L’idea di provare a costruire e/o ri-costruire un movimento di donne a Padova – comunicata ai vari gruppi esistenti in città con la Lettera Care Compagne, pubblicata a suo tempo ne Il Paese delle donne – non è fallita, è stata abortita.La metafora del concepimento applicata al pensiero, di antica matrice greca, felicemente si presta alla descrizione di quanto accaduto – e previsto – in quella Lettera.
_ E, a cose fatte e a sipario calato, vien da domandarsi se sia lecito scendere in piazza per invitare le donne a unirsi contro la violenza in compagnia di donne che – senza averne, forse, consapevolezza – ne fanno esercizio nei riguardi di altre.
_ Ma no, che dico, forse ce l’hanno.
_E mi chiedo, in sovrappiù, se dall’aborto praticato – con ogni mezzo – all’iniziativa comunicata in quella Lettera, nascerà, in futuro, qualcosa di buono: ne sarebbe valsa, in tal caso, la pena.

La manifestazione contro la violenza alle donne, organizzata a Padova il 28 Marzo, è stata, come da copione, un fallimento, uno dei tanti, appena mitigato dal quel “quasi”, suggerito da qualcuna.
_ Si è rapidamente consumato ad opera, inizialmente, di un gruppetto di “femministe” di questa città che pare abbiano scordato le maniere dell’accoglienza e siano lontane dall’aver maturato, malgrado la loro non più tenera età – che, anno più, anno meno, è anche la mia – il senso del valore del rispetto e del riconoscimento dell’altra quale condizione irrinunciabile per la realizzazione e la tenuta, nel tempo, di relazioni fra donne e di pratiche di movimento che solo sulla costruzione, sulla cura e qualità di tali relazioni possono fondare se stesse e avere qualche possibilità di affermarsi e di durare nel tempo.

Pare che il tempo in questa città si sia fermato: stesse logiche antiquate e distruttive, stessi meccanismi arrugginiti dicotomici ed escludenti, stessi mal di pancia.
_ E l’aria greve che tirava… in quelle prime riunioni…satura di diffidenza, calcolo e sospetto, malcelata ostilità e risentimento: sarebbe dovuta bastare, da sola, a far prendere le giuste distanze e a desistere dall’impresa. Ma tant’è, non è bastata.

L’aborto dell’iniziativa presa da Oikos con la Lettera, è stato praticato, in men che non si dica, prima ancora che questa potesse prender corpo e avesse il tempo di consolidarsi.
_ E’ stato “agito” utilizzando gli arnesi dell’appropriazione, del progressivo svuotamento di senso dei contenuti degli incontri programmati dal gruppo proponente (sino alla loro inevitabile dissoluzione), dell’impoverimento graduale ma sistematico dell’iniziativa, sino alla sua trasformazione in qualcosa d’altro, in nulla rassomigliante.
L’esito di questa brillante operazione “politico-strategica” ben lungi, naturalmente, dall’aver contribuito a ritessere relazioni e a ricomporre i “frammenti sparsi in orrida casualità” di un movimento lacerato e diviso da anni, ha finito per produrre soltanto assemblaggi di fortuna fatti di niente, allontanando, forse, in via definitiva, ogni ipotesi di costruzione futura di alcunché di meditato e di seriamente propositivo.

La responsabilità di questo stile di pratica “femminista” (?) va addebitata soprattutto a un piccolo gruppo di predatrici abitate da fantasmi di padronanza (come altrimenti definirli?) che, spinte all’angoscia di un temuto oscuramento rispetto a un’iniziativa presa da Oikos-bios, hanno spudoratamente approfittato – non senza l’appoggio di altri gruppi altrettanto motivati a farlo da un tornaconto pubblicitario – dell’opportunità offerta, per svuotarla di senso, per sradicarla e dislocarla da una “casa” a un’altra “casa” – dall’Oikos, la Casa e il luogo d’origine in cui era nata, alla “Casa delle donne” di Via Tripoli – bloccando sul nascere un processo di crescita e premendo l’acceleratore a tutta velocità, su una Manifestazione prematura di cui hanno finito per risultare, alla fine, le (s)fortunate “ideatrici”. Che fosse questa – e non altra – la sola vera ragione della loro presenza alle riunioni era del resto evidente.

