Una riflessione di Elena Pagliuca e Nadia Nappo.

Il documento completo si può leggere su CITTÀ MADRE –, spazio virtuale di riflessioni sulla città metropolitana di Napoli, laboratorio di idee femministe e del movimento sui Beni Comuni.

Il “post covid” apre una frattura che si estende su tutti i piani socio-economico-ambientale dove le nuove priorità sono imposte da ragioni sanitarie, spesso in contrasto con quelle neoliberiste.

Si apre l’opportunità di una redistribuzione.

In questo scenario le macroaree produttive e metropolitane disegnano la nuova geografia del contagio, come habitat preferiti dal virus per la moltiplicazione delle possibilità di contatto umano generate dagli scambi che ne sono il cuore pulsante;

Nel processo di redistribuzione i Beni Comuni possono aprire spazi di discussione per trasformare lo shock pandemico in intelligenza collettiva rivolta anche al futuro, facendo emergere il significato mancante: la cura, i limiti dello sviluppo, gli invisibili, la solidarietà, lo scambio con i servizi ecosistemici, il valore del lavoro e tanto altro.

Nel breve periodo si dovrà sperimentare molto per migliorare le pratiche della solidarietà ed estenderle alla biodiversità, alla sostenibilità dei nostri consumi ed alla percezione del benessere secondo cui stiamo al mondo,

Se nel post COVID il tempo resterà lento e lo spazio resterà largo, le politiche pubbliche dovranno redistribuire tempo e spazio per contrastare fenomeni di bio-accaparramento e di apartheid covid free. Se è vero che per uscire dalla quarantena è necessario il concorso di tutti/e, la ripresa, se e quando ci sarà,dovrà affrontare vecchie e nuove povertà, colmando il mix esplosivo di squilibrio/divario che è alla base di questa crisi globale di cui ancora capiamo poco.

Qualora la logica della quarantena resterà nella cosiddetta fase 2, l’intervento pubblico dovrà guardare al patrimonio degli spazi collettivi come ad una risorsa che deve crescere ed essere messa in circolo per utilizzazioni sociali, dando priorità agli abitanti, alla popolazione senza fissa dimora per estendersi immediatamente a chi vive in abitazioni inadatte, nei quartieri ad alta e altissima densità abitativa, alle carceri, alle fabbriche, alle baraccopoli in cui vivono ancora in tanti/e.

In vista della fase 2, l’odiosa distanza sociale deve trovare nuova teoria nell’esperienza appresa dai beni comuni per darci un’altra possibilità di “fondare” un diritto all’abitare entro circuiti di vita degna, e dunque tradursi in una presenza politica attiva che spinga verso interventi strutturali, e non emergenziali, con la restituzione di nuova qualità ed agibilità agli spazi urbani, nell’ottica di una sostenibilità e di una solidarietà aumentate che tenga conto del virus e di quanto messo in luce dalla pandemia.

La visione di una “ripresa” solidale può partire dall’impossibilità di produrre nello spazio virtuale le pratiche in presenza e senza delega dei beni comuni; molti restano fuori, diverse esigenze esulano l’ambiente domestico, la teleconferenza ha tanti pregi ma non sopperisce alla mancanza della terza dimensione, tantomeno a quella fisica.

Per formare paesaggi di cura è necessario un lavoro complesso e la collaborazione tra molteplici attori a diversi livelli (governance). Alla luce delle trasformazioni portate dalla pandemia, bisognerà tentare di comprendere le relazioni tra soggetto e habitat, tenendo conto delle fragilità e delle vulnerabilità di ognuno/a, dei luoghi e del tempo. Una dimensione del vivere che non cerchi risposte nel sociale ma nella relazione, nell’unicità di ognuna/o in rapporto ai bisogni, desideri e collocazioni.

Pertanto non risposte ai problemi ma alle persone, ai soggetti nelle loro differenze e particolarità.

La nuova qualità che servirà allo spazio urbano per uscire dalla crisi, dovrà disegnare quell’articolato sistema di presidi sanitari multilivello e diffusi sul territorio che nell’emergenza sono mancati rendendo la crisi molto più dolorosa; sarà importante coinvolgere gli/le abitanti-utenti in autogestioni per trasformare le indicazioni sanitarie in nuovi modi di vivere della cura, che rinnovi il rapporto con l’altro in una relazione di unicità tra i corpi.

La calamità COVID ci ha insegnato che la città deve contenere una riserva permanente di spazi flessibili per i molteplici usi imposti da calamità impreviste; per esempio in area vulcanica e sismica l’imprevisto non va mai dimenticato e la logica della prevenzione/mitigazione del danno, deve concorrere a disegnare le architetture e le strutture umane/urbane, anche se non avverrà mai.

Tra i tanti, il tema della percorribilità sembra reggere agli eventi perché si allaccia all’immagine dei corridoi umanitari ed ecologici che fanno già parte dell’esperienza comune.

Il rischio pandemia, nel travolgere il rapporto tra normalità e possibilità, ha profilato una nuova condizione con cui convivere, un rischio tanto sconosciuto e temuto da sovvertire le regole del mercato e della diplomazia, che ha messo in crisi le città globali; un rischio che è stato fermato solo dal contributo in prima persona di ogni singolo abitante con l’auto-confino della quarantena, in città come in campagna.

Ripresa significherà restituire a questi abitanti livelli di agibilità crescenti, dal locale al globale.

Negli spazi dei beni comuni (luogo sperimentante) si potranno cercare approcci sostenibili per un’auto-gestione estesa al rischio virale allargando lo spazio culturale già acquisito nel campo della cura, tra presidi diffusi e mutualismo, per non delegare la mitigazione del rischio al solo ospedale o all’esercito; sarà indispensabile lavorare su una percezione che non comprometta la natura relazionale dei beni comuni e delle loro pratiche in presenza.

Anche in questo caso parliamo di beni, di spazio collettivo e di gestione che dovranno accreditarsi come terapia antivirale alternativa all’auto-reclusione, da immettere in un processo di recupero graduale della percorribilità, anche politica, delle aree urbane, formando una rete più complessa di pratiche altre e già note, imparando dai corridoi umanitari, contribuendo all’incremento delle reti ecologiche e dei serbatoi di biodiversità, recuperando dagli scarti e da iniziative già vissute come quella della Terra dei Fuochi, di Riace …

Nuova creatività in una elaborazione del lutto che rifiuti la distopia.

CORRIDOI DI QUARANTENA

CORRIDOI DI UMANITARI E DI BIO-DIVERSITÀ

Infrastrutture verdi