Ogni tanto, fortunatamente, incontriamo un giurista che si fa carico anche dei nostri diritti.

Ci voleva {{Stefano Rodotà}} su “la Repubblica” di ieri (22 febbraio) per ricordare – criticando la mancanza di rispetto per la dignità umana che informa le posizioni del governo nel legiferare sul testamento biologico – che {{il corpo di tutti sta per essere espropriato}} da un’ideologia riduttiva dei principi che la Costituzione ritiene inalienabili, come già è stato espropriato quello delle donne.

Citando correttamente {{Barbara Duden}} ({Il corpo della donna come luogo pubblico.} Sull’abuso del concetto di vita) Rodotà riprende il precedente della procreazione assistita che ha negato la libertà femminile.

A questo proposito io pongo {{il problema di fondo della questione “femminile”:}} non si tratta di nostre questioni corporative, esclusive di una parzialità separata dalla storia, bensì della {{pari e insieme diversa dignità dei due generi dell’umanità}}.

I diritti, i riconoscimenti, le tutele, i benefici, le rappresentanze sono, nella debita differenza, reciproci: come donne sappiamo e diciamo che le discriminazioni, la subalternità, l’omologazione al soggetto unico e universale “naturalmente” maschile sono di danno alla società intera, uomini compresi. Anche perché prima o poi la reciprocità si rovescia e {{il corpo abusato della donna diventa il corpo espropriato di tutti}}. Come volevasi dimostrare.