A due settimane dalla riapertura delle scuole in Belgio, la questione del foulard islamico resta aperta. In assenza di una legislazione che regoli questo delicato tema, la scelta é lasciata alle singole scuole. I risultati di una ricerca.Il dibattito sul divieto di portare il velo nei luoghi pubblici, e in particolar modo a scuola, é ripreso all’inizio del mese di luglio, quando due intellettuali laici francofoni hanno chiesto una {{legge quadro che “impedisca di indossare ogni segno che rimandi ad un’appartenenza religiosa o filosofica nel quadro delle attività scolastiche”.}} A Chemsi Chéref-Khan e Nadia Geert, ideatori e primi signatari della petizione, si sono aggiunte nel tempo altre voci di singol-e-i e di associazioni, tra le quali alcuni membri del comitato belga Ni putes ni soumises, del Centro comunitario degli ebrei laici, del Centro di azione laica (che però é contrario nel suo insieme ad una legge) per un totale finora di 3000 firme.

La proposta di dar vita ad una legge, simile nei contenuti a quella francese del 2004, si inserisce nel quadro di una campagna elettorale (le politiche hanno avuto luogo il 10 giugno scorso) piuttosto sottotono in quanto a rivendicazioni e di un indurimento delle politiche sociali a livello federale. Per i signatari dell’appello é un modo di colmare un vuoto giuridico che essi ritengono pericoloso per la laicità dello Stato e la libertà degli individui.

E il problema giuridico effettivamente esiste. Nel 2005, la Commissione federale per il dialogo interculturale, incaricata di verificare la necessità di una legge ad hoc, ha preferito non prendere posizione, convendo sui rischi che un’eventuale politica di divieto avrebbe potuto creare: “manifestazione di ostilità nei confronti di alcuni musulmani”, negazione del principio di libertà religiosa, “discriminazione ed esclusione delle ragazze che indossano il foulard islamico”. Lo stato federale si é dunque astenuto dall’emanare leggi specifiche e le Regioni ne hanno seguito l’esempio. {{La decisione é stata lasciata alle singole scuole}}, le quali hanno gestito l’affare attraverso i propri Regolamenti interni; la gran parte degli Istituti secondari dello Stato ha così potuto agilmente giustificare le clausole di divieto già presenti nei loro testi.

Véronik De Mayer, ricercatrice indipendente per il Cirap (Centro d’informazione, ricerca e archivi della politica belga), ha condotto una ricerca sulle differenti forme di applicazione del divieto. I risultati delle sue analisi sono contenuti nello studio {La question du foulard islamique dans l’enseignement de la Communauté française de Belgique : quelle légitimité des règlements d’ordre intérieur ?} pubblicato nel mese di luglio. Interrogata sul tema dal quotidiano belga Le Soir, la ricercatrice afferma: “{{Il divieto di indossare il foulard a scuola in Belgio é attualmente illegale sul piano giuridico}}, fatte salve le ragioni di sicurezza e il rischio di proselitismo”. Sebbene l’allieva che desideri portare il velo a scuola sia formalmente garantita per legge, i regolamenti interni della maggior parte delle scuole dello stato lo vietano. “{{Su 129 regolamenti interni di altrettante scuole superiori di tutto il paese, 105 lo vietano,}} 13 lo autorizzano, 7 hanno rifiutato di rispondere, due non hanno mai inviato il documento in questione, uno lo ha cambiato nel corso dell’indagine e solo uno non dice nulla in merito”.

La ricercatrice ha inoltre inventariato i modi con cui viene fatto riferimento al foulard nei diversi regolamenti: “copricapo, cappello, berretto, foulard, bandana… fino a velo, segno di appartenenza religiosa, segno di costrizione. Nella maggioranza dei casi il tema del foulard è affrontato nella parte centrale, in altri figura sotto la rubrica “tenuta vestimentaria” e lì, a parere della ricercatrice, {{l’ipocrisia e la confusione aumentano: il divieto è inscritto in termini di decenza, correttenza, pulizia, provocazione, eccentricità, appropriatezza, aggressività, sconvenienza…}}”. Anche il linguaggio usato per riferirsi all’oggetto in questione “é tanto preciso in alcuni casi quanto vago in altri, a volte molto ipocrita nella stessa semantica” rileva Véronik De Mayer.

I pareri sono divisi. Se da un lato l’appello in favore di una legge risponde anche ad iniziative considerate problematiche, come la creazione di una “scuola superiore per ragazze velate” a Moolenbeek (uno dei comuni di Bruxelles), i cosiddetti laici sono accusati di confondere i termini del discorso, come é successo in Francia e di nascondere il vero problema: “{{La questione del velo é un falso problema}}” affermava già qualche anno fa Saïd Bouamama, sociologo e militante del coordinamento nazionale dei sans papiers, mentre la Francia si apprestava al varo della sua legge. “Essa serve a nascondere fattori ben più gravi e a distrarre le persone e i partiti dai confitti più urgenti, come l’impoverimento generalizzato della classe media e la precarizzazione del lavoro e dei diritti sociali”. Una nuova trappola tesa da chi non é assolutamente interessato alla libertà delle donne che indossano il velo e che, al contrario, “{{rende ancora più invisibile la dominazione maschile ‘di casa nostra’ occultando gli elementi trasversali al sistema patriarcale}}” hanno scritto Natalie Benelli, Ellen Hertz, Christine Delphy, Christelle Hamel, Patricia Roux e Jules Falquet nel numero di {Nouvelles croniques feministes} (marzo 2006) dedicato ai primi risultati della Legge sulla laicità.

La riapertura del dibattito sul velo in nome della laicità dello Stato, inoltre, si fa senza consultare le donne e le organizzazioni femministe che lavorano sul tema, salvo poi mediatizzare manifestazioni come quella delle studentesse (velate e non) del liceo André Thomas di Forest, che nel mese di giugno hanno sfilato sotto le finestre della ministra per l’Educazione Maria Arena per protestare contro il nuovo Regolamento interno che prevede, da settembre, il divieto di indossare il velo.

“Il velo é presente già prima del giudaismo – ha detto Nawal El Saadaoui, psichiatra e filofosofa femminista egiziana in un convegno tenuto lo scorso anno a Bruxelles – . Anche le anziane cattoliche girano velate. É una questione che risale allo schiavismo. In un sistema patriarcale c’è una morale per le donne, una per gli uomini, una per i dirigenti, gli dei e una per gli schiavi”. Su una cosa però alcuni collettivi femministi belgi concordano: in alcun caso il divieto di indossare il velo sancito per legge servirà a rendere più libere le donne che si troveranno ad essere ulteriormente vittime di strumentalizzazioni “per una battaglia di civiltà in loro nome che nasconde solo una nuova deriva razzista”.