Anche quest’anno, come nei precedenti, sono stati dedicati panel di discussione alle tematiche del Gender Mainstreaming, del Women’s Empowerment, e del contrasto agli stereotipi di genere nel mondo dell’informazione. Si è conclusa domenica scorsa l’ottava edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, un grande successo che è anche un piccolo miracolo. Facciamo un passo indietro; nell’ottobre dello scorso anno i due fondatori, Arianna Ciccone e Chris Potter, annunciavano di essere costretti a chiudere i battenti, “Stop at the top” titolava il loro articolo.

A causa della ristrettezza dei finanziamenti pubblici, il Festival del Giornalismo, che negli anni è diventato uno degli appuntamenti internazionali più qualificati e riusciti nel mondo del giornalismo, ha rischiato di morire.
Se questo non è avvenuto è grazie all’incredibile campagna di crowfunding nata dal basso; le tante piccole donazioni di privati, i contributi di soggetti che da sempre hanno sostenuto il festival, come l’Ordine dei Giornalisti, testate come {Il Fatto Quotidiano} e la {Repubblica}, sommate hanno sforato addirittura, il già ambizioso, obiettivo di raccolta fondi prefissato dagli organizzatori.
Da segnalare che tra i Gold Donor vi è anche il liceo Galilei di Perugia, grazie ad una campagna fondi organizzati dalle e dagli stessi studenti. L’eco del grande successo ha poi richiamato l’interesse dei grandi finanziatori che si sono uniti all’impresa, come Tim, Enel, Google e Nestlè, ai quali si è aggiunto il gigante Amazon.
Se per il futuro, l’organizzatrice e direttrice del Festival, Arianna Ciccone, si augura di poter sostenere un modello di finanziamento come “perfetto mix di pubblico e privato”, perché “il contributo pubblico alla cultura è fondamentale”, come aveva dichiarato sul Blog del {Corriere della Sera}, intanto si gode il grandioso successo di quest’ultima edizione.

Anche quest’anno, come nei precedenti, sono stati dedicati panel di discussione alle tematiche del Gender Mainstreaming, del Women’s Empowerment, e del contrasto agli stereotipi di genere nel mondo dell’informazione.
All’incontro “{ {{Comunicazione e giornalismo alle prese con le tematiche LGBT}} }” l’attore Carlo Giuseppe Gabardini ha presentato, in anteprima, il suo video denuncia contro le molteplici discriminazione a cui la comunità lgbt è ancora sottoposta. Il discorso si è poi ampliato, ricomprendendo quello che la pubblicitaria {{Anna Maria Testa}} ha definito un processo di {“stereotipizzazione di massa}”, che non investe sono le persone lgbt, ma anche i tipi maschili e femminili rappresentati: “in pubblicità non esistono uomini calvi e, nonostante le donne over 55 costituiscano il 27% dei consumi totali, queste diventano protagoniste solo per pubblicizzare pannoloni e dentiere”.

In questo panorama desolante, spicca la pubblicità di Ikea che, nel 2011, fece infuriare il sottosegretetario Giovanardi. In quella campagna, realizzata per l’apertura di un punto vendita a Catania, ricorda Valerio Di Bussolo, direttore relazioni esterne Ikea Italia, veniva rappresentata una coppia di uomini mano per la mano e il claim recitava “Siamo aperti a tutte le famiglie”.
A questo punto, {{Paola Concia}} chiede come mai si è scelto di rappresentare una coppia gay e non una coppia lesbica. La domanda ha colto di sorpresa il manager Ikea, il quale non ha addotto alcuna particolare motivazione per la scelta intrapresa. Il chiaro intento di Concia, caduto nel vuoto, era aprire un ulteriore snodo di riflessione, ovvero l’invisibilità delle donne lesbiche, il maschilismo che insiste perfino nella discriminazione.

Non sono mancati i riferimenti alle esternazioni di Barilla “{Mai uno spot con i gay}”, che ha dato spunto ad accese riflessioni attorno all’importanza dello strumento del boicottaggio. All’estero, dice {{Paola Concia}}, il boicottaggio è una cosa seria,“noi siamo invece i lamentosi da tastiera”. Recuperare la dimensione dell’attivismo, del consumo critico è dunque molto importante in un paese che retrocede drammaticamente, sia sul piano dei diritti sia sul versante dell’economia. Del resto, conclude, il target dei consumatori lgbt è molto ampia, ed è comprovato che rispettare i diritti civile fa bene all’economia.

