente di AIDOS, “è che il modello italiano dei consultori
familiari, che AIDOS ha portato in molti paesi del Sud del mondo, si rivela uno
degli approcci migliori nelle fasi di ricostruzione post-conflitto, dove è
importante non solo saper reagire tempestivamente e con flessibilità alla
situazione di emergenza, ma anche fornire adeguata assistenza alla salute
sessuale e riproduttiva, lavorare sulla violenza, sulla tutela legale e sulla
partecipazione effettiva delle donne nel mercato del lavoro”. Per questo AIDOS
abbina, ove possibile, ai consultori dei progetti per la creazione di Centri
servizi per l’imprenditoria femminile, modellati sugli “incubatori d’impresa”
promossi in Italia da associazioni e enti locali.

La
[Risoluzione 1325->http://www.centrodonnalisa.it/materiali/risoluzione%20consiglio%20sicurezza.htm] ha portato alla
creazione di istituzioni specifiche sulla condizione femminile, alla
mobilitazione per il voto – che in Liberia ha portato all’elezione della prima
presidente donna, {{Ellen Johnson Sirleaf}},
come racconta il Rapporto – all’inserimento delle donne nelle missioni di pace
dell’ONU, alla creazione di tribunali ad hoc con speciali tutele per le donne e
i minori vittime di violenza.

“Le
donne, durante i conflitti o altre emergenze umanitarie, assumono su di sé
responsabilità e incarichi che erano maschili, spesso scelgono di entrare negli
eserciti ribelli, e queste esperienze di empowerment non possono più
essere dimenticate quando torna la pace”, ha affermato Mancinelli,
“ma devono trovare un nuovo assetto in un cambiamento complessivo della società
e delle istituzioni. Per questo l’UNFPA lavora per superare stereotipi di genere e
promuovere il riconoscimento del contributo positivo che le donne possono dare
alla famiglia e alla comunità attraverso il loro lavoro retribuito e l’impegno
sociale e politico”.

Il
Rapporto affronta anche {{la condizione dei/delle
rifugiate}}, sottolineando come per le donne la fuga da un paese in guerra si
presenta “con rischi enormi lungo il tragitto verso la salvezza, dove sono
spesso violentate, a volte infettate con il virus HIV e spesso restano incinte,
così che ai rischi per la loro salute e la loro vita si aggiungono anche quelli
legati alla gravidanza e al parto”. Non esistono al momento protezioni legali
internazionali per questa particolare situazione, “ed è importante che
comincino a levarsi altre voci per richiederla, insieme all’UNHCR”.

Molto
resta dunque ancora da fare, ha concluso Colombo, “ma il Rapporto UNFPA 2010
mostra chiaramente, attraverso le tante esperienze di cui dà testimonianza,
qual è la strada da intraprendere”.