La Lettera Care Compagne – cui mi riferisco – era finalizzata alla ricostruzione di un movimento di donne dotato di forza, efficacia e consistenza numerica, in grado di denunziare pubblicamente – attraverso un Evento da costruire nel tempo – la lunga sequenza di crimini e di violenze perpetrati in questi anni a danno delle donne.

In questa prospettiva, l’Evento pubblico o Happening che dir si voglia, avrebbe dovuto dunque rappresentare il momento conclusivo di un processo di riflessione preliminare e di una serie di incontri necessari per creare, fra le componenti dei vari gruppi, delle relazioni la cui inesistenza era dovuta all’estrema frammentazione e all’assenza di legami effettivi fra un gruppo e l’altro.
_ Era questo lo spirito che aveva segnato l’iniziativa ed era dunque necessario dare priorità a un paziente lavoro di ritessitura di relazioni a vari livelli: all’interno dei gruppi di vecchia generazione ma anche fra questi e le nuove.

Erano stati avviati, a tale scopo, nella Sede di Oikos, i primi tre incontri al termine dei quali s’era concordato, con le donne dei gruppi presenti, di dare cadenza mensile agli appuntamenti futuri, definendo, assieme, e in quello stesso contesto, data e ora dell’incontro successivo.
L’esigenza di dare continuità e spessore teorico agli appuntamenti, andava nel senso della Lettera e nasceva dalla consapevolezza che l’organizzazione di una manifestazione contro la violenza in città – considerati alcuni penosi tentativi precedenti – non avrebbe potuto, in nessun caso, bypassare il vuoto transgenerazionale di un percorso elaborativo – ancora tutto da costruire – ma dovesse rappresentare il punto d’arrivo di un lavoro di analisi e di riflessione comune all’interno dei gruppi su:

a)lo stato attuale di un movimento inesistente e sulle ragioni storiche, sociali e politiche di tale stato;
_ b)la posizione soggettiva delle nuove generazioni di donne caratterizzato da un pressoché totale disinvestimento sulle tematiche della violenza e sulle ragioni di tale disinvestimento;
_ c)sul rapporto fra vecchia e nuova generazione e sulla loro possibilità di interazione e di connessione in vista di un possibile avvicinamento.
_ d)l’opportunità di riconsiderare il nesso identitario donna-materno in un’ottica non contrappositiva e non identificatoria e mortificante.

La concreta possibilità di attivare una discussione sui punti indicati in vista di una Manifestazione futura e da costruire, è stata inoltre sollecitata da Oikos-bios in altri modi:

a) attraverso due Seminari rispettivamente dedicati a Paranoia e politica e alla Centralità del pensiero femminile per la salvaguardia della specie;
_ b) attraverso l’invito a partecipare attivamente a un importante Convegno contro la violenza da noi organizzato il 7 Marzo.

Ebbene, la risposta rispetto al lavoro svolto nei Seminari – a parte qualche presenza – è caduta nel vuoto, il Convegno, dedicato alla violenza contro le donne, è stato quasi completamente disertato e tutto questo accadeva proprio nel momento in cui incontri di finta “collaborazione”, si andavano magicamente popolando e intensificando altrove, fuori dalla sede in cui l’iniziativa era nata.
_ La finalità del primo “trasloco” dell’iniziativa da una Casa all’altra, cui seguì la richiesta di altri travasi ingiustificati e del tutto fuori luogo da un luogo all’altro, fu immediatamente chiara, tanto più che l’insieme e la sequenza dei fatti che si stavano verificando, vantavano sempre la stessa firma.
_ Non era difficile comprendere che questi agiti rispondevano ad un preciso disegno e confermavano i timori espressi nella Lettera, nella quale l’ipotesi che l’iniziativa avrebbe potuto arrecare fastidio ed essere “letta” nel peggiore dei modi possibili, era stata contemplata.