Nello stesso pomeriggio del Primo Maggio, il Centro Servizi G. Alessi ha ospitato anche l’incontro { {{Donne e tech journalism}} }, che ha centrato l’attenzione sul sessismo nei confronti delle donne che lavorano con il web.
Molti i contributi interessanti, come quello di {{Barbara Sgarzi}}, che si occupa di formare i redattori della carta stampata verso la transizione al digitale. La giornalista, ritornata dopo un’esperienza professionale in Inghilterra, è rimasta basita dal livello di sessimo presente nell’informazione italiana. “Noi donne facciamo rete da prima che la rete esistesse” sostiene la giornalista “però spesso siamo le prime ad autocensurarsi; c’è una arretratezza nel percepire il ruolo delle donne nella società e nelle professioni, anche da parte delle donne che rivestono ruoli chiave nel mondo dell’informazione. Invece si deve avere il coraggio di anticipare e non subire il cambiamento in atto”.
La portoghese {{Mariana Santos}} della {Knight International journalism fellow}, racconta la propria esperienza di giovane donna che non ha rinunciato ad essere se stessa in un mondo di uomini. Nella sua esperienza professionale di motion designer al {Guardian} ha avuto la fortuna di incontrare un mentore (un uomo) che ha creduto in lei; in poco tempo è stato capace di insegnarle più di quanto lei stessa abbia imparato negli anni d’Università.
Ora Mariana Santos vuole condividere la sua positiva esperienza, e diventare lei stessa mentore di altre giornaliste. Con il movimento, dal lei stesso fondato, che prende il nome di [Chicas Poderosas->http://www.chicaspoderosas.org], si occupa di formazione ed empowerment delle donne che si accingono a specializzarsi in tecnologie della comunicazione. L’obiettivo è di creare reti di professioniste qualificate, capaci di intraprendere un cambiamento nel settore tecnologia delle redazioni di tutta l’America latina.

{{ {Dove sono le donne?} }} Questo il titolo scelto per il panel che si è tenuto nella Sala Raffaello dell’Hotel Brufani. Lucy Marcus (CEO Marcus Venture Consulting) si è interrogata sull’invisibilità delle donne nel modo del giornalismo e dell’editoria: “le opinioni delle persone sono in gran parte plasmate da ciò che leggono. Se le donne non appaiono sembra che non ci siano, anche per questo utilizzare un linguaggio di genere è molto importante”.

Per{{ Lucy Marcus}} la dimensione familiare non rappresenta necessariamente un ostacolo alla realizzazione professionale, a patto che ci sia tra i genitori reciproco rispetto, e l’intenzione di dare ai propri figli un’educazione tale da fungere da anticorpo rispetto alle tante sollecitazioni esterne, ancora, troppo spesso, ispirate ad una cultura discriminatoria. La relatrice britannica aggiunge che sono le donne a dover assumere il ruolo di motore del cambiamento, a partire da sé; ed per questo che si rifiuta di partecipare alle conferenze in cui le donne non sono adeguatamente rappresentate.

Sulle prospettive di carriera delle donne si esprime {{Margaret Sullivan}} del {New York Times}, secondo cui le donne arrivano ad un certo punto delle proprie carriere in cui smettono di progredire, perché si sentono semplicemente estranee ad un mondo eccessivamente competitivo o, addirittura, scelgono di rinunciare a seguito di determinati eventi di vita, come la maternità. In uno scenario segnato da pesanti squilibri di genere nei vertici delle redazioni, il New York Times è in netta controtendenza. L’avvento di {{Jill Abramson}} -prima Direttora nella storia del New York Times- ha portato grandi e subitanei cambiamenti, a partire dalla composizione paritaria dei ruoli apicali: ora i caporedattori del giornale sono 5 donne e 5 uomini.
Sullivan conclude sostenendo che il {{mentoring}} è un fattore chiave per costruire leadership femminile: “Poche donne nella loro percorso professionale riescono a trovare dei mentori e molte donne che tornano al lavoro, dopo un periodo di pausa, avrebbero bisogno di una figura in grado di riabilitarle.” .

{{Jo Webster}} (global director Reuters Digital Video) precisa che anche alla{ Reuters } nel corso delle assunzioni si da spazio alla diversità e alla giovane età: “per crescere insieme e avere diversi punti di vista, in maniera tale da avere più oggettività e innovazione nell’informazione”.

Protagonista dell’incontro “{ {{Leader. Femminile Singolare}} }”, sponsorizzato da Enel, è stata la Presidente della Camera dei Deputati {{Laura Boldrini}}. Dopo un iniziale imbarazzo lessicale (la /il Presidente), subito dissipato dalla Boldrini, che non ha mancato di ribadire l’importanza culturale e politica dell’utilizzo del linguaggio di genere, la prima domanda formulata dalla giornalista, {{Alessandra Sardoni}}, si è concentrata sull’efficacia e opportunità di strumenti per riequilibrare la disparità di genere nella rappresentanza, come le quote: “Non ho alcun complesso di inferiorità nei confronti degli uomini, per questo le quote non ritengo siano uno strumento soddisfacente, ma ho il dovere di essere realista” ha affermato Boldrini, per poi descrivere il desolante quadro.
“Nel nostro paese dove solo il 47%delle donne lavora, dove vi è una fortissima disparità salariale, le quote sono una garanzia di rappresentanza. E poiché non siamo la Norvegia o la Svezia, per abbattere queste barriere, le donne devono ricoprire ruoli chiave di potere per fare la differenza nel benessere della Repubblica”.

