dal film “Suffragette” di Sarah Gravon

Mia nipote sta ultimando i suoi studi universitari presso una cattedra di Scienze Politiche e Sociologia, la prima tesi presentata (triennale) porta il titolo Daughters of Feminism  e al tempo precisò che essendo cresciuta con una madre e una nonna femministe non poteva non dedicarsi all’approfondimento di un movimento così rilevante da aver segnato un’epoca e la sua personale formazione.

Ora il suo percorso è in stato avanzato e quindi necessariamente è diventato più critico. Nell’ultimo incontro con lei, che studia all’estero, abbiamo avuto uno scambio per niente facile, per me, perché senza giri di parole ha sostenuto che la nostra generazione rappresenta un femminismo bellissimo, straordinario ma che ha bisogno di essere svecchiato, detto in poche parole. Loro – le giovani – ci vedono sempre in cattedra e arroccate su principi che il mondo reale non riconosce più. Il suo corso di studi di Gender su cui presenterà la tesi finale, tratta molto di politica, capitalismo, liberismo raffrontando vari paesi occidentali e quindi guarda ad un sistema globale con il quale, ob torto collo, ci si deve misurare, come sottolinea mia nipote. Le cose oggi vanno afferrate al volo purché aiutino a ridurre le distanze e le disparità, senza spaccare il capello. Io qui sto riportando il discorso in modo un po’ brutale e succinto perché in realtà mia nipote si è preoccupata di infiocchettarlo con tanti riconoscimenti, sinceri, su quanto fatto dalle donne della passate generazioni.

Lo spunto della questione che abbiamo dibattuto è legato ad un episodio accaduto nella sua Università dove molte docenti hanno portato avanti una protesta piuttosto accesa sulla disparità nel numero di cattedre assegnate al corpo docente, quello maschile, ovviamente, molto più presente. E’ successo che, con un’ inattesa risposta dai vertici universitari, sono stati assegnati cospicui fondi per aprire 8 cattedre da assegnare a docenti donne. (ho dello che non si tratta di università italiana !) . Ma l’iniziativa, inaspettatamente, anziché fare contente le interessate   sembra le abbia indispettite al punto da rifiutare in blocco l’intervento “riparatore” con la motivazione di non volersi sentire specie protetta o qualcosa di simile.

L’irritazione di mia nipote, portavoce di un gruppo di amiche e studiose con cui ha discusso il caso, è motivata proprio da queste posizioni, per loro, antistoriche, lontane dalla realtà e contraddittorie in quanto da un lato, lei dice, le donne si lamentano e si infuriano però poi se qualcosa si muove in loro favore sventolano il vessillo dell’orgoglio e della dignità offesa. Confesso che mi sono trovata in difficoltà e mi sono chiesta che avrei fatto come docente e non sono stata capace di darmi e dare una risposta. In realtà si tratta dell’annosa questione delle quote rosa che non ci ha viste mai tutte concordi.

Tuttavia mi sembra importante il succo del discorso, della presa d’atto del cambiamento del mondo e conseguentemente della necessità di nuovi parametri con cui fare le scelte, rivedere principi e teorie, Si tratta forse di una riflessione da non gettare via e di ascoltare di più le giovani se non altro per abbattere il sentimento di diffidenza tra generazioni che a quanto pare resiste e blocca,  non solo nel nostro Paese, una condivisione di percorsi