A mettere in moto una serie di passaggi all’atto – è stato qualcosa di immaginariamente vissuto come un esproprio da una supposta posizione di diritto di padronanza storicamente acquisito.
_ A ritenersi Egemoni indiscusse del territorio e depositarie di una vecchia tradizione “femminista”, erano alcune donne (?), cui una perdita immaginaria di egemonia stava troppo stretta per essere tollerata senza batter ciglio.
_ Come definire altrimenti che immaginaria un’idea la cui infondatezza era ampiamente smentita dalla realtà dei fatti: essere state, proprio queste donne, per prime, riconosciute, come altre, pubblicamente e personalmente da parte di Oikos- bios?
_ Ma si sa, con i fantasmi c’è poco da scherzare, ci si libera da loro solo attraversandoli.
E fare in modo che qualcuno/a se ne liberi, non è compito di Oikos-bios o, meglio, lo è, ma solo ed esclusivamente con chi si rivolge a noi per una domanda di cura.

Grazie a dio questa triste avventura si è conclusa con la Manifestazione del 28 Marzo, memorabile per aver mostrato di quanta violenza alcune donne che gridano contro la violenza siano capaci, e quale sia il loro grado di denegazione dei propri agiti.
_ Appropriazioni, misconoscimenti, dislocamenti strategici a fini egemonici, operazioni di svuotamento e perdita di senso di riunioni già indette, dirottate e anticipate altrove, avarizia di informazioni rispetto a certi luoghi d’incontro e abbondanza di informazioni riservate ad altri, acquisizioni di posizioni narcisistiche e improvvise destituzioni ad opera di altre, in una gara crescente di presenze mai viste e di sorpassi senza fine. Guerra di tutte contro tutte.
_ Davvero promettente.

A scatenare una competizione tanto feroce da non avere nulla da invidiare alle forme più deteriori di antagonismo maschile, è stata la posta in giuoco, “il giocattolo” che ognuna ha cercato di rubare all’altra.
Lo scopo? Impadronirsi, appropriarsi, di ciò che qualcuna è supposta possedere ma che non può permettersi di possedere senza scatenare, nell’altra, il fantasma della propria irriducibile mancanza (supposta).

Il tentativo fatto con la Lettera Care compagne non è miseramente fallito, è stato semplicemente abortito ad opera di donne.
A che pro? Ci si chiede.
_ E quali sono, ora, le prospettive all’orizzonte per coloro che, come schegge impazzite, ce l’hanno messa tutta per affossare un’iniziativa che, in condizioni diverse, avrebbe forse potuto crescere e aprire nuovi spazi ad altre donne? Per tutte quelle che, decise a rigettare la violenza da parte dell’uomo, sono ancor più determinate nel condannarla quando questa viene esercitata da donne che dichiarano di combatterla?
_ Sapranno costoro farsi carico – dopo l’agone per rubarsi il giocattolo (il maternage della Manifestazione) – del suo “quasi-fallimento”, peraltro ammesso, con un clamoroso autogoal, da una di loro?

Non è troppo presto per dire che già si sente, a clamore spento, il suono sinistro del potere performativo delle parole: di parole che in tutta fretta hanno già ficcato nel dimenticatoio della rimozione quanto accaduto, per inventare una realtà inesistente.
Eppure, chissà…forse quella Lettera non è stata, in fin dei conti, un “peccato” d’ingenuità ma l’inizio di un processo di verifica dello stato reale (e non virtuale) delle relazioni esistenti fra i gruppi di donne di questa città, il genere di logica che le governa, la loro inadeguatezza alle trasformazioni avvenute nel tempo, il loro stato di salute.
Per poter liberamente scegliere come e con chi proseguire e – sic stantibus rebus – dire, alla fine: Grazie NO.