Si parla poi di sindacati; in occasione del primo maggio Napolitano ha chiesto ai sindacati di assumere un ruolo nuovo di fronte a quello che lo stesso Presidente ha definito“allarme lavoro”. “Le istituzioni – prosegue Boldrini – non devono tapparsi le orecchie di fronte ai cittadini che protestano. I giovani insieme alla donne sono le categorie più vessate e lasciate ai margini; hanno bisogno di rappresentanza per diventare soggetti del rilancio dell’economia.”
In merito alle proposta di un’app per controllare chi entra e chi esce dalla Camera, da utilizzare in funzione anti-lobbysti e per limitare le zone di accesso dei giornalisti, avanzata dal deputato M5s e vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, Boldrini risponde: “finché sarò presidente della Camera i giornalisti non avranno nessuna restrizione. E’ giusto sapere chi entra e chi esce dal Parlamento ma non ci posso essere limitazioni alla libertà di stampa”.

Rimanendo in tema di libertà, Sardoni evidenzia come la stessa Presidente sia stata oggetto di forti critiche per aver avanzato, in un’intervista a Repubblica, delle proposte per regolamentare, e così restringere, la libertà nel web: “Nell’intervista non ho mai detto questo, io stavo parlando di una attacco a mezzo web a me perpetrato, con tanto di minacce di morte. Ho voluto condividere questa esperienza per aprire un dibattito pubblico sull’utilizzo responsabile del web. Non c’è da parte mia l’intenzione di censurare, Internet è libertà ma il cittadino deve essere protetto nella sua privacy.”. Si è poi augurata che, durante la presidenza del semestre europeo, l’Italia sia capofila nella regolamentazione dei diritti in Internet.
D’obbligo il riferimento alla riforma del Senato. “Il bicameralismo perfetto non funziona – conclude Boldrini – perché è un sistema dai tempi troppi lunghi: è necessaria una riforma”.
Degna conclusione del Festival, che ha visto una presenza femminile trasversalmente diffusa negli oltre 200 eventi realizzati, è stato il premio del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, riservato alle allieve e agli allievi delle scuole di giornalismo. Il Premio ha visto infatti classificarsi ai primi posti delle giovani giornaliste.

Il primo {{premio della “carta stampata”}} è stato vinto da {{Valentina Avoledo}}, allieva del master dell’Università di Torino, per l’inchiesta “[Niente foto siamo clandestini, come il giornalismo racconta i migrant->http://www.unito.it/unitoWAR/ShowBinary/FSRepo/Area_Portale_Pubblico/Documenti/F/futura_9aprile2014.pdf]i” (pagine 4 e 5).

Per la sezione {{radio}} ha vinto “[ASK FM, la morte arriva via social->http://www.magzine.it/2014/04/11/ask-fm-la-morte-arriva-via-social/]” di {{Barbara Giglioli}} dell’università cattolica di Milano, che mette in luce le discriminazioni in rete, partendo dal suicidio di una minorenne flagellata psicologicamente via web.
“[La notte dell’aborto. Viaggio tra luci e ombre della 194->https://lanottedellaborto.creatavist.com/reportage]”, di {{Francesca Decaroli, Valentina Innocente e Giorgio Ruta}} dell’Università di Torino, si è aggiudicato il primo premio della sezione multimediale. Nel reportage si focalizza il percorso di una legge lunga trent’anni e della sua, contrastata, applicazione.
{{Maria Teresa Squillaci}} della Luiss di Roma è stata la migliore della sezione televisione con [“Banda della Magliana. Nell’ufficio “del secco” ora c’è un bibliotecario->http://www.youtube.com/watch?v=o18Py04N_1g]”,“[Se Lolita è diventata una escort->http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Lolita-escort-626832ce-40b0-4959-a543-3d99f2217157.html]” e “[Costruire un nuovo futuro dietro le sbarre del Beccaria->http://www.vocidimilano.it/articolo/lstp/42958/]”, rispettivamente di{{ Andrea Rocchi}} (master di Torino) e {{Ilaria Liberatore}} (master Cattolica) hanno vinto ex aequo il premio per la{{ Sezione Carta di Treviso}}.