Il 27 novembre, in occasione della manifestazione della Cgil, molte donne hanno partecipato al corteo, voci di donne, oltre a quella della Segretaria generale Susanna Camusso, si sono sentite dal palco d piazza San Giovanni; presente la campagna per la dichiarazione dei lavori della donne. Dal sito “I lavori delle donne,
Comitato per la dichiarazione di tutti i lavori delle donne” riprendiamo uno stralcio da un intervento di Marisa Nicchi con gli obiettivi della campagna. ” La proposta della [Dichiarazione dei lavori delle donne->http://www.ilavoridelledonne.it/wp-content/uploads/2010/11/Modello.pdf] […] è nata dall’intento di non tacere e non stare ferme, di fronte alla proposta, diventata poi legge, di aumentare, in un colpo, di ben sei anni l’età pensionabile delle donne dipendenti del pubblico impiego per poi generalizzarlo a tutte le altre lavoratrici.

[…] E’ una proposta che coinvolge tutte le donne: lavoratrici pubbliche, private, professioniste, partite iva, collaboratrici a progetto, disoccupate in cerca di lavoro, precarie, cioè tutte le frammentate figure di ogni generazione, che popolano il mercato del lavoro investito in modo strutturale dalla presenza delle donne. Riguarda tutti i lavori svolti dalle donne: retribuiti per il mercato e quelli non retribuiti, domestici e parentali. Cioè tutti i lavori necessari per vivere e per contribuire al benessere altrui e comune.

[…] E’ una parola femminile, esercitata in prima persona, sul rapporto tra vita e lavoro, tra responsabilità e libertà, tra vincoli e scelte.

[…]{{ Siamo mosse da tre intenzioni:}}

Disvelare l’inganno paritario; provocare un cambio di ottica nell’ analisi del lavoro di donne e uomini, come la realtà richiede; riproporre la questione della cura, della sua necessità e delle relazioni in cui viene prestata, che sono innanzitutto relazioni di genere e di generazione.

{{
A) Disvelare l’inganno paritario}}

L’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne è stata motivata come un obiettivo, necessario, per la parità tra i sessi. Noi l’abbiamo giudicata una parità ingannevole e punitiva perché ha azzerato l’unico riconoscimento del di più di lavoro svolto dalle donne nella cura che fa, da sempre, la differenza tra uomini e donne. Una parità che obbliga a procrastinare l’uscita oltre ad impedire l’ingresso alle giovani, non tiene conto della vita delle donne, né delle diseguaglianze che le costringono già a lavorare fino a 65 anni per ridurre il pay gap, per coprire i vuoti contributivi di lavori intermittenti.

Le donne sentono più fatica e usura dato che per tutta la vita fanno “l’ altro” lavoro mentre i modi e i tempi del lavoro retribuito confermano e talvolta accentuano, le caratteristiche maschili di precarietà/flessibilità estrema. Come mostra la vicenda di Pomigliano: orari lunghi, carichi insopportabili, turni notturni, (deroga al divieto dei turni di notte), competitività esasperata, sottomissione alle logiche aziendali e accettazione delle gerarchie.

Dopo una vita lavorativa fatta di flessibilità imposta e non scelta, si impone alla fine dell’età lavorativa il modello rigido che manda in pensione tutti e tutte alla stessa età a prescindere dai lavori svolti e dalle situazioni personali.

Massimo di flessibilità e di rigidità, insieme, dietro cui c’è la volontà di disporre senza limiti del lavoro e della vita delle persone, di donne e uomini.

C’è una questione di potere e di pratiche del conflitto, per contrastare le scelte delle imprese e dello Stato, per cambiare le forme di rappresenta e di contrattazione.

{{
B) Un cambio di ottica sul lavoro}}

La proposta della Dichiarazione dei lavori vuole spingere a una riflessione generale su quello che è stato definito dall’ Economist il “più grande cambiamento sociale dei nostri tempi”: l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.

