Da Alfabeta+più  articolo di Alessandro Casiccia -13 maggio 2017)

— Le elezioni parlamentari francesi assegneranno al Front National, se non una rivincita rispetto alle presidenziali, almeno una rappresentanza ben maggiore di quella ottenuta nelle passate legislature. Tra i limiti che difficilmente potrà superare avranno certo rilevanza le diverse anime e le contraddittorie nature dello spirito nazionale nella storia della Francia: dal nazionalismo cattolico al patriottismo laico e repubblicano. Aver scelto un esponente gollista come candidato primo ministro rappresenta il tentativo di superare tali contraddizioni da parte di Marine Le Pen. La quale però, va ricordato, al tempo del primo turno aveva criticato le aperture di Papa Bergoglio sul problema immigrazione, avvicinandosi così a talune posizioni dei cattolici più conservatori. E qualche giorno prima aveva negato la responsabilità della Francia riguardo ai tragici avvenimenti del Vel d’Hiv nel 1942, durante l’occupazione tedesca di Parigi. Ovvero il rastrellamento di 13.000 cittadini ebrei destinati ai campi di sterminio. Mancava di ricordare che quel rastrellamento era avvenuto con il complice aiuto del governo di Vichy.

Dichiarazioni di quel genere erano volte forse a ricuperare voti nella vecchia destra del Front National, turbata dai molti cambiamenti operati dalla leader rispetto alla linea del padre. Tempo prima, l’elettorato di destra tradizionale, seguace di Jean-Marie, aveva accolto con smarrimento la rottura operata dalla figlia; e ancor più le varie innovazioni di programma che essa stava introducendo negli ultimi anni: innovazioni riguardanti la difesa dello Stato Sociale, il contrasto alla tirannia del capitale finanziario e altre prospettive rivolte a catturare possibili consensi di elettori di sinistra delusi dagli indirizzi economico-politici dei loro rappresentanti.

Dunque, pur rientrando nel numero dei partiti e movimenti “neo-nazionalisti”, il caso del Front National deve essere tuttavia considerato nella sua specificità. Occorre comunque non dimenticare i tratti peculiari del nazionalismo nella storia della Francia. E ricordare il carattere molto particolare che in quella storia ha più volte assunto il rapporto fra destra e sinistra: dal tardo ottocento fino ai giorni nostri. In quel rapporto, taluni punti di contatto parvero spesso superare, seppure temporaneamente, i punti di contrapposizione. E sorprendentemente presentarsi, non tanto nelle posizioni moderate di entrambi in fronti, quanto piuttosto in quelle radicali. Dove socialismo e nazionalismo assunsero forme estreme. Mentre un patriottismo laico e repubblicano poté trovarsi a confronto (ma talvolta anche in ambiguo rapporto) con più antiche tradizioni identitarie.

Quel confronto fu presente nei drammatici anni quaranta del novecento e in particolare durante l’occupazione tedesca: quando il mondo dei sindacati e dei partiti (così come una parte considerevole della cultura e dell’arte) si trovarono, almeno inizialmente, in spazi mutevoli o non chiaramente definiti sotto il profilo politico. Si potrebbe ricordare, ad esempio, la vicenda di Jacques Doriot, dirigente comunista poi passato alla collaborazione filo-nazista. O quello di Hubert Lagardelle, dirigente socialista di formazione marxista, divenuto ministro nel governo Petain. O anche l’analogo approdo a Vichy di Marcel Déat, socialista di destra e campione di antisemitismo.

Nella Parigi occupata, mentre la gente comune stringeva la cinghia, Jean Cocteau celebrava lo scultore nazista Arno Breker. Alla prima di Les Mouches, Jean-Paul Sartre conosceva Albert Camus. Uscivano film di Marcel Carnet e Sacha Guitry. Ernst Jünger ufficiale della Wehrmacht, visitava Braque e Picasso. Nei locali pieni di militari in divisa cantavano Charles Trenet, Edith Piaf, Maurice Chevalier. Le Corbusier scriveva su riviste collabo. E così pure Fernand Léger, Raoul Dufy, Arthur Honegger.

A dire il vero, certe paradossali ambiguità andrebbero collocate nella loro peculiarità storica. Nel giugno del 1940, l’Europa continentale è ormai controllata dalla Germania. E l’Inghilterra appare isolata e sul punto di cedere. Sembra, insomma, che la Seconda Guerra Mondiale sia vicina a concludersi; e ciò potrebbe forse spiegare molti comportamenti di quel momento, senza necessariamente giustificarli. Solo un anno più tardi avrà inizio l’ Operazione Barbarossa, l’aggressione hitleriana all’URSS che indignerà i comunisti europei e li mobiliterà in modo più deciso. Durante quell’anno però, tra la metà del 1940 e quella del 1941, non solo gli Stati Uniti sono ancora neutrali, ma la Germania hitleriana e l’Unione Sovietica staliniana sono ancora legate dal patto di non aggressione Ribbentrop-Molotov. Patto accolto un anno prima anche da alcuni partiti ufficialmente a sinistra, come il Partito Comunista Francese e dagli uomini di cultura che in esso militavano. Come il poeta surrealista Louis Aragon, direttore di “Ce soir”. Degno d’interesse, fra l’altro, è il rapporto di contrastata amicizia tra Aragon e altri intellettuali quasi coetanei. Come André Malraux, eroe della guerra civile spagnola, poi della seconda guerra mondiale e della Resistenza (e vari anni dopo ministro gollista). O come lo scrittore dandy Drieu La Rochelle: inizialmente aderente, come Aragon, al movimento Dada, ma in seguito simpatizzante con il fascismo e gli occupanti e infine suicida alla fine del conflitto. Potremmo aggiungere che tanto Malraux quanto Aragon avevano riconosciuto un debito culturale nei confronti di Maurice Barrès, personaggio fondamentale nella formazione di quel socialismo “rivoluzionario” ma nazionalista, i cui contorni vennero in anni recenti ridisegnati dallo storico Zeev Sternhell, che vi individuò le radici del fascismo.

Nel suoi libri Sternhell, non solo sottolinea le curiose contaminazioni ideologiche di quel periodo, ma mostra come l’ambivalente rapporto – nella cultura francese – tra ciò che chiamiamo “destra” e ciò che chiamiamo “sinistra” abbia origine già tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento.

Tra le radici ottocentesche di una destra nazionalista in Francia va ricordato il boulangismo, cioè il contributo di Jean-Marie Boulanger, cui va aggiunto il Parti Social National di Pierre Biety nel cui programma si delineavano prospettive corporativiste. Resta inteso che durante quel secolo un posto significativo avevano ricoperto le opere di Pierre-Joseph Proudhon, sulla cui tradizione verrà poi a svilupparsi, nel passaggio tra ottocento e novecento, il pensiero di Georges Sorel. Cui a suo modo attingerà il Mussolini rivoluzionario nel suo passaggio dal socialismo al fascismo. (Alessandro Casiccia -13 maggio 2017)