Pubblichiamo il testo che l’autrice ha inviato alla consigliera regionale
della Puglia, Elena Gentile, per metterla al corrente di una vicenda, che
testimonia, quanta strada ci sia ancora da fare, per scardinare (se mai
sarà possibile) una mentalità patriarcale di sopraffazione e ingiustizia
nei confronti delle donneGentile elena,

Apprendo, con immenso piacere, dal sito nazionale della pari opportunità,
la notizia dell’approvazione da parte del consiglio regionale della
Puglia, del DDL riguardante “Norme per le politiche di genere e i servizi
di conciliazione vita-lavoro in Puglia”.

Concordo con Lei che “è una legge vera perché disegna un profilo alto di
governo per le politiche di genere e di conciliazione”. Credo, possa essere un passo in più, in direzione di quella lotta contro
le ingiustizie nei confronti del genere femminile. Ingiustizie, che
affondano le radici ancora oggi, sul terreno di un ordine patriarcale e
pertanto gerarchico.

{{Mi permetto di raccontarle una storia vera}}, successa qualche sera fa (per la precisone, sabato 10 marzo 2007) in uno scompartimento del treno della ferrovia appulo-lucane, nella tratta “Altamura-Gravina” intorno alle 22, circa.
_ A quell’orario, le carrozze del treno, erano pressoché deserte,e, gli
unici viaggiatori, erano una coppia (lei e lui) giovane. Oltre, ovviamente,
al personale formato dal capotreno e dal macchinista.
_ Ad un certo punto, il macchinista (del quale per il momento ometto il
nome), {{udendo delle voci concitate}} provenienti dallo scompartimento dove la coppia si era sistemata, chiede (sic!) al capotreno, di verificare cosa stesse succedendo.
_ {{Il capotreno però, si rifiuta}}, adduccendo una futile motivazione
sul tipo la “litigiosità dei giovani d’oggi”.

Dopo un po’, le voci, sono diventate delle vere urla (da parte della
ragazza) e, all’ennesima richiesta, del macchinista al capotreno di andare
a controllare, riceve l’ennessimo rifiuto.
_ A quel punto, il macchinista, {{udendo i lamenti della ragazza}}, ha ritenuto
che qualcosa di grave stava succedendo, e costretto dall’inazione, del
capotreno, che continuava a sollecitare il macchinista di “non farci
caso,perché i giovani hanno un modo tutto loro di litigare”, intuendo che,
qualcosa di più grave stava succedendo, decide di fermare il treno.

Uscendo dalla cabina, ai suoi occhi, appare una scena raccapriciante: {{la
ragazza stava subendo percosse da parte del “findanzato”}} il quale,
nonostante, il naso e il viso ridotto ad una maschera sanguinante,
{{continuava a batterla}}. Grazie all’intervento di quel macchinista, l’incubo
della ragazza, finiva e, alla stazione di Gravina, l’uomo, veniva preso in
consegna dai carabinieri (chiamati sempre dal macchinista) mentre, la
ragazza, veniva curata sul posto dagli operatori del 118.

Le racconto questa vicenda, non per metterla al corrente, dell’ennesima
violenza perpetrata nei confronti di una donna, più semplicemente, per
informarla che {{il macchinista, dopo l’intervento atto a salvare la
ragazza, non soltanto ha subìto la relazione del capotreno, sulla
violazione del regolamento (per aver fermato il treno)}} ma subisce adesso,
l'{{isolamento posto in essere dalla maggior parte dei colleghi}}, che gli
contestano, il fatto che, “si è permesso di scrivere una relazione
denunciando il comportamento omissivo del capotreno”.

C’è in corso, un’indagine interna del CdA delle ferrovie appulo-lucane, che
è indirizzata (secondo, quello che si è potuto intuire) a produrre una
decisione di tipo salomonico: {{punizione per entrambi con relativi giorni
di sospensione.}}

Se questo sarà vero o no, si saprà tra breve. Quello che mi preme
sottolineare è l’ingiusto isolamento, per ragioni di carattere gerarchico
e (sotto) culturali, alle quali da quel giorno, va incontro il dipendente
che ha avuto “il torto”, di seguire ciò che la sua coscienza (civile) gli
suggeriva e di far smettere una violenza contro una donna.

Coscienza e impegno, assenti viceversa, in colui che, per dovere, aveva (ed ha) la responsabilità di non fare mancare.
_ Come donne, da anni, denunciamo le ingiustizie, i soprusi (fisici e
psicologici) le violenze, commessi nei confronti del genere femminile da
parte di un ordine patriarcale e gerarchico. Un ordine che è rimasto (e
rimane, per molti versi) sordo alle istanze e richieste delle donne di un
riconoscimento dell’identità di genere ancorato com’è a quel primato
genealogico maschile.
_ E quando, viceversa, (come quella sera) un “miracolo” è avvenuto ({{un uomo ha deciso di spezzare quell’ordine}}) “il branco”, di quella comunità maschile (le ferrovie apulo lucane, non hanno nessuna lavoratrice donna) insorge. Difendendo quel “simbolico” confermato, dall’applicazione rigida di un regolamento che si fa interprete di un ordine (costituito) gerarchico, misogino e cieco ad una vicenda umana. “Troppo umana”. E femminile.

Grazie per l’attenzione

Lia Di Peri