Cambiamento su cui in questi mesi si è aperta una discussione con il manifesto “Immagina che il lavoro”, della Libreria delle donne di Milano. Un cambiamento con il quale le donne del sindacato si misurano quotidianamente, nel vivo della condizione lavorativa. Eppure, è una realtà e un punto di vista che stenta ad entrare pienamente nelle priorità delle agende di partiti e sindacati e , di conseguenza, non affrontano l’effettiva portata della trasformazione, non solo della vita delle donne, ma anche di quella dei giovani uomini, costretti a vivere senza la certezza granitica del posto fisso.

L’aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro è un trend generalizzato nei paesi più e meno avanzati economicamente. E’ più forte in alcune aree: è noto come nel Nord Europa – con Danimarca e Svezia si arrivi quasi al 75%, seguite da Inghilterra, Usa, ove le donne stanno diventando la maggioranza del mondo del lavoro, Germania, Francia, Giappone. Anche in Italia, sebbene ben distante dal 60% indicato dagli obiettivi di Lisbona, il trend è stato in ascesa per molti anni. Pur nella diversità, il dato comune è che le donne in casa non sono più la regola che presiede il mondo, al contrario, donne sempre più istruite, esprimono aspettative di autonomia e di realizzazione insopprimibili, anche quando trovano ostacoli a concretizzarsi.

Ostacoli che non mancano se, come dicono le donne della Fiom, 104000 posti di lavoro femminile sono scomparsi dall’industria negli ultimi 24 mesi, se da noi più che altrove le donne ingrossano la cosiddetta ‘inattività’. Un dato che si disvela ciò che è nascosto nelle medie italiane: il macroscopico problema del Sud dove i tassi di occupazione femminile scendono drasticamente.

Nonostante ciò, le donne hanno messo in campo una soggettività irriducibile, una voglia di lavorare che porta con sé l’esigenza di un reddito consistente e non complementare, non fosse altro perché il rischio di povertà è naturalmente più alto nei nuclei familiari con un unico reddito e per i/le single. Va inoltre ricordato che tra le responsabilità materne vi è sempre di più, accanto alla cura, anche il sostentamento economico per i propri figli. Visto che il matrimonio non è garanzia “per sempre” di sicurezza economica sia per le donne che si dedicano esclusivamente alla famiglia e alla cura, sia per quelle che pur lavorando nel mercato, ad un certo punto, diventano responsabili di famiglie monoparentali.

La vita delle donne è sempre più molteplicità di desideri irrinunciabili.

E’ interdipendenza tra più sfere, tra lavori produttivi e lavori indispensabili per la riproduzione della vita propria e degli altri. E’ complessità che muta le priorità dei suoi intrecci e chiede misure sociali che le apprezzino e le favoriscano senza penalizzazioni. Si deve tenere conto di come cambia il ruolo del lavoro nell’arco della vita, invece di riferirci sempre a un unico modello in cui le donne sono costrette a infilarsi, come in un vestito stretto.

La nostra iniziativa vuole contribuire a far uscire dal silenzio questa ricchezza che formula domande nuove e chiede risposte costruttive per guadagnare una prospettiva di libertà nel e del lavoro per tutti e tutte.

{{
C) Nuovi significati della cura e delle relazioni}}

Essere dipendenti dalla cura di altri è una esperienza della vita di ciascuno/a. Si nasce dipendenti e nel ciclo della vita ci capita di esserlo di nuovo. Non è una disavventura che capita eccezionalmente.

E’ stato merito delle analisi femministe aver messo a nudo i rapporti di potere che assegnavano la cura alla “naturale” attitudine delle donne sia come lavoro gratuito in famiglia, sia come lavoro pagato nel mercato.

Oggi questa divisione sessuale di compiti si incrocia con novità fondamentali. In primo luogo con l’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento di anziane/i a rischio di dipendenza; in secondo luogo con il ridisegno che, a livello nazionale ed internazionale, sta avvenendo sul concetto di vita attiva in conseguenza della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e alle regole relative all’età per la pensione; in terzo luogo con il fenomeno della nuova divisione internazionale del lavoro di cura per effetto delle migrazioni. […]