Riprendere la strada oggi potrebbe significare riscoprire sentieri trascurati dalla sinistra ufficiale perché ritenuti eterodossi o troppo utopistici: parlo di un comunismo “arcaico” e primigenio, quello della mutualità, dell’autogestione, dell’economia dello scambio, dell’educazione libertaria…Il silenzio che inghiotte ogni sasso lanciato nello stagno in questa surreale estate ha il tanfo di una mefitica palude. In Italia succede di tutto, ma nulla cambia.
_ E anche nel resto del mondo non va molto meglio. Perché si annuncia la pandemia un giorno come l’apocalisse e il giorno dopo come una normale influenza?
_ Per quali motivi, con quali scopi?
_ Il rischio è che una folla spersonalizzata e anonima segua ciecamente le note di un’irresistibile musica suonata da diabolici pifferai che la condurranno, come nell’antica fiaba, a precipitare nell’abisso del nulla.

Il nulla inteso come definitiva rassegnazione a un mondo costruito sul dominio oligarchico di alcuni centri di potere, decisi a restringere sempre di più persino la sfera di quei diritti che si credevano definitivamente conquistati nel Novecento.
_ Un mondo di persone rassegnate a non poter influire sull’andamento delle cose, o quantomeno a illudersi soltanto di farlo.

Personalmente {{non credo che questo sonno della ragione possa durare per sempre}}, altre volte nella storia il corso degli eventi ha cambiato direzione quasi da un giorno all’altro.
_ Tuttavia il potere ha molti mezzi a disposizione per intorbidare le acque. Tenere incollate le persone a un continuum spettacolare che ottenebra le menti, mischiando fiction e vita, è un gioco da ragazzi. Ma {{esistono anche mezzi più facili da diffondere in un attimo, come la paura}}. Paura del terrorismo. Paura della crisi economica. Paura dell’immigrazione. Paura delle epidemie.

Chi ha paura non esce di casa. Non viaggia. Non stringe relazioni. Non stringe mani. Non frequenta luoghi affollati. Insomma, non agisce, non protesta, non rivendica diritti, non sogna libertà.
_ Di fronte a questi attacchi globali la cui natura sfugge ad analisi ormai logore, le vecchie sinistre (quel che ne rimane) sembrano sbigottite, incapaci di risposta, legate a schemi che non funzionano più.
_ La parzialità della loro visione che ha sempre rimosso le proprie “eresie”, rinunciando alla ricchezza plurale e articolata delle differenze, da tempo si rivela inadeguata al compito di fronteggiare le nuove forme del dominio.

Riprendere la strada oggi potrebbe significare {{riscoprire sentieri trascurati dalla sinistra ufficiale perché ritenuti eterodossi o troppo utopistici}}: parlo di un comunismo “arcaico” e primigenio, quello della mutualità, dell’autogestione, dell’economia dello scambio, dell’educazione libertaria…
_ Esperimenti mai tentati, se non nella Spagna repubblicana del 1936.

Ipotesi che a ben vedere s’incrociano con le proposte più avanzate di teoriche e teorici del nostro tempo.
_ Dove trovare le energie per iniziare a percorrere questo cammino dei sentieri perduti? Le donne coscienti di sé, della storia di genere, dei diritti mai veramente ottenuti, le donne che hanno imparato a coltivare una forte libertà interiore e un inesorabile pensiero critico, forse potrebbero.

{{
Focolai di ribellione femminile}} si sono accesi e si accendono di continuo, in un percorso che ancora non è riuscito a generalizzarsi, ma contiene in sé i germi di una profonda trasformazione, visioni di società radicalmente alternative nei principi, nei metodi, nei contenuti e nella struttura.

Non penso alla separatezza, che sarebbe una sorta di integralismo. Ma a nuovi tipi di alleanza. Nei territori dove più pesantemente la speculazione neoliberista avvelena, inquina, distrugge, rapina e fa di ogni luogo un incubo di cemento, o un deserto senza futuro, sono nati altri e validissimi focolai di resistenza, comitati dove donne e uomini agiscono bene insieme. {{Con queste nuove realtà di base un cammino comune è possibile e produttivo}}, fuori dalle logiche miopi e strumentali del passato.

Eppure troppe donne non riescono a uscire dalla prigione di cristallo – non solo un soffitto – del legame con partiti e organizzazioni politiche tradizionali, proprio nell’epoca in cui più evidente e impermeabile si è mostrato l’impianto maschilista di tali realtà.

Dobbiamo pensare che davvero le donne siano condannate all’inesistenza pubblica da una propensione al soccorso “maternale” dei compagni intesi in senso lato, vale a dire da un irrisolto rapporto diseguale fra i sessi che contamina di sé anche le relazioni politiche?
_ Oppure questo è il tempo in cui si deve scegliere e ci si deve assumere la responsabilità di dare seguito coerente alle teorie che fanno del pensiero femminista, e della sua autonomia, una delle poche strade di salvezza rimaste?

A dispetto del tabù che da tempo ha purtroppo iniziato a circondare persino il vocabolo che designa questo arco di storia delle donne, fra le nuove generazioni.
_ {{C’è una sfera ormai deserta nella vita collettiva, quello spazio pubblico non istituzionale e non privato}} in cui si pongono le basi del dibattito critico e della trasformazione possibile, Hannah Arendt insegna.
_ Luoghi fisici e mentali di incontro e confronto, di cui rivendicare il diritto d’uso nelle città dove mancano, e da ripopolare nelle città dove esistono.
_ Luoghi da far vivere concentrandovi iniziative e proposte sul presente e sul futuro della polis, in base a pratiche, desideri ed esperienze.
_ Luoghi da collegare per rendere forte e visibile una presenza di donne interessate davvero ad agire, contrastando la deriva umana e civile, apparentemente inarrestabile, che ci ammorba il respiro.

Vogliamo seriamente parlarne a partire da settembre?