Da quando la Camera ha iniziato la discussione sulla legge di bilancio, ora approvata alla Camera, ma ancora soggetta a numerose modifiche prima dell’approvazione definitiva, abbiamo assistito alla bocciatura dell’emendamento che fissava un fondo di 10 milioni di euro per orfani e familiari di vittime di femminicidio, salvo ripensamento dell’ultima ora e alla liberalizzazione del congedo obbligatorio per maternità, di cui invece è stata confermata l’introduzione, che ora renderebbe possibile per la  donna lavorare fino all’ultimo momento prima del parto.  Spacciata come “libertà”, è evidente, con un minimo di riflessione, quanto questa previsione tutto contenga fuorché libertà! A meno che non si stia parlando della libertà del datore di lavoro di mettere la lavoratrice nelle condizioni di dover lavorare fino all’ultimo. Il tutto con un semplice certificato medico. Come se la gravidanza fosse equivalente ad un raffreddore o ad un’allergia. Come se non fosse noto a tutti che la gravidanza è un momento talmente delicato per cui basta poco per stravolgere repentinamente lo stato di salute della donna e del feto.

Sempre più chiaro è dunque il ruolo che la donna assume nell’attuale contesto sociopolitico.  Si vuole che la donna sia prima di tutto una macchina produttrice: produttrice di reddito e, all’occorrenza, produttrice di figli; figli che, tuttavia, non devono più di tanto intralciare la macchina produttiva, poiché se lo fanno, la donna viene allontanata dal mercato del lavoro. Figli che devono essere cresciuti dalle mamme (perché si sa, i papà sono sempre al lavoro); mamme che tuttavia, spinte dalla pressione del mercato, arriveranno esse stesse a decidere di stare a casa il meno possibile (sempre che la salute glielo consenta), strette nella morsa di un ricatto implicito e di un condizionamento sociale tale per cui non c’è spazio per la stanchezza, non c’è spazio per la malattia, non c’è spazio né tempo per i figli. Dunque, forse è meglio non farli. Ma servono figli per la patria! Se no gli immigrati… Quando poi ci si allarma, a intermittenza da anni, per il drastico calo delle nascite (come i recenti dati Istat ci dimostrano), si pensa di poter risolvere il problema attuando una politica del terrore antiabortista, affiggendo inquietanti manifesti di feti giganti, promuovendo subdole mozioni a “tutela della vita” nelle giunte comunali, imponendo la presenza di dissuasori antiabortisti nei consultori.  Questo perché la responsabilità del calo delle nascite non è la precarietà del mercato del lavoro, la pressione data dall’essere sempre più rimpiazzabile anche se sei incinta, l’insufficienza di asili nido, una scarsa condivisione del lavoro di cura del neonato con i padri e un sistema che pone la gravidanza come un fatto di cui si deve caricare solo la donna, no!  La responsabilità del calo delle nascite è da imputarsi alla donna che abortisce. Non importa il motivo per cui lo stia facendo, che sia mancanza di possibilità, che sia violenza.

Ecco che allora tornano ancora a risuonare, vive più che mai, le parole della nostra Piattaforma per una contrattazione di genere:

Il diritto al lavoro, non sfruttato, è il mezzo con cui affermiamo la nostra autonomia e la libertà della nostra esistenza, che non possono essere assoggettate ad un modello monosessuato mortificante e lesivo della nostra dignità. Osserviamo che l’attacco al lavoro in generale rappresenta anche un’appropriazione indebita del tempo di vita, soprattutto di quello delle donne che erogano servizi fondamentali dentro le case e nelle relazioni famigliari a tutti i livelli di età, configurano una vera e propria economia sommersa di cui fruisce chi si appropria della ricchezza del paese. Riteniamo che la produzione debba essere al servizio della vita e non viceversa.

Dunque… la legge sulla tutela della maternità non si tocca! Davvero non basta un certificato medico per garantire la libertà di un parto e di una nascita serena!!!!