In questo periodo, imprevedibile e inatteso, nessun libro mi è venuto incontro come quello di Stefania Tarantino: Chiaroscuri della ragione – Kant e le filosofe del novecento. È un libro che ha smosso le mie energie, ormai sedimentate dopo questi mesi di isolamento, ha ridato nutrimento alla mia passione per la filosofia che da tempo languiva in attesa.

È un libro bellissimo – come del resto lo era stato per me il suo precedente Senza Madre – e restituisce la vita alla parola filosofica, quella stessa parola dalla quale mi sono in un certo senso allontanata rivolgendomi alla narrativa, proprio perché non riusciva più ad accendere quel desiderio senza oggetto ma ricolmo di vita, di eccedenza, di amore, di bene comune, di cui si parla appunto in Chiaroscuri della ragione. Nella lettura di quattro filosofe del novecento, Simone Weil, Jeanne Hersch, Hannah Arendt e Maria Zambrano che si confrontano al pensiero di Kant, viene individuata quella zona chiaroscurale, tra luce e ombra, chiarezza e oscurità, pensabile e impensabile, come zona praticabile in quanto limite, quel limite che Kant stesso aveva dato alla ragione davanti al noumeno, e che ciascuna di queste filosofe, a modo proprio, ci ripropone operando nuove modalità non solo di pensiero ma soprattutto di stare al mondo.

Il filo conduttore che unisce le filosofe prese in analisi da Stefania Tarantino a Kant è la possibilità di praticare appunto questo spazio chiaroscurale come confine tra la chiarezza del sapere e l’oscurità interna, segreta, inesplicabile, che sfugge al sapere e si fa consapevolezza dell’inconoscibilità. Le quattro pensatrici vedono in Kant il filosofo capace di evitare le derive irrazionali, che il novecento ha tristemente conosciuto, e che con rigore logico accoglie la condizione umana nella sua impossibilità di spingersi oltre la soglia che divide il fenomeno dal noumeno, dove il sapere non diventa mai assoluto ma non per questo perde quello slancio a superare la soglia e spingersi oltre la realtà fenomenica.

Con i limiti della ragione posti da Kant rispetto alla conoscenza della cosa in sé, si incontra l’impossibilità della filosofia a raggiungere l’esattezza o la verità assoluta. La filosofia è sempre alle prese con la contraddizione, la tautologia, l’inconoscibilità, ed è proprio nelle pieghe di questo limite che si insedia un pensiero che si dischiude alle forze incomprensibili della vita. Un pensiero incarnato, come potenza affermativa e non più come volontà di potenza, che appare nella passività estatica di Simone Weil, come amor fati, dove il desiderio viene liberato dal suo oggetto e non si nutre più del possesso, dell’uso, della soddisfazione, è un desiderio che non consuma, non corrompe, non inquina, ma contempla in una sorta di stato di grazia che accoglie. Ed è la stessa forza che accompagna la filosofia di Hannah Arendt, che diventa amore per la bellezza delle cose del mondo, dove si sottolinea l’importanza di avere una speranza di vita migliore, fatta di dignità, pluralità e socievolezza. Anche per Arendt l’amore per la bellezza non ha criteri di utilità o funzionalità ma è sempre calato in un contesto comune di attenzione e cura reciproca. L’amor mundi di Arendt in Jeanne Hersch si fa partecipazione al mondo attraverso uno sguardo che riesce ad accogliere ciò che non può essere compreso ma respirato, vissuto come una festa in cui la complessità è riempita di energia gioiosa e gratitudine. E ancora, Maria Zambrano con la sua ragione poetica si aggiunge a queste oasi di pensiero chiaroscurale, muovendosi tra immaginazione e senso, tra sentire e capire, affacciandosi a quell’incomprensibile che sfugge alla ragione discorsiva, che ci fa essere capaci di incamminarci in luoghi ancora inesplorati.

Stefania Tarantino riesce con il suo testo a offrirmi un senso di fiducia nel trovare direzioni di pensiero e di vita inedite, una fiducia di cui, in questo momento di pandemia, ho particolarmente bisogno, attraverso i percorsi filosofici di queste donne che mi hanno come restituito la mia capacità di essere presente, nel senso di contattarmi per riuscire a sentire che il pensiero chiaroscurale è un pensiero vivo, che incontra l’immaginazione, l’intuizione, la passione, il corpo, riconsegnandomi a quella presenza che mi concede di abitare l’interstizio nel quale la ragione si incarna e prova a dare nuove direzioni per vivere e agire nel reale, partecipando di quelle forze affermative animate anche dall’amore e dalla bellezza, dove si incontra un modo nuovo di fare filosofia.

“Chiaroscuri della ragione. Kant e le filosofe del Novecento”, Guida Editori, 2018